La pace e i giovani al centro del discorso di fine anno del Presidente della Repubblica

“Uniti siamo forti”, e “possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia. Qualcosa di importante. Con i nostri valori. Con la solidarietà di cui siamo capaci. Con la partecipazione attiva alla vita civile”. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel tradizionale messaggio di fine anno, sceglie ancora una volta la cifra di un realismo che non può “distogliere il pensiero da quanto avviene intorno a noi. Nella nostra Italia, nel mondo”.

Tuttavia l'”angoscia per la violenza cui, sovente, assistiamo: tra gli Stati, nella società, nelle strade, nelle scene di vita quotidiana”, non deve “farci vincere dalla rassegnazione. O dall’indifferenza. Non dobbiamo chiuderci in noi stessi”, perchè ci troviamo “in una stagione che presenta tanti motivi di allarme. E, insieme, nuove opportunità”.

E’ un’esortazione che il Capo dello Stato indirizza ai giovani, che “si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere; e di cui non condividono andamento e comportamenti”. Ma “in una società così dinamica, come quella di oggi, vi è ancor più bisogno dei giovani. Delle speranze che coltivano. Della loro capacità di cogliere il nuovo”.

Ad essi Mattarella si rivolge quando parla della “violenza più odiosa”, quella sulle donne: “cari ragazzi, ve lo dico con parole semplici: l’amore non è egoismo, dominio, malinteso orgoglio. L’amore –quello vero– è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità”.

Ma occorre anche “prestare attenzione alle esigenze degli studenti, che vanno aiutati a realizzarsi. Il cui diritto allo studio incontra, nei fatti, ostacoli. A cominciare dai costi di alloggio nelle grandi città universitarie; improponibili per la maggior parte delle famiglie”.

Il pensiero del Capo dello Stato non dimentica gli anziani “preoccupati di pesare sulle loro famiglie, mentre il sistema assistenziale fatica a dar loro aiuto. Si ha sempre bisogno della saggezza e dell’esperienza. E di manifestare rispetto e riconoscenza per le generazioni precedenti. Che, con il lavoro e l’impegno, hanno contribuito alla crescita dell’Italia“.

Una sguardo che abbraccia tutte le componenti della società e che si basa sul presupposto che è più che mai necessario “fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità della pace. La violenza delle guerre in corso, evocate e minacciate” infatti “non nasce da sola”, ma “da quel che c’è nell’animo degli uomini. Dalla mentalità che si coltiva. Dagli atteggiamenti di violenza, di sopraffazione, che si manifestano”.

Allora “parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità. Volere la pace non è neutralità; o, peggio, indifferenza, rispetto a ciò che accade: sarebbe ingiusto, e anche piuttosto spregevole. Perseguire la pace vuol dire respingere la logica di una competizione permanente tra gli Stati. Che mette a rischio le sorti dei rispettivi popoli. E mina alle basi una società fondata sul rispetto delle persone”.

Ma “per conseguire pace -ripete Mattarella– non è sufficiente far tacere le armi. Costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera. Dipende, anche, da ciascuno di noi. Pace, nel senso di vivere bene insieme. Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà“.

Tutto questo, evidenzia il Presidente della Repubblica, mentre “l’intelligenza artificiale che si autoalimenta, sta generando un progresso inarrestabile. Destinato a modificare profondamente le nostre abitudini professionali, sociali, relazionali. Ci troviamo nel mezzo di quello che verrà ricordato come il grande balzo storico dell’inizio del terzo millennio. Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede, nella persona -e nella sua dignità- il pilastro irrinunziabile. Un passaggio epocale” che chiama tutti ad una “partecipazione attiva alla vita civile”.

Innanzi tutto “a partire dall’esercizio del diritto di voto”, perchè “per definire la strada da percorrere, è il voto libero che decide. Non rispondere a un sondaggio, o stare sui social. Perché la democrazia è fatta di esercizio di libertà. Libertà che, quanti esercitano pubbliche funzioni -a tutti i livelli-, sono chiamati a garantire. Libertà indipendente da abusivi controlli di chi, gestori di intelligenza artificiale o di potere, possa pretendere di orientare il pubblico sentimento”.

“Prima che un dovere, partecipare alla vita e alle scelte della comunità -rimarca il Capo dello Stato– è un diritto di libertà. Anche un diritto al futuro. Alla costruzione del futuro. Partecipare significa farsi carico della propria comunità. Ciascuno per la sua parte”.

È in questo modo e non con la “violenza verbale” e con le “espressioni di denigrazione e di odio che si presentano, sovente, nella rete” che è possibile “occuparsi efficacemente dei problemi e delle emergenze che, cittadini e famiglie, devono affrontare, giorno per giorno”.

Mattarella li passa in rassegna in modo analitico: “ll lavoro che manca. Pur in presenza di un significativo aumento dell’occupazione. Quello sottopagato. Quello, sovente, non in linea con le proprie aspettative e con gli studi seguiti. Il lavoro, a condizioni inique, e di scarsa sicurezza. Con tante, inammissibili, vittime. Le immani differenze di retribuzione tra pochi superprivilegiati e tanti che vivono nel disagio”.

E poi “le difficoltà che si incontrano nel diritto alle cure sanitarie per tutti. Con liste d’attesa per visite ed esami, in tempi inaccettabilmente lunghi. La sicurezza della convivenza. Che lo Stato deve garantire. Anche contro il rischio di diffusione delle armi”.

Tutto questo richiede per l’appunto assunzione di responsabilità da parte di ciascuno, a partire dalla necessità “di contribuire, anche fiscalmente” ai bisogni della Nazione. Non va dimenticato infatti che “l’evasione riduce, in grande misura, le risorse per la comune sicurezza sociale. E ritarda la rimozione del debito pubblico; che ostacola il nostro sviluppo”.

Come già sottolineato in numerose altre occasioni, il Capo dello Stato invita quindi a lasciare da parte ansia e paura e a guardare alla “forza della Repubblica” rappresentata dalla “sua unità. Unità non come risultato di un potere che si impone. L’unità della Repubblica è un modo di essere. Di intendere la comunità nazionale. Uno stato d’animo; un atteggiamento che accomuna; perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace. I valori che la Costituzione pone a base della nostra convivenza. E che appartengono all’identità stessa dell’Italia“.

“Questi valori –nel corso dell’anno che si conclude- li ho visti testimoniati da tanti nostri concittadini”. Mattarella conclude evocando, a mo’ di esempio la “composta pietà della gente di Cutro“; l'”operosa solidarietà dei ragazzi di tutta Italia che, sui luoghi devastati dall’alluvione, spalavano il fango; e cantavano ‘Romagna mia’”; i “sorrisi dei ragazzi con autismo che lavorano con entusiasmo a Pizza aut”.

Il Presidente della Repubblica ricorda poi la visita a Casal di Principe, dove “i beni confiscati alla camorra sono diventati strumenti di riscatto civile, di impresa sociale, di diffusione della cultura. Tenendo viva la lezione di legalità di don Diana”. Sottolinea ancora il “radunarsi spontaneo di tante ragazze, dopo i terribili episodi di brutalità sulle donne. Con l’intento di dire basta alla violenza. E di ribellarsi a una mentalità di sopraffazione”.

Infine Mattarella rende omaggio all'”impegno” e alla “determinazione di donne e uomini in divisa. Che operano per la nostra sicurezza. In Italia, e all’estero”; alla “passione civile di persone che, lontano dai riflettori della notorietà, lavorano per dare speranza e dignità a chi è in carcere”. E a chi “ha lasciato il proprio lavoro per dedicarsi a bambini, ragazzi e mamme in gravi difficoltà”.

“A tutti loro -è il saluto finale del Capo dello Stato accompagnato dagli auguri di buon anno- esprimo la riconoscenza della Repubblica. Perché le loro storie raccontano già il nostro futuro. Ci dicono che uniti siamo forti”. (AdnKronos)