Coronavirus, lettera aperta da una scuola di danza.

da Roberto Altamura del Milano Contemporary Ballet riceviamo e pubblichiamo

È il 23 febbraio del 2020. Una domenica come tante, un week end in cui lavoro come tutti gli altri. Sono circa le 15.00, quando una domenica come le altre si trasforma in quello che sarebbe diventato un momento di sospensione per la mia vita e quella di tante altre persone.

In Lombardia quel giorno viene emanata la prima ordinanza che ci obbliga a sospendere tutte le nostre attività. Oggi è il 15, aprile sono le 14.00 e la mia vita, le nostre vite, sono ancora in stand by.

Cosa c’è di diverso nella mia storia rispetto alla storia di qualsiasi altra persona in questo lockdown?

Forse nulla, forse tutto. Dirigo una scuola di danza, Milano City Ballet. Un contenitore di idee, possibilità per molti ragazzi, un luogo di lavoro per professionisti della danza.

 

Ci troviamo ad oggi in una situazione confusa e complessa, dimenticati da qualsiasi istituzione o ente che avrebbe dovuto prendersi cura di noi, avrebbe dovuto rassicurarci, darci un piano per risollevarci quando tutto questo sarà finito. E invece il nulla. Il silenzio.

La mia, come moltissime delle realtà presenti in Italia, è una Società Sportiva, perché al momento è l’unica forma giuridica che ci permette di svolgere il nostro lavoro in trasparenza e legalità.

Ci affiliamo al CONI, come ogni anno, e spendiamo migliaia di euro per assicurare i nostri allievi con enti come l’ASI. Ecco, in questo momento, loro che dovrebbero tutelarci, darci risposte, rappresentarci, dove sono? Neanche a inizio emergenza dopo il primo DPCM c’è stata chiarezza da parte del CONI. Il decreto era confuso, non parlava di noi, bisognava interpretarlo. La confusione è stata tale che qualcuno decideva di rimanere aperto, qualcuno non sapeva cosa fare, qualcuno svolgeva le proprie attività all’aperto e così è stato per un paio di settimane, fino a quando hanno deciso di integrare i decreti successivi anche con la dicitura “scuole di ballo”.

Da quel momento nuovamente il nulla.

Le nostre strutture, almeno in Lombardia, hanno chiuso le proprie porte dal 24 di febbraio, nessuna entrata, ma molti di noi hanno affitti, mutui, finanziamenti, condomini, utenze, commercialisti da pagare. L’attuale provvedimento prevede sospensioni di pagamento solo per quelle realtà che si appoggiano a strutture comunali, e noi che investiamo e abbiamo investito nelle nostre strutture private? I progetti per questa stagione sono saltati, tra cui saggi, audizioni, workshops, collaborazioni con realtà all’estero. E con le nostre strutture ci portiamo dietro una serie di “maestranze” che senza noi ovviamente non avranno da lavorare: Teatri, laboratori di sartoria, aziende di fornitura per la danza, collaboratori e insegnanti. Nella mia struttura ho undici persone che lavorano con me, undici professionisti che sono a casa, da quasi due mesi, e ci resteranno ancora per un po’. Potranno usufruire del bonus di 600 euro e della cassa integrazione in deroga (quest’ultima ancora non pervenuta ), ma alcuni di loro hanno famiglie, mutui, affitti…

 

Continuano a dirci che dobbiamo reinventarci, tantissime le iniziative online attualmente. Ma in questo momento il mio pensiero è confuso in merito. Ci battiamo sempre molto per inculcare agli allievi e ai genitori quanto sia importante investire il proprio tempo e anche il proprio denaro nella struttura giusta, di quanto sia necessario lavorare in una sala danza che possa essere definita tale, e quanto sia importante il contatto maestro-allievo per comprendere e mettere in pratica la correzione.

Non giudico chi per esempio ha deciso di tenere classi online solo per i propri allievi, impostando il proprio lavoro su obiettivi diversi dal solito, ma vedo anche lezioni gratuite di ogni genere e livello. Ci siamo chiesti quanto possa fare male ad alcuni allievi? Non tutte le lezioni vanno bene per tutti, è un mondo che non ha controllo, non mi fa sentire a mio agio. Ci siamo interrogati su quanto possa fare ancora più male questo al nostro mondo in un momento già ferito. Oggi ho visto la pubblicità di un quadrato di tappeto danza da usare a casa, bellissima idea, ma davvero vogliamo che il messaggio possa diventare: non hai bisogno di una scuola, la scuola viene a casa tua! Probabilmente sto esagerando preso dallo sconforto, o forse non ho un approccio così risoluto, ma se così non fosse?

Io ho deciso per esempio di utilizzare questo momento per dare ai nostri allievi tutto quello che di solito non riusciamo a dare per questioni di tempo: approfondimenti su nozioni tecniche, cenni storici, video di balletti di repertorio e creazioni contemporanee, qualche attività creativa per i più piccoli e qualche esercizio di improvvisazione per i più grandi.

 

… ma il punto è: cosa succederà per noi nella fase 2?

Questo non è dato saperlo, perché ovviamente rientriamo ancora una volta in un calderone con altre centinaia di attività, che sappiamo benissimo non possono essere disciplinate tutte allo stesso modo. Forse riusciremo a riprendere con le nostre lezioni a giugno? Potremo andare avanti fino a luglio, tenendo lezioni con circa cinque persone per corso? Potrebbe essere una soluzione, ma come riusciremo a sopportare il costo di tenere il doppio o il triplo delle lezioni? E per la prossima stagione cosa succederà? Riapriremo a settembre e dovremo ancora mantenere questi numeri? Il CONI ci abbonerà i mesi che abbiamo perso per la prossima affiliazione per supportarci? La SIAE sposterà le scadenze degli abbonamenti annuali che paghiamo per supportarci? La verità è che tutto questo non lo sappiamo e non lo sapremo, molti non ce la faranno, e quelli che potranno aspirare a farcela dovranno rimboccarsi le maniche e ricostruire tutto come se fosse il primo giorno. Questo è un peccato. Noi scuole di danza rappresentiamo un grande aiuto e supporto per le famiglie, per i ragazzi, sia per quelli che aspirano a fare della danza la propria carriera sia per quelli che si appassionano e rendono questa disciplina una parte complementare della propria vita.

Esistiamo, anche se non abbiamo voce, non abbiamo intermediari politici che si battono per noi, per il nostro lavoro. Perché sì, a volte si dimentica che anche il nostro è un lavoro. Alcuni di noi investono nella formazione e nelle proprie strutture.

Ho sempre pensato che da solo potessi muovere montagne, perché sono combattivo, ho spirito di sacrificio e perché in fondo, diciamocelo, nel nostro mestiere siamo abituati a investire il 100% della nostra vita se abbiamo dei progetti. Ma questa volta è diverso, non possiamo essere soli. Da soli tanti di noi potrebbero non farcela.

Tutti noi meritiamo delle risposte dalle istituzioni che ci rappresentano, e forse è arrivato il momento che tutti quei personaggi che di solito si atteggiano a guru della danza, e solitamente si indignano per molto meno, facciano sentire la loro voce e ci supportino.

 

 

 

Roberto Altamura