Le sfide del sistema bancario per sostenere lo sviluppo, l’incontro alla Popolare di Sondrio.

Rivalutare la storia e il ruolo delle banche popolari come banche del territorio, perno di quella rete di community banks che in un Paese come l’Italia, caratterizzato da un altissimo numero di piccole e medie imprese, è l’unica in grado di assicurare il legame profondo che ogni sano sistema bancario deve avere con le reali esigenze del tessuto produttivo per assolvere alla sua essenziale funzione propulsiva di sviluppo del sistema Paese.

Questo il tema al centro del convegno “Sviluppo e sistema bancario”, promosso dalla Banca Popolare di Sondrio, in collaborazione con la società di consulenza aziendale Vitale Zane & Co. svoltosi oggi a Sondrio.

Mario Alberto Pedranzini, Direttore Generale e Consigliere Delegato di Banca Popolare di Sondrio, ha commentato: “Il convegno che abbiamo ospitato oggi, nato dall’idea e dalla passione dell’amico professor Marco Vitale, è un primo importante momento di sintesi di una filosofia del fare banca che rivaluta il ruolo delle banche del territorio e ne ribadisce l’insostituibile funzione di sostegno alle imprese e alle famiglie. Una filosofia che, in realtà, non è nuova, perché si riallaccia a quella dei grandi banchieri della nostra tradizione italiana. È emerso chiaramente, dagli interventi degli importanti relatori presenti questa mattina, che senza un efficiente sistema bancario che supporti gli sforzi del mondo imprenditoriale a muoversi e operare con successo in questo scenario così complesso, non ci può essere sviluppo economico. Questo è il momento di rilanciare il tema cruciale del ruolo delle banche territoriali per il sistema Paese, un modello di cui Banca Popolare di Sondrio è espressione da 150 anni”.

 

Per molto tempo in questi anni, sotto la pressione della Bce, le autorità monetarie e i governi, pressati da situazioni contingenti nel mondo del credito, si sono concentrati sulle banche popolari di dimensioni medie e medio-piccole, caratterizzate da un profondo radicamento nel territorio.

Obbligate per decreto a trasformarsi in Spa, in nome della stabilità finanziaria e della concorrenza, le banche popolari sono state spesso sacrificate a una politica di acquisizioni e fusioni bancarie, perseguendo l’idea che solo gruppi bancari di grandi dimensioni garantissero efficienza e stabilità, contribuendo invece a dar vita a banche too big to fail, troppo grandi per fallire che, spesso, hanno modificato il vitale rapporto tra banca e territorio.

Che ruolo hanno invece le community banks nell’attuale sistema bancario italiano? E, soprattutto, qual è e quale potrebbe esser il loro contributo allo sviluppo economico del nostro paese?

Secondo Stefano Zamagni, professore di economia ed etica d’impresa all’università di Bologna, “l’accesso al credito è una delle vie più sicure per vincere la povertà, ecco perché non favorire la biodiversità bancaria, in nome dell’errato principio secondo cui “one size fits all” (una stessa dimensione va bene per tutti), costituisce una violazione del principio di libertà che una avanzata economia di mercato non può certo tollerare. Battersi dunque per difendere la biodiversità bancaria significa impegnarsi per una autentica battaglia di civiltà”.

Marco Onado, docente alla Bocconi di Milano, sulla base delle più recenti ricerche scientifiche e degli stessi dati della Bce, ha mostrato come la redditività e l’efficienza delle banche non dipende dalla loro dimensione, che le banche piccole medie di comunità possono essere anzi altrettanto, se non più efficienti e redditizie delle grandi e che, in ogni caso, sono in grado di valutare e conoscere meglio le esigenze creditizie delle imprese del territorio e i bisogni dei risparmiatori locali. Le community banks, insomma, svolgono una funzione diversa da quella delle grandi banche e questa biodiversità bancaria è ciò che va soprattutto tutelato perché aumenta l’efficienza del sistema bancario nel suo complesso, rendendolo in grado di rispondere alle sfide che i mutamenti di scenario di volta in volta impongono.

“Il processo di riforma del credito cooperativo ha significativamente modificato la struttura del sistema bancario territoriale italiano. Alla luce di questi importanti cambiamenti strutturali, che non sono stati accompagnati da una modifica delle caratteristiche del sistema produttivo del Paese, la presenza di banche di diversa natura deve essere ritenuta ancora necessaria al fine di assicurare un adeguato sostegno all’economia italiana” ha confermato Rosa Cocozza, docente di economia degli intermediari finanziari all’Università Federico II di Napoli.

A dar voce all’impresa è stato Giacomo Pedranzini, imprenditore valtellinese ceo di Kometa, azienda operante nel settore agroalimentare. Ripercorrendo la sua esperienza ha mostrato come oggi “è più che mai urgente e necessario che le banche tornino a essere al servizio delle imprese e dei risparmiatori e come, su questa via, le banche di territorio siano oggi quelle più adatte e meglio attrezzate perché conoscono le peculiarità, le famiglie, gli equilibri economici e hanno la capacità di sostenere quelle attività marginali che hanno tanta importanza per evitare l’abbandono”.

Siamo, insomma, in presenza di una situazione che richiederebbe oggi un vero e proprio mutamento di cultura bancaria, con la ripresa di un pensiero critico e di una visione unitaria e sistemica come quella di un grande banchiere della tradizione italiana, Raffaele Mattioli, di cui al convegno Andrea Calamanti, ordinario di economia degli intermediari finanziari, e Alfonso Scarano, analista finanziario indipendente, hanno tracciato un profilo teso ad attualizzarne il pensiero.