Il Carnevale e la sua radice antropologica.

di Apostolos Apostolou, scrittore e professore di filosofia

La tradizione del carnevale, risale molti annia fa. All’antica Grecia e poi continuata con i latini e in particolare a Roma. È sempre stata una festa grande di matrice popolare ed è stata tramandata nei secoli, perchè eredità di feste pagane come le celebrazioni in onore di Dionisio (che era Dio arcaico della vegetazione, legato alla linfa vitale che scorre nelle piante anche  fu identificato come dio dell’estasi, del vino , dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi, anche era un dio della Democrazia) nell’antica Grecia, i Baccanali, o nei Saturnali romani e festeggiamenti collegati al culto del dio Saturno. Ricchi e poveri, liberi e schiavi, davano sfogo ai piaceri della carne con la festa del dio Saturno.

Mircea Eliade, noto storico delle religioni, antropologo, scrittore, nel sua opera con titilo “Mito dell’Eterno Ritorno”, scrive: “ i combattimenti rituali fra due gruppi di figuranti, la presenza dei morti, i saturnali e le orge, sono elementi che denotano che alla fine dell’anno e nell’attesa del Nuovo Anno si ripetono i momenti mitici del passaggio dal Caos alla Cosmogonia.”

Incontriamo l’elemento del travestimento zoomorfico da tempi molto antichi. Ad esempio, nel sud della Francia, nella grotta dei Tre Fratelli (Trois Frères), è stata scoperta una rappresentazione paleolitica di un uomo mascherato da cervo. Le statuette del periodo neolitico mostrano figure umane che indossano maschere di animali. In certi rituali agresti dell’antichità, parliamo di 10 mila anni a. C., uomini e donne usavano dipingersi il viso e il corpo, lasciandosi trasportare dalla danza e dai festeggiamenti. Nel contesto del rituale, le persone sentivano di incarnare veramente ciò che rappresentava il loro travestimento. L’energia molto fertile della Natura passava in adoratori e adoratori, sacerdoti e sacerdotesse, che si vestivano di pelli di animali, come le Menadi. A Babilonia,  poco dopo l’equinozio di primavera, attraverso un grande “spettacolo teatrale” in movimento, veniva ri-attualizzato il processo originario di fondazione del cosmo così com’era descritto nei miti che formavano i testi sacri di questi popoli. In vari miti e rituali dionisiaci c’è l’elemento della trasformazione o del travestimento.

Si ipotizza che vari miti e rappresentazioni di tempi storici che ci sono sopravvissuti possano essere forme distorte di antichi rituali. I centauri, ad esempio, potrebbero essere stati originariamente uomini travestiti da cavalli. I Satiri potrebbero essere stati adoratori in abiti simili a draghi, mentre il Minotauro potrebbe essere stato un prete cretese che indossava la maschera del toro sacro. E poi negli anni i cristiani festeggiano il carnevale a partire dal 25 dicembre, comprendendovi  i festeggiamenti del Natale, dell’anno nuovo e dell’Epifania, in cui predominavano giochi, scherzi e travestimenti. Anche nella Roma papale del ‘500 si riprese a festeggiare il carnevale. Con il carnevale termina con la prima Domenica di Quaresima.

Carnevale significa anche maschera. Con la conquista dell’Egitto dai Romani venne importata in tutte i territori dominati dall’Urbe la festa della dea Iside.Come attesta lo scrittore Lucio Apuleio nelle ‘Metamorfosi’, questa ricorrenza comportava la presenza di gruppi mascherati.

Il ruolo della maschera non è funzione di un attore all’interno di una compagnia; carattere, tipo di personaggio rappresentato non è funzione in un determinato ambito, influenza esercitata. Quando s’interpreta un ruolo, l’uomo, infatti, si sta interpretando un personaggio, una parte, una funzione. Appoggiamoci all’esempio dell’attore per capire meglio. Sotto la maschera (ed il ruolo che interpreta) non esiste una persona, un essere umano. Con la maschera abbiamo una libertà di ruolo. Questa libertà non è solo libertà di movimento fra i ruoli, ma anche distanza dai ruoli. L’ “altro” con l’ uso della maschera non è più definito dall’opposizione al proprio gruppo secondo la logica primitiva dell’amico – nemico, ma per ciascun membro della comunità statale, l’altro è ad un tempo uguale e diverso. Rompe con altre parole il ruolo tra pseudo individualità e pseudo – normalità, e organizza un’altra identità, un’altra auto identificazione. La maschera nega il regime fondativo dell’organizzazione sociale, cosi come lo vede l’antropologia filosofica del pensiero occidentale che assegna alla nozione della personalità un significato specifico, identificando la persona con io, o coscienza, sotto l’ aspetto morale, e ritenendola costituita dall’ identità con sé attraverso il tempo.

La maschera consentiva all’uomo di uscire dalla propria identità personale e di sottoporsi a una metamorfosi secondo Pernet. Anche la maschera rintraccia le analogie: si tratta dell’incontro-confronto con l’esterno e il diverso (maschera e eroe comico), momenti circoscritti in cui si sperimenta l’eccesso (istituzionalizzato nella festa, oppure trasgressione del singolo su ‘delega’ della collettività) e la violenza viene convogliata (capro espiatorio) in un processo di discolpa della comunità. La maschera fa parte di un “sistema culturale”: che spiega la persona come gioco, ma anche come solidarietà con gli altri e nello stesso tempo spiega la persona pura e unità. La forza diacronica del Carnevale è osservata nella sua capacità di risemantizzare i propri simboli, con la maschera che sono riempiti di nuovi significati, funzionali al nuovo immaginario e al nuovo orizzonte di attesa del pubblico. il Carnevale oggi è “un autentico simbolo della postmodernità: piuttosto che affermarli, nega i valori della tradizione”. Inoltre, manovrato com’è da interessi politici fondati sul profitto, è diventato specchio e illusione effimera di un tempo di godimento senza fine, “una creazione proteiforme che inghiotte ogni memoria per frantumarla, il mirabolante e perfetto totem della insipiente e delirante vacuità dell’uomo contemporaneo”.E come scriveva Alfred Jarry padre della Patafisica. “Vivere è il carnevale dell’Essere”.