Il volto, la figura, il corpo suggeriscono riflessioni sull’identità, sull’intimità e l’anima della pittura: la materia dell’arte Occidentale. Il volto è un codice linguistico della pittura, della scultura figurativa e anche della fotografia, un tema classico esplorato da diversi punti di vista e sfaccettature, un codice inverso alla bellezza in cui tutto dipende dalla sensibilità dell’artista che lo considera un presupposto per mettere in discussione i limiti del ritratto e la rappresentazione dell’umanità. Il capofila Dotti,fotopittore, Romeo De Giorgi, Davide K. Allodi, Lorenzo Brivio, Batu Backasiz e la performer Pelin Zeytinci, studenti dell’Accademia di Brera a Milano, arditi fondatori del Movimento TAT condividono la pittura come linguaggio e strumento espressivo della creatività, e il tema del volto trasfigurato che nell’epoca dei Selfie, apre domande sul narcisismo, individualismo, contro l’omologazione dell’identità nel Mare Magnum della cultura digitale. Li accomuna una convulsiva ricerca di bellezza, di armonia, un’indefinibile aspirazione al sublime e il desiderio di riscattare una umanità dall’innocenza perduta, anche nella frammentazione o trasfigurazione di volti in cerca di identità. Tutte le opere sono scaturite da incontri settimanali, conversazioni, confronti sulla possibilità di ritrattare il volto in maniera personale, con immagini nate dalla volontà di contrapporsi a quelle dei mass media. L’obiettivo è di portare al centro delle loro ricerche il potenziale espressivo della pittura nel segno di una figurazione ai limiti tra realismo e visionarietà. Apre la mostra Dotticon Sorgente, un’ opera totemica appartenente a una serie intitolata Selfie dell’anima , che apre una riflessione sull’etimologia della parola persona che in latino significa anche maschera. E’ un tema che lo caratterizza da anni per investigare le mutazione dei suoi stati d’animo, risolti in volti-maschere, disegnate con pennellate dense e materiche, ispirate a Picasso, Klee, di segno primitivo, riscattano l’identità dalla banalizzazione dei selfie. Processi di trasformazione del volto, la percezione dell’individualità violata dai social media sono il fil rouge condivisi dagli artisti in mostra, in cui il volto e il corpo nell’ambito della cultura digitale hanno radicalmente modificato le modalità di comunicazione del copro e dell’anima, della dimensione emotiva con soggetti disumanizzati sospesi tra fisicità e immaterialità, presenza e assenza. L’ambiguità del volto è evidente dell’’opera di Davide. K. Allodi, con Apparizione#Annunciazione, in cui l’aura di una ectoplasmatica santa- martire emana un campo magnetico misterioso, specchiante con quello emesso dallo schermo dello smartphone: è un volto ieratico apparso dal buio, scolpito dalla luce volutamente fredda e artificiale che rielabora l’iconografia dell’arte sacra, in cui l’enigma sta nell’aureola. Romeo De Giorgi, presenta Ego (onoframe series), il ritratto riflesso del suo demone artistico. Un’ entità inquietante, risolta in sovrapposizioni di piani, ingabbiata nei limiti della materia, caducità e cecità dello spirito, corrotto dai beni materiali, un angelo inverso,schiavo delle convenzioni sociali che però potrebbe trasfigurarsi nella leggerezza di una innocenza ritrovata attraverso l’arte e il volto dell’anima. Sono feriti, martoriati, incerottati i corpi di LorenzoBrivio, come si vede nell’opera perturbante Still bleading, composto da quattro pannelli, in cui il dolore si fa trama, traccia, frammento di fragilità, volutamente antiestetici, contro corpi perfetti, scultorei dei mass media, svuotati di significato, in cui l’autore forza nuove frontiere assemblando pittura e reperti, reliquie di una umanità malata , in cui l’emozione è sovversiva. In quest’ottica, l’intimità violata di una umanità dove si è persa in una inesplorata Babele di immagini e figure mostruose, Batu Bacaksiz, rivisita il mito della Medusa nell’opera La colpa della Bellezza, dallo sguardo infuocato di odio, figura terrificante che sembra spezzare il tempo, il “prima” e il “dopo” e pietrifica l’infausto spettatore che la guarda. E’un volto maschera che ci interroga su quale bellezza salverà il mondo, in una società sedotta dall’odio?.
E se l’amore è l’amore, l’odio è odio, la vita è anche la morte, allora l’elemento di congiunzione rigenerante è la struggente perfomance life di Pelin Zeytinci, capace di dare vita attraverso il suo corpo filiforme ed elegante in movimento, danzante tra un opera e l’altra in mostra nell’Atelier Crespi, inscenato come rito iniziatico: un inno alla nascita dal buio alla luce in cui l’identità si fa azione, gesto, sguardo di un volto che trasuda una energia primordiale e una seduzione letale. Tra maschere, emblematiche figure religiose e mitiche, corpi lacerati, ex voto di carnalità, in tutte queste opere dai contenuti “sociali” e “politici” crolla il mito dell’umanità , ma non il volto prismatico dell’arte di ieri e di oggi, che si rigenera nella pittura dall’identità plurima, forza nuove frontiere, destabilizza categorie e rivisita linguaggi per immaginare modi non soltanto di guardare ma di “sentire” il mondo attraverso i cinque sensi.
Jacqueline Ceresoli