Barriere culturali, scarsa conoscenza sul reale potenziale e poca spinta sull’intelligenza artificiale frenano la trasformazione digitale nelle aziende italiane

I principali ostacoli alla trasformazione digitale per le aziende italiane sono le barriere culturali e la errata percezione sulla necessità di alti investimenti per avviare la trasformazione digitale in azienda.

Una rivoluzione – quella digitale – che deve essere affidata a figure apicali dell’azienda, al CEO o al Board. Tutto ciò emerge dalla survey sulla trasformazione digitale nelle aziende italiane condotta da GEA Digital, la practice di GEA che si occupa di trasformazione digitale e di innovazione.

La survey è stata condotta su un qualificato campione di oltre 100 CEO e C-Level di aziende italiane principalmente di dimensioni medio grandi che operano sia in ambito B2B sia B2C. L’analisi è finalizzata a capire come le nostre imprese stanno affrontando la trasformazione digitale allo scopo di creare valore e quindi ottenere un vantaggio competitivo sostenibile.

 

La ricerca è stata presentata oggi da Andrea Teja, Head of GEA Digital, – nel corso del l’IMD-GEA Annual Business Forum a Milano dedicato al tema della Digital Business Transformation davanti a quasi 400 ospiti tra imprenditori, CEO e dirigenti. L’incontro – presentato e moderato dal managing director di GEA Stefano Pellandini, insieme a Tito Zavanella, presidente di GEA, ha visto la partecipazione di Arturo Bris, professore IMD di Finanza e direttore dell’IMD World Competitiveness Center; Amit Joshi, professore IMD di Intelligenza artificiale, Analytics e Marketing Strategy; dell’ex Ceo di Poste Italiane e Saipem Francesco Caio, ora presidente di Caio Digital Partners e di Vincenzo Pompa, Ceo di E4Life.

“Il Forum – dichiara Zavanella – rappresenta un’opportunità straordinaria per riunire e confrontare esperienze e punti di vista qualificati relativi ad argomenti di rilevanza cruciale per le imprese italiane e più in generale per lo sviluppo del Paese. Nonostante alcune eccellenze, l’Italia è ancora in ritardo nel panorama digitale. Senza infrastrutture adeguate e alcuni supporti esterni, corriamo il rischio di rimanere indietro a livello nazionale”.

Per Pellandini “non possiamo più stare a chiederci se e quando arriverà la Digital Transformation perché è già arrivata e sta accelerando in modo significativo e sarà il motore della prossima rivoluzione industriale con l’intelligenza artificiale che ne rappresenta il cuore. Oggi molti progetti digitali – sottolinea Pellandini – offrono un ottimo ritorno sull’investimento a costi ridotti. Non è più necessario effettuare pesanti investimenti in infrastrutture IT come in passato, ad esempio nei data center”.

 

Teja afferma che: “Secondo la nostra survey l’impatto dell’intelligenza artificiale sarà così importante che fino a tre player perderanno la loro posizione di mercato nella top ten. Tuttavia, secondo le risposte della survey, sembra che le aziende italiane non abbiano ancora implementato una strategia digitale coordinata per affrontare questa epocale sfida. Sebbene la strategia sia essenziale, a volte può essere vantaggioso iniziare un percorso senza avere una meta ben definita. Lungo il cammino digitale, infatti, possono emergere benefici inattesi”.

 

Nonostante la trasformazione digitale sia già in corso, la maggior parte delle aziende italiane (60%) dichiara di non avere una vera strategia digitale, se non frammentata, ma quasi tutti i CEO ritengono di poter trarre vantaggio positivo sfruttando la trasformazione digitale. Al momento però in quasi il 90% dei casi esiste un grande gap tra ciò che le imprese stanno realmente facendo e gli obiettivi che si sono prefissate. Ciò che colpisce è come, secondo le risposte dei CEO, l’infrastruttura IT attuale sia già adeguata per sostenere le imminenti iniziative digitali. La verità però è che va rivista tutta l’architettura dei sistemi stessi (es. confluire verso un data lake approach, superare approccio a silos…).

Altro tema cruciale sarà il ruolo della formazione con le università che devono fornire programmi di laurea adeguati, come spiega Teja: “Le aziende devono avere a bordo le persone adatte per guidare la trasformazione, sia che provengano dall’interno dell’organizzazione sia dall’esterno”.

Le barriere culturali sono ancora il freno principale alla trasformazione: 2/3 del campione risulta infatti non consapevole e/o non adeguatamente reattivo di fronte al cambiamento. “Stiamo assistendo a un passaggio generazionale nelle posizioni direttive tra i baby boomer e i millennial – conclude Teja – e questo spiega in parte le resistenze culturali ancora presenti”.

Le aree aziendali al momento principalmente coinvolte dalla rivoluzione digitale risultano essere quella commerciale, di marketing e di produzione.