GRAN PARADISO: PERCHE’ UNA PSICOTERAPEUTA SCALA UN 4000

Cosa spinge una persona a scalare una montagna? Lo chiediamo a una donna che lo ha fatto, Stella Ambrosio, Psicologa e Psicoterapeuta.

Ciao Stella. Perché hai scalato la montagna del Gran Paradiso?

Buongiorno ragazzi. Grazie per il vostro tempo. Io ho conosciuto il gigante del Gran Paradiso il 3 Luglio 2020. Ero in squadra con altri amici scalatori e il mio sogno era arrivare in cima, ma il 3 Luglio non era il momento di scalarlo fino alla fine, soprattutto perchè le condizioni meteo non erano favorevoli. Quindi siamo arrivati a circa 3000 metri di altitudine e poi siamo tornati indietro. Tutto questo mi ha fatto rivedere il significato della parola “fallimento”, perché il meteo certamente non ci aveva aiutato, ma la mia preparazione non era stata all’altezza di un 4000. E quello che sembrava un fallimento, è diventato un inno alla vita, si è aperto un varco dentro di me, e così le ho dato un secondo appuntamento, perché tanto la montagna ti aspetta, da lì non si muove.

Ho affrontato due mesi di allenamento con una determinazione feroce, i mesi di Luglio ed Agosto e poi sono ritornata da sola, insieme ad una Guida Alpina, a fine Agosto 2020.

Il 1 Settembre 2020 alle ore 8:45 ho visto la vetta a 4061 metri. Perché l’ho fatto? Perché una scalata è una metafora della vita. La montagna è un mezzo per conoscere te stesso, o meglio è solo una scusa per fare il viaggio dentro te, ma è anche una grande maestra di vita: la montagna ti spoglia, ti restituisce chi sei, i tuoi pezzi e poi sei tu che devi rimetterli insieme. L’anello di congiunzione tra la psicologia e la montagna è la parola “sfida”, la sfida con te stesso, e la magia è che quello che capisci scalando, lo usi per la vita.

Quanto costa una vetta?

Tanto. Dietro una vetta c’è una strategia di azione, che si costruisce a casa, perché la vetta si scala prima a casa, come mi ha insegnato la mia Personal Trainer Rossana Lo Vaglio. In altre parole a casa devi costruire lo zaino, in quanto il successo di un’ascensione dipende molto dallo zaino. Il segreto è come hai preparato ogni cosa, dalla resistenza fisica all’alimentazione, alla forza mentale che ti servirà per affrontare le difficoltà. Dietro una vetta c’è tanta preparazione.

Preparazione significa tanti chilometri nelle gambe, perché hai bisogno di forza. Per scalare devi spostare il corpo in ascensione e se le gambe non ce la fanno, non vai da nessuna parte. Non è una passeggiata di salute. Dietro una vetta c’è anche tanta gestione del tuo stato d’animo, perché quando ti trovi con le mani atrofizzate, a meno 10 gradi, arriva il vento e camminare è una fatica bestiale, devi gestirlo. Significa essere presenti e centrati. La presenza mentale è fondamentale a ogni passo, perché lì non si scherza, sei sul ghiacciaio e il rischio crepacci è concreto. Dietro una vetta c’è soprattutto un perchè. Infatti quando arriva la stanchezza ad altissima quota, la vista è offuscata e il freddo si fa sentire, è dura e vuoi mollare. Poi, però, ti arriva un’immagine nella mente, il tuo perché, e da quell’immagine dipenderà tutto. Io, ad esempio, sapevo che stavo dedicando questa vetta a mia mamma, dopo due gironi era il suo compleanno. Quando hai un perché forte, capisci che ce la puoi fare. La regola numero uno è non dimenticare mai per chi o cosa si combatte.

Qual è stato il momento più difficile?

A pochi metri dalla vetta, a quasi 4000 metri di altitudine, ho trovato una crepacciata terminale, quindi la montagna spaccata in due parti, a causa del maltempo dei giorni precedenti. Sono ancora grata agli alpinisti che avevano messo delle scale per attraversare la voragine.

Qual è stato il momento più bello?

Il momento più bello è stato quando la Guida Alpina, Nazzareno Salvati, mi ha detto che eravamo a 150 metri dalla vetta e quindi ho alzato gli occhi al cielo e ho visto la vetta davanti a me. Lì ho pianto. E’ difficile trasmettere una vetta se non la vivi. Quando arrivi lì, dove ogni cosa è fuori dall’ordinario, la vista è impagabile e capisci che ci sono momenti in cui la vita merita il suo nome. Per quel momento valgono tutti gli sforzi fatti, ogni difficoltà, ogni lacrima. Perché in quel momento realizzi che non è più un sogno, e nemmeno una speranza. E’ una certezza.

Cosa ti ha insegnato questa vetta?

Per saper vincere, bisogna saper perdere. Questa vetta è stata uno spartiacque nella mia vita. Chi mi conosce sa che io non sono sportiva di natura, infatti ho avuto delle difficoltà, ma questo non mi ha impedito di costruire il mio sogno a piccoli passi, partendo dal niente. Ho dovuto fissare delle regole con me stessa e ho capito che se hai un obiettivo, niente ti può fermare. Ho capito che conosciamo noi stessi solo fin dove siamo stati messi alla prova, che la scomodità e le difficoltà possono essere dei grandi maestri nella vita, che a volte ci dimentichiamo della fatica che si fa per imparare cose nuove. Ci dimentichiamo il processo: cadere, rialzarsi e riprovare, e ci dimentichiamo soprattutto la bellezza di riuscire. La VETTA è qualcosa da raggiungere in ognuno di noi. E chiaramente dopo aver scalato il gigante, tutto il resto diventa un picnic.