La locuzione “creatività digitale” mette insieme due termini, “creatività” e “digitale”, di cui il primo è da sempre oggetto di progressive semantizzazioni da parte delle discipline umanistiche e scientifiche, con declinazioni differenti nelle varie epoche storiche, il secondo si riferisce banalmente all’utilizzo delle nuove tecnologie appunto digitali, o più semplicemente dei cosiddetti new media, anch’essi, per motivazioni e percorsi differenti, in continua evoluzione.
Se poi aggiungiamo l’aggettivo “artistica”, per quanto ci sembri di restringere l’analisi a un campo specifico, ci imbattiamo in realtà in tutta una serie di problematiche connesse ai multiformi rapporti semiologici, stratificati in termini storiografici, ermeneutici, etc., con gli altri due termini.
Una categorizzazione del genere ha una sua complessità intrinseca di non poco conto. Al di là dell’intramontabile quid novi aristotelico, che, per quanto seppellito e risuscitato nel corso dei secoli da parte delle varie teorizzazioni (filosofiche, teologiche, sociologiche, psicologiche, etc.), rimane un criterio base, anche se ex post, per definire un prodotto creativo.
La creatività presuppone sempre una sorta di sostanziale balzo in avanti inaspettato nelle varie discipline di riferimento, innesca una rottura col preesistente, una “novità” che rimodula visioni, processi, dinamiche interne ed esterne all’essere umano.
Altro discorso è la matrice della creatività, e qui, di volta in volta, ci imbattiamo con costruzioni teoriche, tutte affascinanti, che di volta in volta si rifanno ad entità soprannaturali (essenze platoniche, Provvidenza, etc.) ovvero a categorie a priori della natura, riconosciute e/o riconoscibili da ognuno grazie al sentimento di piacevolezza, che insieme è individuale e universale, segnale incontrovertibile del contatto con la Bellezza, come direbbe Kant. Nell’intervallo tra questi due estremi c’è di tutto, anche se da ogni parte si ammette che il creator (e parliamo del creator che è in grado di incidere sensibilmente sull’umanità) non è mai chiunque, ovvero, soprattutto nel mondo dell’arte che assurge ad essere “bella”, è sempre un essere umano in qualche modo privilegiato ad essere antenna/intercettore e trasmettitore di un quid novi, appunto.
Si tratta di una tematica su cui si potrebbe dissertare all’infinito, fermo restando che la creatività, quella basica, appartiene ad ogni essere umano, anzi fa parte della sua stessa natura.
Attribuire il carattere “digitale” alla creatività complica ulteriormente la problematica. In prima battuta implica una sorta di transfer di quella che potremmo definire una capacità ideativa primordiale nel paradigma digitale e nelle connesse possibilità realizzative, vale a dire dotare l’attuazione e lo sviluppo della creazione degli strumenti offerti dalle nuove tecnologie.
Tale impostazione è per lo più novecentesca. A partire dagli anni duemila, con l’avvento di internet e di tutto ciò che ne consegue, si diffonde sempre più la convinzione (e la connessa paura) che il software possa essere esso stesso creativo, che i suoi linguaggi, alla fin fine linguaggi e
strumenti espressivi, possano impadronirsi dei processi creativi digitali, assumendo una sorta di ruolo di comando. Su quest’ultima ipotesi il cinema insegna, e anche in tempi non sospetti.
Ma torniamo all’arte e, per comodità, parliamo di pittura.
Le ipotesi sono sostanzialmente due.
Il software permette di ottenere dei prodotti artistici digitali. Invece dei colori, del pennello, della tela, etc., sono utilizzati manualmente il mouse, la tastiera, etc., e il software diventa il grande complice della creazione artistica, con tutte le connesse possibilità di rivisitazione, trasformazione, implementazione del file/prodotto ottenuto.
In tale contesto emerge senza dubbio un problema di sostenibilità. Cosa succede a quel file “creativo” se dopo qualche decennio il software non è più disponibile in quanto l’azienda produttiva di riferimento ha chiuso i battenti per qualsivoglia motivazione? L’opera del Leonardo Da Vinci del terzo millennio rimarrà sepolta in una banca dati non più “leggibile” e quindi fruibile?
L’altra ipotesi, che è quella di cui più si disquisisce attualmente, riguarda la circostanza che il sistema digitale, oramai operante attraverso reti stratificate globali, possa costituire una sorta di intelligenza artificiale in grado di divenire creator essa stessa. L’opera d’arte verrebbe ideata e prodotta digitalmente, senza nessun intervento umano ad hoc, se non quello teso a fissare le guidelines di riferimento, ovvero anche senza tale intervento, attraverso un motu proprio da cui emergerebbe una sorta di nuova soggettività para-umana, equipollente a quella meramente umana. In tal senso avremmo dei cosiddetti artisti digitali virtuali e l’opera di pittura, ovvero di pittorialismo (come dicono gran parte dei critici), potrebbe avere tutte le caratteristiche ermeneutiche di un dipinto per così dire manuale, al di là dei mezzi utilizzati.
Tale ipotesi, allarmante sotto vari aspetti, contraddice tuttavia millenni di teorizzazioni filosofiche e artistiche su quando un’opera di pittura, al di là degli strumenti utilizzati, possa qualificarsi un’opera d’arte.
Considerati tutti gli items di riferimento (intenzione, caos-germe, fatto pittorico, per usare termini cari a Cézanne, Klee, Bacon e altri) il motu proprio in tal senso risulta difficilmente condivisibile.
Al di là della nozione di creatività adottata, per così dire intra e/o extra moenia, la connotazione probabilistica, insita nei meccanismi procedurali digitali, esclude, almeno allo stato attuale, che un processore e dei software informatici possano divenire motu proprio dei creator di bella arte.
L’incipit creativo deve essere sempre l’intenzione narrativa e/o illustrativa (è un momento pre-pittorico), Successivamente si instaura il caos, che annulla tutti i cliché, e fa, per così dire, piazza pulita. Dal caos emerge finalmente il colore e quindi il fatto pittorico. Quest’ultimo è una nuova “presenza”, non rappresenta nulla, se non negli occhi dell’osservatore.
In che modo è possibile pensare all’intenzione e al caos-germe con riferimento a un creator virtuale digitale?
La continua e sconvolgente evoluzione delle nuove tecnologie non può non passare, almeno in termini artistici, attraverso nuove consapevolezze ermeneutiche, dalle quali, oggi, siamo ancora molto lontani.
Marco Eugenio Di Giandomenico
(Critico d’arte contemporanea)