A mio papà Giuseppe Ferraro (1-6-1930 18-3-2024)

di Carmelo Ferraro

Tutto è cominciato con nonna Giuseppina, una madre di 7 figli di un paesello dell’interno della Sicilia (Sommatino) quando, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, dice al quinto figlio, Giuseppe giovanissimo garzone di paese di andare con suo fratello nella lontana e grande milano. “Li sono sicuro che realizzerai la tua vita al meglio perché ne hai le capacità e perché a Milano ci sono le possibilità” cosi ricordava Giuseppe le parole della mamma.

Giuseppe, arriva a Milano solo con una valigia, un sorriso,  tanti progetti e il volto e la promessa dell’amata mamma che lo accompagnano. E’ tutta qui la vita, una missione una speranza, non c’è bisogno di altro. Non c’è stato bisogno di altro. Il resto della storia si è dipanata con intensità e bellezza.

Arriva l’amore, la famiglia, il sogno che si realizza di un lavoro tutto suo, scommessa di vita e di futuro.

Dalla sua bottega inizia un racconto meraviglioso che ha attraversato anni, persone, 4 generazioni di clienti, riconoscimenti e persino la pandemia, (Giuseppe è stato l’unico parrucchiere di 90 anni che il famoso 4 novembre 2020 ha riaperto la bottega per accogliere i clienti che lui diceva “mi aspettano  da quasi una anno”).

Giuseppe non si limitava a svolgere ogni giorno il suo lavoro, non era solo un taglio di capelli, ma andare da lui era un momento di incontro al quale non si sottraeva nessuno, dai bambini agli anziani, dai dirigenti agli operai dell’Alfa, dagli extracomunitari ai turisti. La bottega era un luogo incredibile di cultura, musica, accoglienza e amicizia era come diceva lui “il secondo Loggione della Scala”.

Mio papà ascoltava, sorrideva, raccontava e intanto faceva con maestria barba e capelli. Un punto fermo per tutti, una presenza certa nel quartiere.

I tantissimi riconoscimenti che ha avuto sono testimonianza di quanto ha realizzato con la sua bottega: prima l’attestato di Bottega Storica, poi l’Ambrogino e infine il titolo di Cavaliere della Repubblica.

Eppure, sono convinto che non per i titoli che lo ricorderemo, ma per quello che ha realizzato partendo da una semplice bottega: ha costruito relazioni fatte di affetto e amore, ha donato sorrisi e presenza, ha dato un esempio, non facendo cose straordinarie (se mai esistano le cose straordinarie) ma facendo il proprio lavoro e donando tutto se stesso. D’altro canto lui diceva Milano mi ha dato tutto,  io devo restituire a tutti, era soddisfatto della sua vita e quindi felice di raccontarla nella sua bottega per oltre 60 anni. Il racconto del siculo-milanese, cosi si definiva.

Come non parlare anche di quei sui occhi azzurri, penetranti, luccicanti, che non lasciavano nessuno indifferente, perché da soli sapevano esprimere tutta la carica della sua vita. Anche in queste ultime settimane in ospedale, allettato, affaticato e con la voce ormai flebilissima, lui si faceva capire con lo sguardo esprimendo: gioia di vederti, o dolore o affanno, e sempre una grande voglia di vivere.

Infine vorrei ricordare che certamente Giuseppe ha amato il suo lavoro, ma più di ogni cosa ha amato la sua famiglia, sua moglie (in 60 anni di matrimonio), il figlio, le nipoti, sua nuora, gli altri nipoti e sua sorella. Senza dubbio, così come deve essere, la roccia su cui costruire la sua vita è stata la famiglia, partendo dall’abbraccio di sua mamma.

Prima di concludere mi piacerebbe sottolineare la significatività certamente non casuale del luogo dove siamo oggi  l’Istituto Palazzolo, la “nuova casa” che l’ha accolto e curato con estrema professionalità e dedizione.  Non poteva esserci ambito più significativo quale la grande comunità della Fondazione Don Gnocchi per accompagnarci negli ultimi giorni di Giuseppe e guidarci verso una nuova luce.

Concludo con il principale insegnamento di mio papà, condividendo con tutti voi un augurio,  facciamo  della nostra vita un’opera d’arte come mio papà ha fatto ogni giorno. Trasmettendo la determinazione, l’impegno, l’amore e la Fede. Si la Fede, semplice, essenziale, solida.

Buttiamoci a capofitto nelle nostre passioni e condividiamole con gli amici, i familiari e con chi ci chiede aiuto.

Papà, spero di vivere tutti i giorni della mia vita con questa passione e questo amore che ci hai donato e che continuerà a restare con noi.

Ciao papà Giuseppe.

                                                     Carmelo, il figlio colmo di gratitudine

Gazzetta di Milano è vicina a Carmelo Ferraro nel dolore per la perdita dell’amato genitore.