Lunedì 28 e martedì 29 in Iulm si terrà la due giorni di convegno PAROLE (O POESIE?) PER LA MUSICA, nell’ambito del quale verrà conferito a Giulio Rapetti, per tutti Mogol, il Master ad Honorem in Editoria e Produzione Musicale
Qual è la linea di demarcazione linguistico-espressiva e teorica tra i versi destinati alla forma-canzone e quelli concepiti come poesia per musica? Cosa distingue qualitativamente e funzionalmente i due ambiti? Chi è il paroliere, figura sempre più diffusa e popolare a partire dai primi decenni del Novecento (almeno dall’epoca dello statunitense Ira Gershwin, fratello del famoso George), ma poco nota sia nei suoi risvolti professionali, biografici e creativi, sia nel suo impatto, sinora quasi inesistente, sulla letteratura musicologica e letteraria?
Il caso di Mogol (Giulio Rapetti, milanese 1936, celebre autore della canzone italiana) al quale l’Università IULM di Milano conferisce un significativo riconoscimento alla luminosa carriera, ci fornisce lo spunto per una prima riflessione di respiro internazionale sulla figura del paroliere. Studiosi italiani, europei e americani (esperti di musical, di teatro, di letteratura, di musiche jazz e pop) danno vita ad una intensa due-giorni di analisi, confronti e approfondimenti su alcune delle figure chiave del Novecento, percorrendo e illustrando un ambito creativo che dalla popular music irrompe nella commedia musicale (e viceversa),
e che annovera anche i generi sperimentali contemporanei e l’ampia area delle confluenze fra jazz e canzone.
Il “paroliere” è sempre esistito. Esisteva cioè da secoli un poeta o un autore teatrale o uno scrittore-giornalista impegnato in solido a scrivere con (o per) un compositore, come indica tutta la vicenda del melodramma. Ma è dalla fine dell’Ottocento (forse grazie a Jacques Offenbach), e con l’avvento dell’operetta, che il librettista e il paroliere vengono distinguendosi, e che il secondo – tra Londra e New York, i teatri del West End e di Broadway e il mondo editoriale di Tin Pan Alley e di Denmark Street – assume un ruolo autonomo, e alla lunga più fortunato di quello del librettista, anche perché posto al servizio di una delle forme espressive più tipiche e diffuse del ventesimo secolo, la canzone. Come
i relativi colleghi musicisti, i parolieri della canzone hanno saputo far virtù della velocità e della dimensione sintetica della canzone stessa, perfetta evidenza dello Zeitgeist e del tempo compresso dell’età contemporanea.
La storia italiana ci restituisce nomi offuscati da un alone di oblio come quelli di Giovanni Capurro, di Bixio Cherubini o di E. A. Mario (pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta), fa emergere – come nel Convegno viene messo in luce da Giampaolo Testoni e da Valentina Voto – figure di intellettuali prestati già a fine anni Trenta alla canzone come quella di Gian Carlo Testoni, registra dagli anni Cinquanta una progressiva impennata di autori divenuti poi celebri (Franco Migliacci, Vito Pallavicini, Giorgio Calabrese, Alberto Testa, Antonio Amurri, Sergio Bardotti, Roberto Roversi), si proietta successivamente nell’epoca dei
cantautori. Certo, con Ira Gershwin (che riprese il modello inglese delle Savoy Operas di William Schwenck Gilbert) e i suoi autorevoli colleghi Cole Porter, Johnny Mercer, Lorenz Hart, Oscar Hammerstein II la scena statunitense ha dettato legge, sospinta da un’industria editoriale, musicale e dello spettacolo di grandi dimensioni e di enorme impatto. Ma una via anche europea e sudamericana alla parola per la canzone, e alla poesia appositamente concepita per la canzone, ha iniziato a profilarsi nel secondo dopoguerra, come attestano i casi diversi e altrettanto significativi di Vinícius de Moraes, Chico Buarque de Hollanda,
Jacques Prévert, Jean-Paul Sartre, Franco Fortini, Italo Calvino, Roberto Roversi.
Programma_Parole (o poesie) per la musica – convegno internazionale