Durante la prima fase del risiko bancario “il mantra è che bisogna vigilare”, ma “senza la firma del sindacato le operazioni societarie rischiano di fallire”.
Lo ha detto ieri il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, durante il suo intervento al convegno “Milano Capitale Finanziaria Italiana”, in corso a Milano. In un contesto di profonda trasformazione del settore, caratterizzato da cinque importanti ops (Unicredit su Banco Bpm, Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca, Bper su Popolare di Sondrio, Banco Bpm su Anima e l’acquisizione di portafogli Npl da parte di Banca Ifis ndr), o “scalate ostili” come le ha definite Sileoni, il ruolo dei sindacati è cruciale per assicurare continuità ai dipendenti dei diversi istituti bancari.
Una difesa dai cambiamenti “epocali” che stanno scuotendo il settore e l’interno delle banche. La previsione del segretario per il futuro sembra presagire un’aridità bancaria autoinflitta nel nome della centralizzazione: “Spariranno le direzioni generali, ci saranno sistemi informatici che verranno sostituiti e chiuderanno gli sportelli bancari”. Cambiamenti radicali dove per contrastarli sarà necessario “leggere quello che le banche non dicono”. Una battaglia che sottende “un confronto serrato con le aziende”, ma dove l’Italia, rispetto ad altri paesi europei “ha uno statuto dei lavoratori e delle leggi che lo permettono”, ha incalzato Sileoni. Perché una volta terminate le ostilità, spetterà ai sindacati garantire che “non ci siano trattamenti economici di serie A e di serie B all’interno di una sola banca” nella quale sono confluiti diversi gruppi.
Di una cosa il segretario generale della Fabi è però certo. Delle cinque scalate ostili “tre andranno in un certo modo” mentre “due probabilmente si impantaneranno”. Questo perché dove c’è di mezzo la politica “tenderanno a crearsi una serie di ostacoli cercando di allungare i tempi”, e se si allungano i tempi di un’ops “è chiaro che l’operazione poi alla fine va a rischio”.