Il 7 settembre di ogni anno è la data in cui le Nazioni Unite celebrano la giornata mondiale per l’aria pulita. Nel sito istituzionale dell’organizzazione si rimarca come l’inquinamento da polveri sottili sia responsabile, a livello globale, di un terzo delle morti da infarto e malattie respiratorie croniche, con una stima di 6,5 milioni di morti precoci all’anno, tenendo conto anche degli effetti dell’inquinamento indoor.
Osservati speciali di quest’anno sono però anche i cosiddetti ‘inquinanti climatici a vita breve’ (SLCP, Short Lived Climate Polluters), cioè quei gas climalteranti, diversi dalla CO2, che permangono in atmosfera per periodi più brevi della CO2. Un tema, questo degli SLCP, destinato a diventare sempre più rilevante, trattandosi di gas che determinano sia impatti sulla salute che sul clima.
La buona notizia è che ridurre le emissioni di questi gas, che si degradano in tempi relativamente brevi, può per questo determinare benefici climatici a breve termine. Lo stesso non accade con la CO2: una volta immessa in atmosfera, ci resta per secoli.
La cattiva notizia è la loro elevata reattività, che dà luogo ad effetti nocivi sugli esseri viventi, incluso l’uomo, ma anche alla generazione di inquinanti secondari che possono essere anche più tossici. Entrambe sono, in ogni caso, ottime ragioni per un impegno globale e locale alla riduzione di questi inquinanti.
In Italia, l’inquinante più critico tra queste molecole è rappresentato senza dubbio dall’ozono, un agente tossico che si forma tipicamente nella stagione estiva, in quanto la reazione chimica che dà luogo alla sua formazione è catalizzata dalla luce solare: si parla infatti di smog fotochimico.
A livello globale, le Nazioni Unite stimano che l’ozono sia la causa di almeno un milione di morti all’anno per patologie dell’apparato respiratorio, principale bersaglio degli effetti tossici di questa molecola. La lotta contro l’inquinamento da ozono richiede una azione per la riduzione dei ‘precursori’: si tratta di molecole, come gli inquinanti da traffico (Nox) o gli idrocarburi volatili generati dall’impiego industriale o domestico di solventi, che innescano la catena di reazioni chimiche che dà luogo alla formazione di ozono.
Tra i precursori dell’ozono quello rilasciato in maggiori quantità è senza dubbio il metano, che è anche un potente gas serra, 80 volte più efficace della CO2 nel determinare riscaldamento atmosferico. A livello globale gli Stati, nel corso della COP 26, hanno condiviso l’impegno (Global Methane Pledge) per una riduzione rapida delle emissioni di questo gas che costituisce il secondo fattore di riscaldamento globale dopo la CO2.
La Pianura Padana spicca tra gli hotspot europei per le elevate concentrazioni di ozono a causa dei suoi precursori, in particolare degli inquinanti da traffico e dal metano, determinato della fortissima concentrazione di allevamenti. In Lombardia, ad esempio, ben il 70% delle emissioni di metano deriva da fonte agricola. Per di più, mentre le emissioni degli altri precursori di ozono vedono emissioni in calo, le emissioni di metano da fonte agricola sono invece in crescita: secondo l’inventario regionale INEMAR, l’agricoltura lombarda emetteva 221.000 tonnellate di metano nel 2010, diventate 235.000 nel 2021, mentre le emissioni complessive degli altri precursori dell’ozono si sono ridotte del 23% nello stesso arco temporale.
‘L’inquinamento estivo da ozono è un problema fortemente sottovalutato,” denuncia Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. “Eppure, la Pianura Padana è l’area europea che maggiormente espone i suoi abitanti agli effetti tossici di questo gas estremamente nocivo. Urge un impegno istituzionale, di cui fino ad ora non vediamo traccia, per la riduzione degli inquinanti che sono all’origine dell’accumulo atmosferico di ozono, ed in particolare del suo precursore più abbondante, il metano, che deriva dall’eccessiva concentrazione di allevamenti intensivi nella pianura lombarda”.
Gli effetti sulla qualità dell’aria non mancano di farsi notare: anche nell’estate appena trascorsa, tutte le città lombarde, con l’eccezione di Sondrio, hanno avuto livelli di ozono ben superiori a quelli raccomandati per la salute umana: le attuali raccomandazioni per la salute umana infatti indicano un valore obiettivo, calcolato come media sulle otto ore di massima insolazione, che non dovrebbe superare i 120 microg/mc, con una tolleranza di 25 giorni all’anno di superamento.
Ebbene, ad oggi, il numero di giorni di superamento nei capoluoghi lombardi è mediamente tra il doppio e il triplo del valore obiettivo, con la situazione peggiore a Bergamo e la meno peggio a Pavia. Solo a Sondrio i picchi pericolosi di inquinamento fotochimico appaiono sotto controllo.
Da notare come la cattiva qualità dell’aria estiva si distribuisca in modo differente rispetto all’inverno. Mentre in inverno le città più inquinate sono quelle della bassa padana, gravate dagli effetti dell’inversione termica, in estate invece l’inquinamento da ozono picchia più duro nelle località pedemontane, dove le masse d’aria inquinata provenienti dalla pianura vengono rallentate dall’ostacolo costituito dalla catena montuosa alpina. Così Bergamo, Brescia e Lecco sono tra le città che, in estate, soffrono gli effetti più nocivi dell’inquinamento da ozono.