di Achille Colombo Clerici
L’Italia vive una contraddizione.
E’ un Paese ambito, sia per la qualita’ del vivere, sia per l’affidabilita’ al fine degli investimenti finanziari; ma al tempo stesso e’ un Paese che stenta a competere sul piano economico generale in quanto soffre di un tasso di crescita non adeguato a quello dei diretti competitors.
E’ la conseguenza di una serie di criticita’ che derivano da endemiche disfunzioni, ormai ben note e sulle quali ci siamo gia’ dilungati a sufficienza.
In effetti l’Italia offre un insieme di valori culturali, ambientali, territoriali, di organizzazione socio-economica di prim’ordine ed una certa “‘relativa’” garanzia di stabilita’ per gli investimenti economici e di sicurezza di vita. La nostra infatti e’ una storia di contrasti, di campanili e di fazioni, ma non una storia di rivoluzioni o di ribaltamenti sociali. L’ unicita’ della lingua, la dominanza di una cultura omogenea, la prevalenza della religione cattolica, sono fattori positivi ai fini della stabilita’ e della sicurezza sociale ed anche economica.
In questi giorni e’ stata pubblicata l’analisi del Boston Consultig Group secondo cui la valutazione legata all’indice SEDA 2019 (Sustainible Economic Development Assessment), presenta un coefficiente Italia (0,91) che supera addirittura quello Usa (0,90).
Il SEDA prende in considerazione 40 indicatori di sviluppo, raggruppati in 10 dimensioni (ad esempio reddito, occupazione, salute, istruzione) per tre aree distinte – economia, investimenti e sostenibilità – di 143 Paesi, ad ognuno dei quali viene assegnato un punteggio.
L’Italia è al 29esimo posto in classifica, guadagnandone uno sul 2018: ha perso quattro posizioni rispetto al 2008, non avendo ancora recuperato la recessione iniziata in quell’anno. In linea generale, il posizionamento del Paese non si discosta dai risultati degli ultimi 5 anni, nei quali l’Italia si è sempre attestata tra il 28esimo (2016) e il 30esimo posto. Regge il confronto con la media UE del quartile più alto per stabilità economica, mentre cresce il punteggio per l’ambiente. Sempre secondo questa valutazione, il più grande problema è l’occupazione, dove l’Italia perde posizioni in tutte le analisi. Se, infatti, guardiamo al decennio preso in considerazione, sono 19 i punti persi. Nel tempo calano anche istruzione e stabilità economica, rispettivamente meno 12 e meno 36 punti indice.
Tornando al confronto Italia-Usa, e tenendo ben presente che ogni statistica corre il rischio di incappare nel paradosso della “media trilussiana”, essere il Paese più ricco del mondo non significa anche essere quello che garantisce il miglior livello di benessere alla generalita’ dei propri cittadini. Oltreoceano infatti le disuguaglianze hanno raggiunto livelli superiori a quelli di tutti i Paesi industrializzati.
Ecco spiegato perchè la gran parte degli stranieri invidia la nostra qualità di vita della quale il welfare (sostenibile ancora per quanto?) è pilastro portante.
Insomma, possiamo dire che l’Italia possiede un forte appeal, ma non riesce a sfruttarlo appieno.