Giornata mondiale della Salute Mentale, Università Bicocca e Janssen insieme per parlare del disagio giovanile nell’era dei social

Consapevolezza e preoccupazione, questo l’atteggiamento degli italiani rispetto alle malattie mentali, secondo la ricerca realizzata da Ipsos su un campione rappresentativo della popolazione adulta, e promossa da Janssen Italia, azienda farmaceutica di Johnson & Johnson: la salute mentale è considerata una priorità (87 per cento), tanto quanto lo è la salute fisica. Dato ancora più significativo se si considera che 4 italiani su 10 non sono soddisfatti della propria condizione mentale e che 1 italiano su 3 ritiene la propria salute mentale maggiormente a rischio oggi rispetto a 3-4 anni fa. L’incidenza maggiore si registra fra le donne (42 per cento vs il 31 per cento degli uomini) e i giovani (42 per cento circa nelle fasce 18-45 anni rispetto al 32 per cento di quelle 46-75).

E proprio i giovani sono stati i protagonisti dell’evento “Socialized Minds – La salute mentale giovanile nell’era dei social” organizzato dall’Università degli Studi di Milano–Bicocca e da Janssen, azienda farmaceutica del gruppo Johnson & Johnson, in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale 2023.

 

Obiettivo dell’incontro, che ha visto la partecipazione di esponenti istituzionali, clinici, associazioni dei pazienti e rappresentanti aziendali, oltre alla presenza di Mr.Rain come special guest, è stato quello di coinvolgere la popolazione giovanile in un dibattito sulla salute mentale, allargando la riflessione anche al mondo dei social network per indagare come queste piattaforme possano essere sfruttate per intercettare i giovani con disagio e/o per portare aiuto a chi convive con queste patologie, sempre avvalendosi del supporto di uno specialista.

«Siamo onorati di ospitare oggi questo evento dedicato alla salute mentale e ai giovani in particolare – sottolinea Guido Cavaletti, prorettore alla ricerca dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca nel suo saluto iniziale – Oggi appare chiaro che il compito delle Università –  e di tutti coloro che accompagnano gli studenti nel loro percorso di formazione – non può e non deve esaurirsi nella mera trasmissione della conoscenza o nella formazione ad una professione, ma deve prestare attenzione alla realizzazione dell’individuo nella sua interezza. Anche noi, infatti, possiamo giocare un ruolo importante sia nella promozione di una cultura aperta e sensibile al tema del disagio mentale dei giovani, sia nel fornire supporto alle persone più fragili nel loro percorso di studi».

 

Una sfida che non può che essere affrontata in maniera multidisciplinare e di sistema, tanto più se si considera che, secondo un recente studio Deloitte-Janssen, la spesa sanitaria dedicata alla salute mentale in Italia è allo stato attuale gravemente insufficiente e, in futuro, serviranno 1,9 miliardi di euro in tre anni in più per riuscire a colmare il gap di risorse in risposta solo ad alcune delle criticità identificate dallo studio (es. personale, spesa ospedaliera, campagne di sensibilizzazione, ecc.).

L’importanza di combattere lo stigma del disagio mentale, di sostenere i giovani nel chiedere aiuto e il ruolo dei social media, sono stati alcuni dei temi affrontati nel corso del dibattito, che si è arricchito della presentazione dei risultati di uno studio condotto dall’Università degli Studi di Milano–Bicocca e dall’Università del Surrey (Regno Unito), sulla salute mentale della popolazione giovanile nel contesto universitario.

 

I sintomi di ansia generalizzata e sociale sono stati ampiamente riportati dai giovani di entrambi i Paesi (67% degli intervistati), come gli effetti negativi più diffusi della pandemia. In particolare, la solitudine e l’eccessivo tempo trascorso online sono emersi come i principali fattori legati ad un peggioramento della salute mentale, oltre alla gestione poco salutare di tempo e spazio, la bassa motivazione e l’incertezza. Entrando più in dettaglio risulta che sintomatologia ansiosa e sintomatologia depressiva (da lievi a moderate) interessano circa il 20 per cento dei giovani intervistati con ricadute spesso negative anche in ambito accademico.

 

«Quando leggiamo questi dati sulla frequenza di ansia e depressione tra i giovani, ci rendiamo conto delle dimensioni di un fenomeno che richiede necessariamente nuovi approcci in termini non solo clinici ma anche di salute pubblica. – commenta Giuseppe Carrà, Professore di Psichiatria dell’Università degli Studi di Milano–Bicocca – Questo conferma l’importanza di identificare i determinanti sociali, fattori modificabili che possono provocare, far precipitare e perpetuare tali sintomi tra i giovani. In un’ottica di salute pubblica, la ricerca evidenzia come iniziative preventive ed interventi clinici, anche attraverso l’utilizzo di strumenti digitali, social inclusi, debbano essere volti ad interrompere il circolo vizioso tra avversità sociali e psicopatologia».

 

In una discussione sulla salute mentale non poteva mancare il contributo di chi vive il rapporto diretto con persone che soffrono di questi disturbi, come Fondazione Progetto Itaca e Fondazione Bullone, i cui rappresentanti hanno dato voce alle esperienze e al punto di vista dei pazienti.

«I giovani, come sappiamo, attraversano una fase particolarmente delicata della loro vita, in cui è in formazione l’equilibrio della loro persona. Noi siamo convinti che si debba lavorare su tre direttrici: sensibilizzare la società per superare lo stigma e il pregiudizio, promuovere un’informazione corretta per favorire la prevenzione e sostenere le persone che soffrono e le loro famiglie. Per fare questo utilizziamo da tempo con efficacia anche gli strumenti digitali grazie ai quali possiamo raggiungere migliaia di persone con i nostri messaggi» spiega Francesco Baglioni, Direttore Progetto Itaca Milano.

 

Una visione condivisa dal Bullone, come chiarisce Sofia Segre Reinach, Direttore Generale Fondazione Bullone: «Il nostro ruolo è di accompagnare i ragazzi, che hanno o hanno avuto esperienza di malattie gravi e croniche tra cui quelle mentali, a ritrovare una propria identità, dove la malattia rappresenti un anche dell’esperienza della vita ma non un tutto. Oltre agli ospedali e alle associazioni con cui collaboriamo, sempre più intercettiamo il disagio dilagante tra ragazzi: nelle scuole, sui social, nei giovani che incontriamo quotidianamente. Solitudine, ansia, confusione, rabbia, impossibilità a vedere vie di uscita sono sempre più comuni e , forse, sempre più esplicite, anche grazie all’amplificazione data dal digitale. Cerchiamo di far luce sulla fragilità, non nascondiamola e non nascondiamoci dietro ad essa. Se tutti saremo in grado di accettarla e condividerla come parte dell’esperienza umana, sarà così più facile accompagnare i nostri ragazzi a non sentirsi isolati, a non vergognarsi, a fare invece luce sulle proprie risorse e su proprio percorso di vita personale e professionale. Così da costruire insieme una società realmente più inclusiva e migliore».

 

È d’accordo con questo approccio Valeria Locati, psicologa, psicoterapeuta della famiglia, fondatrice del blog “Una psicologa in città”, che racconta: «Come abbiamo visto dai dati della ricerca dell’Università Milano-Bicocca, l’ampia diffusione e la garanzia di anonimato degli strumenti digitali sono percepiti come punti di forza che rendono tali strumenti adatti per interventi di prevenzione e come sostegno nel trattamento dei quadri di disagio psichico. Tuttavia, non possiamo ignorare che ci sono anche degli svantaggi rispetto agli interventi in presenza, in particolare una minore efficacia percepita, la mancanza di personalizzazione e la difficoltà di coinvolgimento. La soluzione migliore sembra pertanto quella di adottare una integrazione multimodale che dosi sapientemente strumenti digitali e interventi in presenza a seconda delle specifiche situazioni e finalità.»

In questo quadro così complesso e in continua evoluzione, in cui porzioni sempre più importanti della popolazione, a partire dai giovani, ma non solo, si trovano ad affrontare un peggioramento della loro salute mentale che può sfociare in vere proprie patologie, anche il ruolo delle aziende diventa fondamentale, sia nel fare informazione e sensibilizzazione contro lo stigma del disagio mentale, che nella ricerca nel campo delle neuroscienze e della depressione.

 

«L’Italia si colloca fra gli ultimi posti in Europa per quota di spesa sanitaria dedicata alla salute mentale (dati Ocse), ben lontana da altri Paesi ad alto reddito (es. UK, Germania, Norvegia e Francia), destinandovi circa solo il 3,4 per cento quando le raccomandazioni della Lancet Commission sulla Salute Mentale Globale e lo Sviluppo Sostenibile indicano invece una soglia minima del 10 per cento. – spiega Alessandra Baldini, direttore medico Janssen Italia, azienda farmaceutica del gruppo Johnson & Johnson – In questo quadro, l’impegno di Janssen è andato non solo nello sviluppo di nuove terapie, ma anche a supportare iniziative volte ad accrescere la conoscenza della patologia. Così abbiamo lanciato ad esempio nel 2020 la campagna “La Depressione non si sconfigge a parole” con l’obiettivo di raggiungere 1,5 milioni di pazienti e 4 milioni di caregiver, per aiutarli a capire come riconoscere il disagio mentale fin dalle prime avvisaglie e affrontare la depressione in modo adeguato e tempestivo. Il nostro obiettivo ora è continuare a dialogare e collaborare con tutti gli attori del sistema e a sviluppare partnership strategiche con diverse realtà così da fare la nostra parte e favorire un’innovazione, che garantirà grandi benefici al nostro SSN».

 

In un evento rivolto ai giovani non poteva mancare la voce di chi ai giovani parla ogni giorno con il suo lavoro e con la sua musica. Guest Star dell’evento è stato Mr.Rain, cantautore e produttore discografico italiano, arrivato 3° all’ultima edizione del Festival di Sanremo con il brano Supereroi. Proprio dalla canzone presentata a Sanremo ha preso spunto per il suo intervento, in cui ha lanciato un appello ai giovani perché trovino la forza di dare voce al loro disagio: «È vero, a volte chiedere aiuto ci fa paura, dare voce alle nostre sofferenze interiori sembra una sfida insormontabile. Ma quando riusciamo ad abbattere questo muro di diffidenza, allora ci accorgiamo che tutto diventa più facile, che possiamo trovare dei compagni di viaggio in grado di sostenerci anche nei momenti più difficili, sia che siano amici, parenti, terapeuti, professionisti. Spesso siamo convinti che i nostri dolori, le nostre difficoltà e i nostri disagi siano unici, ma se riusciamo ad aprirci agli altri, scopriamo che ci sono tanti altri ragazzi e ragazze come noi che provano gli stessi sentimenti e vivono le medesime situazioni. Per questo rinnovo il mio appello: non abbiate paura a chiedere aiuto, basta un solo passo e tutto può cambiare».