Musica Maestri! Concerto speciale per la ricerca oncologica lunedì 24.

Conservatorio di Musica G. Verdi di Milano

 

MUSICA MAESTRI!

La stagione dei docenti del Conservatorio di Milano

al Museo Nazionale Scienza e Tecnologia

 

CONCERTO STRAORDINARIO

In collaborazione con Fondazione IEO-MONZINO per sostenere la ricerca oncologica

Appuntamento straordinario, fuori sede, per la rassegna MUSICA MAESTRI! che vede in scena i docenti del Conservatorio di Musica G. Verdi di Milano, lunedì 24 ottobre alle ore 20.30 al Museo Nazionale Scienza e Tecnologia, con cui il Conservatorio milanese ha in essere un allargato accordo di collaborazione.

Protagonisti dell’appuntamento Ivana Valotti organista e docente di organo al Verdi di Milano, e Giovanni Acciai, per lunghi anni docente presso lo stesso Istituto, alla guida dell’ensemble Nova Ars Cantandi.

 

Dei più preziosi il programma che prevede l’esecuzione in prima assoluta di pagine di Giovanni Legrenzi, a cui Nova Ars Cantandi dedica un progetto pluriennale di ricerca ed esecuzione.

 

Profondo il senso del concerto, che “unisce il bello al buono”: la serata infatti nasce in collaborazione con Fondazione IEO-MONZINO per sostenere la ricerca oncologica.

 

La Fondazione IEO-MONZINO è un ente senza scopo di lucro ed è l’unica che finanzia esclusivamente e direttamente la ricerca clinica e sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia e del Centro Cardiologico Monzino: da oltre 25 anni il suo obiettivo è individuare le cure migliori e sostenere progetti innovativi attraverso un circolo virtuoso che consente, in totale trasparenza e senza sprechi, di mettere a disposizione dei pazienti ciò che i ricercatori scoprono in laboratorio. Il finanziamento alla ricerca si conferma essere strategico per il lavoro dei medici e degli scienziati che lavorano al Monzino e allo IEO, perché i progressi e i risultati raggiunti in laboratorio possano essere velocemente trasformati in cure più personalizzate, e si traducano in sistemi diagnostici sempre più efficaci. L’impegno prioritario della Fondazione IEO-MONZINO è dunque rinforzare ulteriormente la raccolta fondi così da rendere disponibili preziose risorse a sostegno della Ricerca di eccellenza svolta da IEO e Monzino e consentirne il lavoro con continuità e sul medio/lungo periodo. fondazioneieomonzino.it

 

Di seguito il programma e la presentazione a firma di Giovanni Acciai.

 

Lunedì 24 ottobre

Museo Nazionale Scienza e Tecnologia

Sala del Cenacolo

ore 20.30

 

Programma

 

HARMONIA DI AFFETTI DEVOTI

 

Girolamo Frescobaldi

Toccata, per organo (Codice Chigi 29)

 

Giovanni Legrenzi

Alma redemptoris mater, per Canto, Alto, Tenore, Quinto, Basso e Basso continuo

Occurite coelestes, per Alto, Tenore e Basso continuo

Ave, regina caelorum, per Canto, Alto, Tenore, Quinto, Basso e Basso continuo

 

Girolamo Frescobaldi

Canzona, per organo (Codice München 1581)

 

Giovanni Legrenzi

Ecce fideles, per Canto, Tenore, Basso e Basso continuo

Regina coeli laeare, per Canto, Alto, Tenore, Quinto, Basso e Basso continuo

Albescite flores, per Canto, Alto, Tenore, Basso e Basso continuo

 

Girolamo Frescobaldi

Terza Toccata [in forma di] canzone, per organo (Codice Bodmer)

 

Giovanni Legrenzi

Salve, regina, per Canto, Alto, Tenore, Quinto, Basso e Basso continuo

Obstupescite caelites, per Canto, Alto, Tenore, Basso e Basso continuo

Litaniae Beatae Mariae Virginis, per Canto, Alto, Tenore, Basso e Basso continuo

 

Nova Ars Cantandi

Alessandro Carmignani, Soprano

Andrea Arrivabene, Contralto

Alberto Allegrezza, Tenore

Gianluca Ferrarini, Tenore

Marcello Vargeto, Basso

 

Ivana Valotti, Organo

 

Giovanni Acciai, Direttore

 

 

Ingresso libero con prenotazione all’indirizzo biglietteria@consmilano.it

 

Dal programma di sala

 

Harmonia d’affetti devoti

Non si può negare che ogni epoca storica mantenga nei confronti di alcuni musicisti del passato atteggiamenti discriminanti, avvalorati talvolta da giudizi superficiali e sbrigativi. Mentre molti compositori dei secoli scorsi sono stati, in tempi recenti, riscoperti e rivalutati, altri, pur importanti all’epoca nella quale vissero e operarono sono rimasti confinati in angoli bui della storia e, dunque, completamente dimenticati.

È il caso di Giovanni Legrenzi (1626-1690), la vita e l’opera del quale si configurano in modo tale da rientrare per molti aspetti in quest’ordine di idee. Infatti, l’attenzione riservata, in tempi recenti, dagli studiosi e dagli esecutori a questo musicista non è stata né sollecita né adeguata all’importanza che il personaggio richiedeva, tenuto conto ch’egli fu, in maniera indiscutibile, una delle figure piú importanti e piú rappresentative della storia della musica europea del secolo XVII.

Tantomeno i suoi drammi musicali, i suoi oratorî, la sua musica sacra e strumentale meritano il trattamento finora riservato alle cose di seconda mano. Non lo meritano, prima di tutto, perché di seconda mano non sono; al contrario, l’arte compositiva di Legrenzi figura nel firmamento della musica europea del Seicento, come stella di prima grandezza.

Ammirato, non a caso, da Bach, da Händel, da Hasse e da tanti altri compositori del suo tempo, Giovanni Legrenzi fu senza dubbio uno dei massimi rappresentanti della musica italiana del Seicento; autore fra i piú degni di occupare un posto di rilievo nella storia musicale universale. Egli è infatti il musicista capace di riassumere in sé i tratti caratteristici di un’epoca (quella barocca) e di compendiarli tutti nella sua arte creativa.

La sua musica è veramente rappresentativa dello stile barocco; si eleva a un apice di grande intensità espressiva attraverso un linguaggio musicale caratterizzato da un contenuto sottile e facile da comprendere, da una singolare raffinatezza melodica, da un erudito gusto armonico, da una impeccabile declamazione del testo.

Le musiche di Legrenzi e di Frescobaldi, radunate nel programma qui proposto, eseguite per la prima volta in epoca contemporanea, costituiscono un’occasione d’ascolto preziosa per accostarsi a questa beatitudine sonora e per godere appieno della sapienza compositiva dei loro autori.

Mentre i brani frescobaldiani sono giunti a noi manoscritti, quelli legrenziani provengono da due raccolte a stampa, l’Harmonia d’affetti devoti, a due, tre e quattro voci, opera terza e le Compiete con Lettanie et Antifone della Beata Vergine, a cinque voci, rispettivamente del 1655 e del 1657. Sono musiche risalenti agli anni giovanili di Legrenzi ovvero, al periodo durante il quale il Nostro prestava servizio, con funzioni di organista, presso la Basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo e come maestro di cappella presso l’Accademia dello Spirito Santo di Ferrara.

Ci troviamo di fronte, a due opere giovanili, all’affinamento delle tecniche di scrittura delle quali il Maestro clusonese farà ampio impiego nel corso della sua lunga e feconda carriera compositiva, sia nell’ambito del repertorio sacro sia in quello dell’oratorio e dell’opera in musica, generi, questi ultimi, ai quali il Nostro dedicherà le sue energie migliori negli anni del soggiorno veneziano (1672-1690), prima di assumere il prestigioso incarico di maestro di cappella della Basilica di San Marco.

Nonostante la giovane età, Legrenzi dimostra qui di possedere un bagaglio tecnico di straordinario valore e di saperlo adeguare alle nuove istanze stilistiche del suo tempo, le quali procedendo nel solco della «seconda prattica» monteverdiana, volevano al centro dell’atto creativo la «parola», declinata in tutta la sua forza espressiva, in tutta la sua corposità rappresentativa. Non il contrario, com’era stato in precedenza, nel corso del Cinquecento, per la «prima prattica» di palestriniana memoria.

Rendere il suono della parola per il tramite sonoro della musica diventa l’impegno costante che guida il nostro compositore nella realizzazione della sua opera musicale. Esaltare le funzioni espressive della parola, evidenziarne le valenze semantiche attraverso l’intima aderenza del suono verbale al suono musicale è ora il compito primario perseguito, la condicio sine qua non.

Legrenzi non fa certo mistero di aver studiato a fondo le musiche di Claudio Monteverdi, di averle assunte a proprio modello di riferimento, di averne assimilato, fin nei recessi piú profondi, la dirompente modernità insieme con la possente forza espressiva. Ma la devozione verso il «divino Claudio» non si riduce a mera opera di ricalco. Si trasforma in una ricerca continua, in uno scavo incessante volto all’ottenimento di una personale, inconfondibile cifra stilistica.

Proprio per conferire il maggior risalto possibile ai testi poetici posti in musica, il nostro autore dà fondo a ogni espediente di scrittura musicale disponibile e lo adatta al carattere e al loro recinto espressivo. In conseguenza di ciò, i recitativi, gli ariosi, i concertati con poche voci oppure pleno choro, in «stile antico» o in «stile moderno» che affollano tutta la sua produzione polivoca, non sono soltanto semplici «utensili di lavoro» nelle mani di un pur abile artigiano. Essi sono invece dei veri e proprî espedienti retorici, utilizzati scientemente per rappresentare, già a livello stilistico e formale, gli affetti e gli elementi emotivi insiti nel testo intonato. D’altra parte, per il musicista barocco, nessun’arte retorica aveva piú forza di persuasione e piú potere di asservimento sulla mente umana della musica.

In questo contesto vanno considerate con attenzione le scelte del nostro compositore riguardanti la distribuzione delle parti nell’àmbito dell’ordito polivoco; l’esaltazione di specifici ruoli timbrici affidati a singole voci per la rappresentazione simbolica del portato emozionale delle parole (Occurite caelestes); l’ideazione melodica sempre chiara, incisiva, elegante, sorprendente, caratterizzata da una vena inventiva e da una volontà di comunicazione espressiva inesauribili (Albescite flores); la tessitura di una trama contrappuntistica già matura nella contrapposizione e nel contrasto dei temi che la innervano (Obstupescite caelites); le sapide migrazioni da un piano tonale all’altro, per il tramite di raffinate cadenze ora sospese ora d’inganno ora conclusive per esaltare i singoli episodi nei quali i brani sono articolati.

Non meno sature di ingegnose «invenzioni», sono le parti in stylus gravis o antiquus inserite un po’ ovunque nelle sezioni dei brani: luoghi privilegiati nei quali Legrenzi ostenta la padronanza di una tecnica di scrittura a dir poco formidabile. Paradigmatici, al riguardo, sono gli attacchi del Salve, regina, del Regina coeli o alcune parti interne delle Litanie che nella loro severa riproposizione di stilemi contrappuntistici del passato, sembrano evocare l’immagine di un motetto palestriniano, tanto è pertinente la loro aderenza stilistica a quel sublime modello compositivo. Ma sono soprattutto le sezioni conclusive dei brani che ascolteremo, il luogo privilegiato nel quale Legrenzi, contrappuntista e armonista di indiscusso talento, può dar libero sfogo a tutta la sua maestria tecnica. Nelle sue mani, tutto il repertorio del contrappunto vocale tradizionale fatto di imitazioni, di canoni, di fughe perde qualsiasi riflesso di esercizio accademico e si trasforma in veicolo espressivo saturo di contenuti e di significati. In altre parole, per il nostro autore, il ricorso allo stylus ecclesiasticus è sempre finalizzato all’immediatezza espressiva della parola, non certo allo sterile quanto vacuo artificio combinatorio delle linee vocali: non algidi congegni contrappuntistici, ma pulsante volontà di comunicazione e di dialogo affettivo.

Si ascoltino allora i mirabili fugati di Albescite flores oppure l’Alleluja conclusivo di Obstupescite caelites per rendersene conto.

Ma non è tutto. Nell’Ave, regina caelorum, il nostro compositore, non pago di quanto fin qui realizzato, si cimenta con qualche cosa di ancora piú arduo e complesso.

Sopra un motivo ascendente di sette suoni, parafrasi del melisma adornante la parola «vale» dell’antifona mariana, Legrenzi realizza un cantus firmus a valori larghi che pone alla base della sua mirifica costruzione. Enuncia per primo il tema il Tenor, al quale risponde alla quinta sopra l’Altus in canone con il Bassus a distanza di due tempi; a sua volta, il Cantus propone il soggetto alla quarta sopra in canone con il Quintus, mentre le voci di volta in volta non impegnate nella declamazione del cantus firmus, intonano brevi controsoggetti in serrata imitazione fra loro. Un esempio di scrittura contrappuntistica ricercata, ricca di idee sofisticate, fuori da schemi prevedibili. In una sola parola, geniale. Come si vede, nessuna nota è lasciata qui al caso ma risponde a plurime leggi della musica tanto nella sua unicità quanto nel suo essere parte di un gruppo, di una frase, di una sezione, di una forma, oppure nel suo porsi in rapporto con altre note con le quali comporre una melodia, realizzare un’armonia, tessere una trama contrappuntistica.

Davvero il nostro autore è musicista meritevole della piú alta considerazione, uno dei piú degni di occupare un posto di primissimo piano nella storia musicale universale.

Il valore della sua sta nella piena aderenza al comandamento monteverdiano che voleva la musica «serva dell’horatione». In lui, tale asservimento non avviene in forma meccanica e acritica, ma nella consapevolezza che la parola è già canto prima ancora di essere rivestita di suoni. Essa possiede un battito cardiaco: sillabe e accenti le conferiscono il respiro, il flatus vocis. Il canto, a sua volta, non adempie soltanto a una funzione musicale o estetica in quanto esibizione di bellezza. Esso assolve soprattutto a una funzione di rappresentazione dell’espressione e dei sentimenti insiti nella parola. Il canto, dunque, come testimonianza suprema di un sapere segreto del quale, soltanto Legrenzi, possedeva le chiavi. (Giovanni Acciai)