Orchestra dl Conservatorio per Fondazione Avsi

QUANDO LA MUSICA FA BENE

LA OSCoM IN SALA VERDI PER AVSI

A sostegno dei progetti di Fondazione AVSI sabato 25 gennaio alle 20.00 torna in scena la OSCoM Orchestra Sinfonica del Conservatorio di Milano, sotto la guida di Pietro Mianiti.

In programma il temibile Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in re minore op. 30 di Sergej Rachmaninov, solista Daniele Martinelli allievo di Maria Grazia Bellocchio, e la Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64 di Pëtr Il’ič Čajkovskij.

 

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CONCERTO DELL’ORCHESTRA SINFONICA

DEL CONSERVATORIO

 

Sabato 25 gennaio 2025

Sala Verdi ore 20

Sergej Rachmaninov (1873-1943)

Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in re minore op. 30

Daniele Martinelli pianoforte

Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840-1893)

Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64

OSCoM Orchestra Sinfonica Conservatorio di Milano

Pietro Mianiti direttore

Il concerto è dedicato ai progetti di Fondazione AVSI

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Dal programma di sala

–        Nessuno è mai così pazzo da affrontare il Rach 3.

–        Sono pazzo quanto basta, professore? Che dice?

Cecil Parks e David Helfgott sono maestro e allievo: il primo è un grandissimo pianista, il secondo un talentuosissimo allievo, con la vita segnata da una lotta interiore. Il loro scambio in Shine, tratto da una storia vera, contribuisce ad ampliare il mito attorno al Terzo Concerto per pianoforte di Rachmaninov: «È una montagna. Il picco più difficile da scalare» dice David. «È monumentale!» conclude il maestro.

In realtà, a detta di molti, tra cui il musicologo Piero Rattalino, non è necessariamente il concerto più arduo: il Secondo presenta difficoltà tecniche ed espressive altrettanto imponenti. Ciò che rende il Terzo particolarmente sfidante è che fu cucito da Rachmaninov su misura per le sue mani, capaci di coprire una distanza di dodicesima sulla tastiera, mentre un pianista medio raggiunge una decima, due tasti in meno. È per questo motivo che anche il dedicatario del concerto, il grande virtuoso Josef Hofmann, non lo suonò mai in pubblico.

Nell’estate del 1909 Rachmaninov decise di rifugiarsi nella tenuta della famiglia di sua moglie a Ivanovka, nella Russia meridionale, per trovare la tranquillità necessaria allo studio. Stava preparando la sua prima tournée americana, che sarebbe iniziata a novembre. Proprio per quella tournée, dove si sarebbe esibito come pianista e compositore decide di regalare al pubblico una novità: un terzo concerto per pianoforte. Lo presentò per la prima volta a New York il 28 novembre, sotto la direzione di Walter Damrosh. Il 16 gennaio seguente, sul finire della tournée, tornò ad eseguirlo per la Grande Mela. Questa volta alla bacchetta c’era Gustav Mahler.

L’intero concerto si sviluppa con naturalezza da un’idea fondamentale, che ascoltiamo nelle primissime battute dell’Allegro ma non tanto – che si apre senza doppia esposizione, ma subito con l’ingresso del solista – e che ritorneranno nel Finale. Alla breve. Il tema iniziale è semplice e diatonico – così lontano dagli accordi pesanti del Secondo Concerto – e cela le insidie tecniche che attendono il pianista nelle pagine successive. Qualcuno ha ipotizzato che la melodia derivi dal folklore russo o dalla tradizione sacra di Kiev, ma Rachmaninov stesso smentì: «Il tema si è scritto da solo. Se avevo in mente qualcosa nel comporre questa melodia, stavo pensando semplicemente al suono. Volevo che il pianoforte cantasse la melodia come l’avrebbe cantata un cantante».

Conclusa l’introduzione, il tema passa all’orchestra e il pianoforte accompagna con rapidi arpeggi, fino a una breve cadenza solistica. Il tempo rallenta e viene preparato il secondo tema: una melodia triste e raccolta che sa di malinconia. Il ritorno del primo tema segna l’inizio dell’elaborazione, dove il pianoforte diventa l’assoluto protagonista, con l’accelerazione del tempo iniziale e l’intensificazione della dinamica, fino alla cadenza del pianista, ampia e complessa. A un certo punto sentiamo il primo tema dal flauto, dall’oboe e del clarinetto, mentre il pianoforte accompagna con alcuni arpeggi. Terminata la cadenza, il pianoforte continua uno sviluppo tranquillo del secondo tema dell’esposizione prima di arrivare al riepilogo finale, con il primo tema ribadito dal pianoforte, fino alla coda dove riappaiono reminiscenze del secondo tema.

L’Intermezzo è un vero e proprio tempo di mezzo, una sospensione tra due fuochi. Inizia con un delicato tema di tre note. Qui vi è una lunga esposizione da parte dell’orchestra, evitata nel primo tempo. Dopo lo sviluppo del primo tema e il riepilogo del secondo, torna ancora la melodia principale dal primo movimento. L’ingresso del pianoforte con una frase cromatica introduce un elemento di agitazione, che porta all’ultimo movimento con un attacca, senza soluzione di continuità.

Il Finale è una celebrazione ritmica e virtuosistica, con variazioni sui temi del primo movimento. La sezione scherzando è particolarmente brillante, con il pianoforte che ricama motivi decorativi. La conclusione, con il suo carattere trionfante, lascia un’impressione di potenza e vitalità. Una curiosità: il concerto termina con il ritmo di quattro note presente già nel Secondo Concerto e nella Sinfonia n. 2.

«Čajkovskij dice che è obbligato a smettere di comporre e a fare strada ai giovani talenti. Alla domanda se realmente questi esistano, Čajkovskij risponde “Sì” e nomina a San Pietroburgo Glazunov e a Mosca me e Arensky. Questa è stata una vera gioia per me». A raccontarci l’episodio è Rachmaninov, in una lettera all’amico Mikhail Slonov del 1892, un anno prima della morte di Čajkovskij. Del resto, Čajkovskij aveva sentito Aleko, scritta da Rachmaninov per il diploma, e i due si erano già conosciuti qualche anno prima, quando Rachmaninov frequentava le serate musicali a casa del maestro Zverev, amico di Čajkovskij. La morte prematura di Čajkovskij lasciò effettivamente spazio, nel panorama musicale russo, agli emergenti Rachmaninov e Scrjabin.

A quattro anni prima risale la Quinta Sinfonia di Čajkovskij. Scritta tra maggio e ottobre 1888 è diventata la seconda sinfonia della trilogia del destino, insieme alla Quarta e alla Sesta. Il tema che pervade tutta la Sinfonia, da capo a fondo, è l’incombere del destino, complice anche un periodo di incertezze per l’autore, che si chiedeva: «Davvero mi sono esaurito? È già iniziato le commencement de la fin?».

Il destino bussa alla nostra porta fin dall’inizio, e nell’Andante che precede l’Andante-Allegro con anima lo sentiamo chiaramente, mentre si avvicina con un ritmo di marcia misterioso e cupo, con clarinetto e fagotto. Terminata la marcia, sono sempre clarinetto e fagotti i protagonisti oscuri nel viaggio del microcosmo di questa Sinfonia. Progressivamente, gli archi aprono l’arco melodico, mantenendo a ogni fine frase incedere fortemente percussivo. A questi episodi se ne contrappongono altri fortemente espressivi e lirici finanche sereni, come il un pochettino più ostinato: il tempo musicale si fa trainare dal tempo psicologico, e la varietà agogica, ritmica e motivica che incontriamo altri non è se non lo stato tormentato di ognuno di noi di fronte al destino. «Introduzione. Intera sottomissione al destino, ciò che è lo stesso, alla volontà insondabile della Provvidenza» scrive nei suoi diari il compositore. Poi aggiunge «Mormorii, dubbi, lamenti».

«Non è meglio allora gettarsi a corpo morto nella fede? Il programma è eccellente, ammesso che riesca a realizzarlo», appunta ancora sul Secondo Movimento, un Andante cantabile con alcuna licenza. Il tempo si apre con gli archi gravi in piano che offrono un tappeto al solo del corno, dolcissimo, che sembra offrire un raggio di luce agli uomini. Ancor più felice l’ingresso dell’oboe, che dialoga con il corno. Prima del culmine che ci aspetteremmo, Čajkovskij mette un improvviso silenzio. Quando effettivamente il culmine arriva, è all’ennesima potenza.

Nell’alternanza dei temi, alla fine torna il tema iniziale della marcia, a dirci forse: ciò che cerchi non c’è, o almeno, non è qui

Il Valse che segue spezza per un attimo il ritmo del racconto. Siamo ancora nel piano, in continuità con le dinamiche spalmate tra piano, pianissimo e più che pianissimo del finale del secondo movimento, ma il clima è tutto diverso. Si tratta di una pausa che ci porta al mondo del balletto, così amato da Čajkovskij. Per un attimo lasciamo le pesantezze del destino e ci sentiamo anche noi tra i divertissement fatati del Regno dei Dolciumi con Clara ne Lo Schiaccianoci.

Ma la pausa è breve: il destino torna a bussare. Siamo arrivati all’ultimo movimento. Il Finale è assolutamente simmetrico nella sua apertura all’inizio della Sinfonia: torna la marcia del destino a opera del clarinetto. Come finirà l’avventura del protagonista? Riuscirà ad avere la meglio o infine soccomberà?

Questa volta il tema del destino ha però una sfumatura differente: non più il sommesso incedere dell’inizio, ma è simile a un maestoso corale in tonalità maggiore. Torna anche nella conclusione, quando diventa grandioso e imponente, fino a diventare quasi ampolloso, causa di critiche dallo stesso Čajkovskij, che scriveva alla von Meck: «Dopo aver diretto la mia nuova Sinfonia, due volte a Pietroburgo e una volta a Praga, mi sono convinto che essa è mal riuscita. V’è in quest’opera qualcosa di sgradevole, una certa diversità di colori, una certa insincerità, un certo artificio». In effetti, sul Finale, si rischia una certa confusione: la vittoria rischia di suonare “troppo vittoriosa” per essere genuina. Viene il dubbio che il nostro protagonista creda di vincere sul destino, mascherando l’illusione con eccessiva gioia.

Piero Rattalino in Guida alla Musica pianistica, nelle pagine dedicate a Rachmaninov, racconta di come nel 1942 il compositore venisse citato sulla seconda edizione del Gramophone Shop, uno tra i primi cataloghi generali di discografia. Il giudizio sull’autore è il seguente: «Considerato da molti come il più completo dei pianisti viventi, Rachmaninov è anche un compositore prolifico e popolare. La sua musica è melodicamente scorrevole e attraente e accuratamente rifinita. Tuttavia essa, in molti casi, è puramente decorativa (i fantasmi di Liszt, Čajkovskij, Arenskij, e anche Brahms, mormorano in gran parte di essa) ed è, storicamente parlando, statica: lascia la musica esattamente dove Rachmaninov l’ha trovata. Ciò non impedisce tuttavia alle sue migliori opere di presentare un’attrattiva potente, sebbene temporanea».

«Della Quinta Sinfonia di Čajkovskij non si sa neanche cosa dire… – scrive un critico dell’Evening Transcript da Boston dopo la première della Quinta negli Stati Uniti – Nel Finale c’è tutta l’indomita furia del cosacco. […] La perorazione furiosa sembra nient’altro che un’orda di demoni che lottano in un torrente di brandy, con la musica che diventa sempre più ubriaca. Pandemonio, delirium tremens, delirio, e, soprattutto, rumore peggio confuso!».

Oggi possiamo dire che Rachmaninov e Čajkovskij, alla fine, così come David Helfgott in Shine, l’hanno avuta vinta sul destino.

Elisa Nericcio

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Ingresso al concerto libero con prenotazione all’indirizzo

biglietteriaoscom@consmilano.it