In una lettera-denuncia a Conte, ai ministri Speranza e Dadone, e alle Regioni, il presidente del sindacato Nursing Up Antonio De Palma lancia l’allarme degli infermieri, tra turni insostenibili, Dpi scarsi o di pessima qualità, e ora anche il rischio di morire abbandonati dentro casa, senza neanche quell’assistenza a cui hanno consacrato la loro stessa vita. È un nuovo disperato grido di dolore, quello che si legge nella lunga lettera inviata oggi, sia per ricapitolare le rivendicazioni contrattuali, sia per fare da cassa di risonanza ai territori da cui continuano a giungere notizie sempre più drammatiche, soprattutto riguardo a Rsa, case di riposo e cliniche private.
In Toscana e Piemonte il personale del Servizio sanitario regionale viene dirottato verso le strutture private, laddove si stanno palesando maggiormente i casi di positività, le chiamate avvengono quasi senza preavviso e gli infermieri manifestano alle delegazioni sindacali una certa preoccupazione circa il rispetto delle norme di sicurezza di queste realtà. Fuori dal controllo pubblico possono verificarsi, spiegano gli operatori, comportamenti non adeguati agli standard necessari. Un allarme giustificato che è stato rappresentato dal Nursing Up alle Regioni attraverso proteste scritte e richieste di intervento alle Aziende.
Nel Lazio, dove i vincitori del concorso al Sant’Andrea, quello con una graduatoria aperta di oltre 7.000 colleghi, gli infermieri vengono chiamati ad accettare l’incarico entro tre/cinque giorni, pena l’esclusione dalla graduatoria. Molti di loro, che nel frattempo stavano operando negli ospedali della Lombardia e del Piemonte per dare una mano nell’emergenza, sono stati costretti a dimettersi senza preavviso e pagando la penale prevista, pur di ottenere il posto di lavoro nel Lazio, con gravi ricadute per i posti lasciati scoperti.
Il carico di lavoro in regioni, come il Trentino, è diventato insostenibile, con turni anche di 12-16 ore per più giorni consecutivi, e un rapporto inaccettabile infermiere/pazienti, nonostante siano aumentati i bisogni assistenziali dei malati e di conseguenza sia molto elevato il tasso di mortalità. Il personale quarantenato in Lombardia è numeroso e si fatica a quantificarlo perché i contagi spuntano ovunque, anche nei reparti cosiddetti covid-free. Proprio in quelle zone franche, laddove molte direzioni sanitarie hanno disposto l’uso delle mascherine chirurgiche, vietando le Ffp2, la diffusione del virus si sta allargando a dismisura.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Infermieri, medici e pazienti condividono tutti uno stesso destino: ritrovarsi infettati e venire isolati. Eppure, la famigerata circolare ministeriale che prevede l’uso delle mascherine chirurgiche e basta, continuano imperterriti ad applicarla. Persino in strutture di grande prestigio come il Niguarda di Milano, è storia recente lo spostamento di reparti interi contaminati (Cardiologia 1 e 2), durante il week end di Pasqua. Al termine poi si ripete, quasi rituale, la sanificazione degli ambienti, disposta dalle direzioni sanitarie. Una trafila sempre identica, da cui però non sembra si impari nulla. Invece di organizzare percorsi differenziati ‘sporco-pulito’ con riferimento alle fasi di vestizione/svestizione del personale sanitario che opera nelle unità covid-19.
Nei giorni scorsi è deceduta per coronavirus un’altra infermiera: è già la terza che viene trovata nel suo appartamento quando ormai è troppo tardi. In quest’ultimo drammatico caso in Liguria, la collega sarebbe andata in pensione dopo solo due mesi. Anna Poggi, 64 anni, operava presso l’ospedale Villa Scassi di Genova ed era una professionista di grande competenza. Nell’arco di tre giorni ha manifestato i sintomi e se n’è andata, senza neanche avere la somministrazione del tampone. Stessa sorte, il 10 aprile, era toccata a Nicoletta Corina, 41 anni, infermiera nella casa di riposo di Beinasco (Torino), ritrovata dai vigili del fuoco allertati dal fratello a cui non rispondeva più al telefono. Stessa tragica modalità con cui è stata rinvenuta la collega Concetta Lotti il 25 marzo scorso. Molto nota presso l’ospedale Asilo Vittoria di Mortara (Pavia), dove tutti, al suo reparto di Riabilitazione, la ricordano con stima e affetto.
Si tratta di piccole storie di grandi donne, piccole grandi professioniste infermiere, vissute per assistere i pazienti e per il bene comune, alle quali vogliamo rivolgere un minuto di silenzio denso di rispetto e gratitudine, un tributo ideale che ci piacerebbe si trasformasse in un giorno della memoria che il Paese intero dedicasse loro per riconoscere l’alto senso del dovere e l’abnegazione testimoniate dal loro sacrificio. A imperituro ricordo, affinché non abbia a ripetersi, visto che non sarebbero dovute morire così, proprio loro, senza assistenza.
“Siamo di fronte a una deriva estrema della disastrosa situazione gestionale-organizzativa dell’emergenza. Per questo, prima di intraprendere qualsiasi altra azione in un momento delicato come questo, per dovere istituzionale nei confronti dei nostri concittadini, ci siamo determinati a scrivere ancora una volta, dando contemporaneamente ai nostri esperti e legali il mandato di vagliare le azioni consentite dal nostro ordinamento a tutela dei nostri diritti”. Questo l’appello di Antonio De Palma, presidente del sindacato di categoria, nella lunga missiva indirizzata al presidente del Consiglio, ai ministri Speranza e Dadone, e alle Regioni.