Storie di Vita, Capitolo II

Capitolo secondo 

Viaggio in treno, finestrino.

Vidi seduta di fronte a me una bella bimba mora.

Non sorrise, si concentrò soltanto a fissarmi, gli occhi color marroni scuro guardavano attenti, dappertutto.

La mamma, una donna dai capelli lunghi liscissimi, rossi tinti, con il viso pulito e le labbra carnose, indossava un cappotto bianco elegante con la pelliccia, e la borsa di una marca americana che non lasciava indifferenti gli occhi di chi la guardava.

La bimba, stanca, si sdraiò sul grembo della mamma e continuò a fissarmi. Aveva la tosse, una tosse grassa che mi fece pensare al freddo che affrontano i migranti provenienti da terre calde.

Il loro sacrificio inizia proprio da lì. Pensai.

Abbandonano le loro terre -calde- per sopportare il freddo dell’Europa. Non sono abituati, ma lo fanno, devono farlo. Soffrono molto all’inizio e si vede anche guardando gli abiti pesanti messi uno sopra l’altro senza alcun senso.

La giacchetta della bimba invece, era rosa antico, i suoi guanti e calze di lana richiamavano lo zucchero filato. Gli stivaletti da pioggia color bordeaux le davano un tocco di classe. Anche la mamma portava stivali da pioggia con plateau altissimi. Sembrava serena e felice. Portava le cuffie e non si accorse che la bimba si era addormentata. Parlava al telefono con qualcuno raccontando i suoi movimenti: <<Devo scendere alla prossima fermata>> disse. Parlò in spagnolo, il suo accento mi fece capire la nazionalità.

<<Stasera lo faccio, non c’è bisogno che ti preoccupi>> continuò la donna senza accorgersi che riuscivo a capirla.  Le sorrisi e lei mi rispose altrettanto con uno sguardo sorpreso.

La bimba continuò a dormire sul suo grembo. Il treno arrivò -finalmente- “alla fermata successiva”, lei continuò a parlare al telefono estranea al mio sguardo, mi sembrò che stesse ascoltando il racconto di qualcuno. Di qualcuno che la rendeva felice.

Prima di alzarsi scosse la bambina per svegliarla; la piccola dagli occhi bruni ancora chiusi, fece un verso per esprimere la sua stanchezza e disapprovazione, la mamma la prese in braccio, mi salutò e se ne andò.

Non importa il luogo, ma con chi. Pensai.

Da piccoli abbiamo avuto lei, la nostra mamma o chi per essa. Non importava il luogo.

Oggi, da adulti, è indispensabile saper scegliere chi ci starà a fianco per sorridere, o per sopportare il freddo dell’inverno.

I migranti però all’inizio non possono scegliere, stanno da soli, hanno lasciato tutto e tutti alla ricerca di una vita migliore. Nessuno lascia la propria terra a meno che non sia costretto. Nel “nuovo mondo” però, solo coloro che si arrotolano le maniche trovano la stabilità cercata, e non sempre.

La donna e la bimba del treno l’hanno trovata. Turiste a Milano e residenti a Roma. Lei una donna in carriera, la piccola una nuova “italiana”, figlia di migranti -la terza generazione-, coloro che hanno avuto la fortuna di nascere in uno Stato libero.

Quante volte ci siamo sentiti liberi e al sicuro con la nostra mamma?  Bastava poco per sentirci sereni.

Quante volte abbiamo dormito in pace, in qualsiasi posto ci trovassimo, poiché ci sentivamo al sicuro nelle braccia della nostra persona?

La risposta è lì -sempre- dentro ognuno di noi.

 

Joselinne Calderon (JC)