Il Filo di Arianna, il percorso sottile e forte delle compositrici nella storia di ieri e oggi, primo appuntamento al Conservatorio Verdi domenica 5.

Riprende al Conservatorio di Milano la rassegna IL FILO D’ARIANNA. Il percorso sottile e forte delle compositrici nella storia di ieri e di oggi.

Nato nel 2018, a cura di Rosalba Montrucchio, il progetto, che prende il via dalla volontà di rendere noti manoscritti ed edizioni di musica femminile presenti nel prezioso patrimonio della Biblioteca del Conservatorio – tra le più rilevanti in campo musicale – è tutto dedicato al genio compositivo femminile, e intraprende in due incontri (il primo domenica 5 giugno alle ore 11.00, il secondo sabato 11 giugno alle ore 17.30 entrambi nella Sala Puccini del Conservatorio) un variopinto viaggio tra pagine musicali di donne del passato e del presente, corredato da immagini e video, facendo incontrare, ancora una volta, antico e moderno.

 

Primo appuntamento quindi domenica 5 giugno in Sala Puccini alle ore 11.00. Titolo del concerto-spettacolo Il RepHERtorio per Flauto. Un viaggio al femminile, protagonisti gli studenti del Conservatorio, impegnati nell’esecuzione di musiche di compositrici del Novecento storico e contemporanee.

 

L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili, con obbligo di mascherina ffp2 come da normativa vigente.

 

 

Domenica 5 giugno

Sala Puccini ore 11.00

 

Il RepHERtorio per Flauto

Un viaggio al femminile

 

Musiche di

Sonia Bo, Beatrice Campodonico, Sofia Gubaidulina

Eugenie Rocherolle, Germaine Tailleferre, Mel Bonis

Lili Boulanger, Marie Felicie Clemence Grandval

Maria Theresia Von Paradis, Anna Bon

 

Cecilia Omini, Arianna Quaggetto, Alice Maria Pratolongo, Emma Francesca Ferrari,

Linda Facchinetti, Zang Xiqimo, Ilgaz Duman, Marina Zenobi, Elisabetta Albert flauto

Francesco Paoletti flauto traversiere

Xochiti Derycz arpa

Samantha Bertuccio clavicembalo

Paolo Ehrenheim, Francesco Elgorni, Gabriele Duranti, Naomi Tistarelli pianoforte

 

Immagini a cura di Chiara Macor, Accademia di Belle Arti di Napoli

Graphic Designer Giada Fadoni

 

 

PROGRAMMA

 

Sonia Bo (1960), Pax

Cecilia Omini flauto

 

Beatrice Campodonico (1958), Variazioni all’infinito

Arianna Quaggetto flauto

 

Sofia Gubaidulina (1931)

Sounds of the forest

Alice Maria Pratolongo flauto – Paolo Ehrenheim pianoforte

Allegro rustico

Alice Maria Pratolongo flauto – Francesco Elgorni pianoforte

 

Eugenie Rocherolle (1939)

Sonata n. 1

Emma Francesca Ferrari flauto – Paolo Ehrenheim pianoforte

 

Germaine Tailleferre (1892-1983), Pastorale

Linda Facchinetti flauto – Gabriele Duranti pianoforte

 

Mel Bonis (1858-1937), Sonata

Zang Xiqimo flauto – Naomi Tistarelli pianoforte

 

Lili Boulanger (1893-1918), Nocturne

Ilgaz Duman flauto – Naomi Tistarelli pianoforte

 

Marie Felicie Clemence Grandval (1830- 1907)

Dalla Suite per flauto e pianoforte: Menuet – Final

Marina Zenobi flauto – Gabriele Duranti pianoforte

 

Maria Theresia Von Paradis (1759-1824), Sicilienne

Elisabetta Albert flauto – Gabriele Duranti pianoforte

 

Anna Bon (1740-1767)

Sonata op. 1 n. 4

Francesco Paoletti flauto traversiere – Samantha Bertuccio clavicembalo

 

Marie Felicie Clemence Grandval, Valse mélanconique

Alice Maria Pratolongo flauto – Xochiti Derycz arpa

 

 

Immagini a cura di Chiara Macor Accademia di Belle Arti di Napoli

Graphic Designer Giada Fadoni

 

 

DAL PROGRAMMA DI SALA

 

Il RepHERtorio per Flauto

Un viaggio al femminile

 

Nell’antica Grecia l’aulos, strumento musicale aerofono, era associato al dio Dioniso e alla carnalità, in quanto in grado di suscitare emozioni forti e travolgenti; allo stesso tempo il suo uso era criticato dai filosofi poiché non permetteva di declamare la poesia sull’accompagnamento musicale, binomio che all’epoca era considerato imprescindibile. Nel corso dei secoli il flauto ha assunto una sua altissima dignità e sono state a lui dedicate pagine meravigliose. Oggi ascolteremo degli esempi di repertorio femminile che, percorrendo la storia della musica a ritroso, ci faranno immergere in un ambito – quello appunto della musica femminile – ancora poco conosciuto che merita di essere riscoperto.

 

Il concerto si apre con due compositrici contemporanee, entrambe stimate docenti del Conservatorio di Milano.

 

La prima autrice è Sonia Bo (1960), di cui viene eseguito Pax. Cecilia Omini, flautista studentessa del Conservatorio, afferma che il brano «porta agli estremi tutte le possibilità espressive del flauto, con una cospicua varietà di effetti, caratteri e stati d’animo. La prima parte è costruita su tre registri, suddivisi in altrettanti pentagrammi, caratterizzati da differenti indicazioni» agogiche. «I tre registri sono facilmente riconoscibili all’ascolto in quanto possiedono tempi, effetti e suoni contrastanti» come voci animate da una discussione, che le vede contrapporsi per idee e modo di esprimersi. «Nella seconda sezione le differenze vengono progressivamente meno, confluendo inizialmente in due registri. Al crescere del pathos, le differenti peculiarità dei vari registri iniziano a dialogare per poi unirsi, mantenendo una propria identità, giungendo così al termine del brano a pacificare i contrasti in un solo rigo: dal caos ad un sublime equilibrio». Cecilia Omini ci riporta anche la propria riflessione, condivisa da chi scrive: «Questo è il senso ultimo della pace: creare unità ed equilibrio tra voci contrastanti, riuscendo a porle su un unico piano e dando valore ad ognuna per esprimersi senza prevaricare sulle altre». Diplomata anche in pianoforte e musica corale e direzione di coro, Sonia Bo è stata direttrice del Conservatorio nel triennio 2010-2013. Nel suo repertorio, come nel caso di Pax, l’idea compositiva può arrivare da una stimolazione extramusicale. L’autrice inoltre si pone sempre dalla parte dell’ascoltatore e considera la composizione un processo in divenire da custodire e da esercitare costantemente, alla continua ricerca del bello e del migliore. Docente in Conservatorio da oltre vent’anni, trasmette ai suoi studenti l’arte compositiva.

 

Il secondo ascolto è invece Variazioni all’infinito di Beatrice Campodonico (1958). Così ci riporta l’autrice: «Il brano scritto su invito della flautista Luisa Sello e a lei dedicato, è concepito in forma aperta. Otto brevi frammenti, ognuno dei quali caratterizzato da atteggiamenti strumentali diversi – andamento, articolazione del suono, emissione – si susseguono in una successione sequenziale/temporale a scelta dell’esecutore. Gli otto frammenti sono disposti su una linea ideale che richiama il simbolo matematico dell’infinito. L’esecutore può scegliere di eseguire con i diversi flauti della famiglia – opportunamente trasposti – ogni frammento per ottenere la maggiore varietà timbrica. La costanza di uno stesso materiale tematico – altezze – degli otto frammenti dovrebbe permettere all’esecutore di esprimere con più sicurezza le figurazioni nella loro articolazione, espressione, agogica, dinamica». La ricerca del suono e della costruzione formale, che diventano in modo insito trasmissione di un messaggio, caratterizza il brano. In questa tensione verso l’infinito possiamo anche osservare ciò che la stessa compositrice ha individuato in un’intervista come scopo dato al proprio lavoro compositivo, ossia raggiungere attraverso la musica «quello stato o condizione assolutamente al di sopra di tutto, essenza di spiritualità»: il «sublime». Compositrice, didatta e direttrice di coro, Beatrice Campodonico ha da sempre promosso e sostenuto la diffusione della musica femminile, arrivando a creare il progetto In-audita Musica presso il Conservatorio di Novara interamente dedicato ad essa, e ne ha incentivato la divulgazione attraverso l’adesione nei direttivi delle associazioni Suonodonne e Magistrae Musicae.

 

Vengono ora proposti Sounds of the Forest e Allegro rustico, entrambi composti da Sofia Gubaidulina (1931).

Il primo dei due brani, per pianoforte e flauto, è fortemente descrittivo ed è caratterizzato da un impianto dialogico tra gli strumenti che si presentano paritetici sul piano della costruzione formale. I frequenti cambi di tonalità dipingono il paesaggio.

Allegro rustico ha invece il sapore di una danza popolare in tempo ternario. In questo caso il protagonista è il flauto e l’accompagnamento del pianoforte è costruito su ostinati inframezzati da passaggi che riprendono quanto esposto dallo strumento a fiato. Troviamo anche cambi dinamici netti, fluttuazioni armoniche, accenti marcati e ossessivi e un finale quasi umoristico.

Le due composizioni presentano caratteristiche differenti dello stile dell’autrice, una tra le contemporanee più richieste dalle orchestre di tutto il mondo. In particolare nel primo caso ritroviamo una spiritualità aleggiante mentre nel secondo brano osserviamo l’uso della percussività e forti accenti e ritmi, aspetti maturati dalla compositrice in un clima di multiculturalità che fin dalla giovinezza l’ha sospinta verso una ricerca spirituale interiore e una curiosità fervida nei confronti del repertorio popolare.

 

Contemporanea di Sofia Gubaidulina è Eugénie Rocherolle (1939), compositrice, paroliera, pianista e insegnante statunitense.

La Sonata n. 1 in tre movimenti testimonia la sua trasversalità nella composizione: in essa possiamo scorgere richiami alla canzone francese e alla musica spagnola e contaminazioni jazz nell’ultimo tempo. Il brano sembra concepito come musica da film, la conduzione armonica è tipicamente francese nelle frequenti modulazioni e il materiale di partenza lo troviamo, variato, in tutti i movimenti.

 

Facendo un salto nel tempo arriviamo a Pastorale di Germaine Tailleferre (1892-1983), compositrice protagonista anche della scorsa edizione de Il filo di Arianna. L’impianto armonico si impernia sulla tonalità di do maggiore e il tempo è composto, mentre l’ambientazione è chiarita dal titolo. I ruoli degli strumenti sono ben distinti: il flauto si fa carico della conduzione melodica, mentre il pianoforte lo accompagna con un movimento cullante. Lo stile risente delle contaminazioni extraeuropee, tipiche della poetica dell’autrice, unica donna del Gruppo dei Sei, che dovette combattere contro due ex mariti che non volevano si dedicasse alla musica. In tarda età affermò che per lei comporre era sempre stata una liberazione.

 

Di più ampio respiro è la Sonate pour flûte et piano di Mel Bonis (1858-1937). L’autrice attraversò situazioni travagliate in tutto l’arco della sua vita, contrapponendo ad esse una forte fede cattolica. Per un breve periodo della sua vita ebbe modo di studiare al Conservatorio di Parigi, frequentando anche la stessa classe di armonia di Debussy. Maturò uno stile romantico, che non disdegnava incursioni nel Post-Romanticismo e nell’Impressionismo. La sua poetica si riflette nei quattro movimenti del brano proposto, in cui possiamo ascoltare frequenti cromatismi che rivelano un’armonia fluttuante e delicati cambi di tonalità. L’eco di Debussy si unisce a reminiscenze spagnole ed extraeuropee in un intenso dialogo, che nell’ultimo movimento richiama i temi precedentemente usati.

 

Lili Boulanger (1893-1918) è la compositrice di Nocturne, brano suggestivo la cui ambientazione è esplicitata nel titolo stesso. Un climax lunghissimo dipinge un vagare senza tregua del flauto sostenuto da un accompagnamento cullante del pianoforte dall’inizio fino a tre quarti della composizione, dove, raggiunto l’apice, trova serenità e la musica si distende, fino a spegnersi delicatamente riprendendo l’introduzione, che però ora si rischiara. La compositrice discendeva da una famiglia di musicisti che le aprì le porte alla conoscenza dei più grandi colleghi del tempo. Di animo profondamente religioso, impregna le proprie opere di spiritualità, talvolta eterea, e tensione verso il trascendente, che possiamo ritrovare anche in questo brano.

 

Dalla Suite pour flûte et piano di Marie Felicie Clémence Grandval (1828/30-1907) ascolteremo ora Menuet e Final. Il primo dei due tempi è di ambientazione quasi pastorale: vi possiamo scorgere armonie eteree e romantiche in cui si intravede anche l’influenza di Debussy. Un forte dialogo ritmico-melodico tra gli strumenti, anche con intermezzi contrastanti e marcati del pianoforte, caratterizza tutto il tempo. In Final, movimento veloce, virtuosistico e travolgente, ritroviamo i contrasti ritmico-armonico-dinamici. L’acciaccatura da abbellimento melodico diventa un elemento strutturale.

La Grandval fu la compositrice preminente in Francia nella seconda metà dell’Ottocento. Di estrazione benestante, ebbe la fortuna di essere sostenuta dal marito ed economicamente dalla famiglia, studiò con Saint-Saëns e Chopin, fu cantante e pianista apprezzata nei salotti del tempo.

 

Retrocedendo di quasi un secolo, incontriamo Maria Theresia von Paradis (1759-1824) e la sua Sicilienne. Il brano è una danza bipartita con ripresa finale dell’incipit, nel caratteristico tempo composto e lento. Tutta la composizione è pervasa di delicatezza e leggerezza, di cui il flauto si rende portavoce, accompagnato da un pianoforte non invasivo, e scorgiamo chiari richiami allo stile della Scuola Viennese in termini di chiarezza melodico-armonica e conduzione delle parti.

L’autrice virtuosa, cantante e pianista, nacque in seno alla corte di Maria Teresa d’Austria e studiò, tra gli altri, con Salieri. Fu anche apprezzata da Carl Philipp Emanuel Bach e Haydn e Mozart, i quali le dedicarono alcune loro composizioni.

 

La Sonata in re maggiore op. 1 n. 4 di Anna Bon (1738-1767?) è invece un esempio di musica collocata nel periodo del tardo Barocco e primo Classicismo. In tre movimenti, di cui il primo e l’ultimo veloci e virtuosistici, richiede in organico il flauto traversiere barocco e il continuo. La brillantezza delle linee melodiche e la conduzione armonica non generano più affetti cristallizzati, ma un susseguirsi di stati emotivi, che fanno riferimento al concetto di Empfindsamkeit (sentimentalismo). Anna Bon, di origini italiane, studiò all’Ospedale della Pietà di Venezia e fu una delle compositrici più apprezzate e dotate del suo tempo; lavorò per diverse corti europee.

 

La conclusione del concerto è scandita da una ulteriore composizione di Marie Felicie Clémence Grandval, il cui titolo è Valse mélancolique. In questo brano troviamo un’atmosfera fortemente descrittiva che richiama la musica per l’immagine e rimandi alla canzone francese. (Giorgia Luoni)

 

 

Immagini

A cura di Chiara Macor

Gli abbinamenti qui proposti sono pensati per suscitare nello spettatore contemporaneo una riflessione verso la dimensione del femminile che, ancora oggi, sembra doversi necessariamente ritagliare degli spazi appositi per essere valorizzata e non soffocata dal solito sguardo androcentrico.

Nell’accostare le opere visive ai brani proposti ho tentato di rintracciare delle affinità tra le compositrici e le artiste, sia nelle loro biografie, dove cronologia, ambito geografico ed alcune vicende vissute trovano facili riscontri, sia per le tematiche affrontate nei rispettivi campi d’azione. Quando ciò non è stato possibile mi sono invece lasciata suggestionare dalla musica, cercando il migliore abbinamento possibile alle immagini, in una sorta di sinestesia.

Sonia Bo riesce a valorizzare tutte le peculiarità sonore del flauto attraverso una composizione in cui l’ascoltatore resta suggestionato da sprazzi di chiarore e profonde oscurità, in un agitarsi che pare quasi una ricerca di qualcosa, di una stabilità o di un senso di pace (come lascia intendere il titolo). Per questo le immagini di Barbara Gabotto qui presentate si prestano particolarmente a questa sinestesia. Il giallo che esplode sul blu della prima opera ricorda gli acuti e gli strappi del flauto che scheggiano nell’aria come lampi improvvisi. I colori terragni della seconda immagine, più pacati e oscuri, accompagnano invece una fase del pezzo che in partitura delinea un andamento più “ieratico e misterioso”. Sul finale la ricerca di armonia sembra giungere ad una definizione, e così anche nella terza e ultima immagine: su uno sfondo livido e astratto compare una forma dorata che ispira un senso di riconciliazione.

Il senso dell’infinito, del movimento, dell’ossessione e della variazione presente nel brano di Beatrice Campodonico si ritrova nelle elaborazioni grafiche di Giada Fadoni qui proposte e concordate con la stessa autrice. Partendo da una fotografia di Cristina Avellis, una statuetta che rappresenta due figure umane unite e aggrappate l’una all’altra fino a formare un “8” (che se steso rappresenta il simbolo dell’infinito), l’artista ha giocato con i colori e con le serie numeriche riproponendo di volta in volta il soggetto e dissezionando l’immagine attraverso l’utilizzo di differenti campiture di colore. Riproponendo la stessa figura in uno sfondo diverso e creato alternando colori caldi e freddi, primari e secondari, si avverte una certa ossessività che richiama la pop-art e rimanda ai precedenti di Andy Warhol.

Per accompagnare i brani di Sofia Gubaidulina propongo due opere di Lydia Masterkova (1927-2008).

La prima, del ‘62, non ha titolo e rappresenta un intricato garbuglio di forme organiche definite da colori primari accesi, immersi però in una contrastante atmosfera drammatica e cupa: un gioco di opposti che ben si sposa con il Sound of The Forest della compositrice, con la quale condivide la stessa provenienza geografica.

Il senso del sacro, le sequenze numeriche, gli schemi ritmici e le forme sferiche sono ritornanti nelle opere mature della Masterkova. Ad accompagnare l’ultimo brano della Gubaidulina ho scelto dunque di presentare un esempio della serie dei Pianeti, del 1979, che mi sembra rispecchiare appieno delle tematiche condivise da entrambe le artiste.

Per accompagnare le atmosfere cinematografiche evocate dalla musica di Eugenie Rocherolle ho scelto un’artista che ha lavorato nel campo del cinema di animazione come illustratrice e concept artist: Mary Blair (1911-1978). Tra i vari film sui quali ha lavorato ricordiamo Dumbo, Fantasia, Cenerentola, Alice nel paese delle meraviglie, Le avventure di Peter Pan. Il suo compito, su questi film, era quello di creare illustrazioni delle scene, fondali e storyboard sui quali gli animatori avrebbero dovuto costruire i movimenti e la regia dei cartoni animati. La sua impronta stilistica è molto evidente, ad esempio, in alcune scene di questi lungometraggi e la si può ritrovare soprattutto nei background. Lo stile di questa artista è caratterizzato dalle figure poco realistiche ma soprattutto dall’abile accostamento di colori violenti e vivaci. La sua arte, veicolata anche attraverso i film Disney, ha raggiunto generazioni di artisti e illustratori americani ed europei, rendendo di fatto questa artista una delle più influenti sul nostro immaginario contemporaneo.

Ho scelto di presentare in sequenza alcuni concept creati da Mary Blair per Cenerentola, una delle fiabe che, nel bene e nel male, rappresentano in maniera critica la condizione della donna nella nostra società.

Nel 1922 Jaques-Émile Blanche (1861-1942) crea un ritratto del Gruppo dei Sei, raffigurati insieme alla pianista Marcelle Meyer. La musicista risalta al centro del quadro attorniata dai diversi membri del gruppo e dai loro numi ispiratori: in basso sulla sinistra possiamo riconoscere Germaine Tailleferre, subito dopo Darius Milhaud, Arthur Honegger, Louis Durey; sulla destra spiccano Georges Auric, Francis Poulenc, Jean Cocteau.

È emblematico che un movimento culturale in questo determinato spaccato storico potesse creare una sinergia tale da permettere che ben due professioniste della musica fossero rappresentate insieme, due donne in un ambiente ancora fortemente determinato dalla presenza maschile, vere pioniere della libertà d’espressione.

All’interno dello stile musicale di Mel Bonis si avvertono già delle tensioni che guardano al cosiddetto Impressionismo musicale. L’attenzione all’accostamento dei colori in musica (il timbro) e in pittura diviene il nesso con il quale ho pensato di affiancare a questa autrice un’affermata esponente femminile del movimento impressionista: Berthe Morisot (1841-1895). Sebbene la sua passione per la pittura non potesse trovare sfogo in un percorso di studi istituzionalmente integrato, poiché alle donne era preclusa la frequentazione dell’École des Beaux-Arts, l’artista compie un percorso di studi che la porta a diventare una delle allieve predilette di Manet, che la userà più volte anche come modella immortalandone per sempre la fisionomia.

La carriera della Morisot si presenta ben diversa da quella di Mel Bonis, la cui passione per la musica fu fortemente osteggiata dalla famiglia.

I tre quadri della pittrice, dedicati all’ambiente familiare di una tranquilla borghesia, sono stati dunque scelti per lanciare un messaggio, anche critico, verso la stereotipata immagine della femminilità ottocentesca: le Due ragazze (1892) raffigurate nella loro camera da letto poco prima di darsi alla toeletta colte nell’attimo della quotidianità senza quelle sfumature di erotismo tipiche di questa tipologia di figurazioni coeve; la Gabbia del 1885; La culla del 1872, dove una donna in malinconica contemplazione osserva un bambino addormentato.

Lili Boulanger, al contrario di Mel Bonis, ha invece avuto la possibilità di affermarsi professionalmente nell’ambito della musica. La sua intraprendenza, oltre ai richiami all’etereo e alla spiritualità presenti nelle sue opere, tematiche affini alle correnti simboliste, mi hanno spinta ad associare questa figura a quella di Loïe Fuller (1862-1928), un’artista delle arti performative, considerata a tutti gli effetti come una innovatrice che ha rivoluzionato il linguaggio della danza aprendo verso le sperimentazioni del contemporaneo. La sua danza “serpentina” combinava veloci movimenti circolari al fluttuare delle stoffe di seta colorate e a particolari sperimentazioni nel campo dell’illuminotecnica (oltre a sperimentazioni con il radio, scoperto in quegli anni dai coniugi Curie), creando effetti visivi spettacolari che hanno destato l’ammirazione del pubblico, ma anche di artisti contemporanei che l’hanno spesso immortalata nei loro dipinti. Il suo stile di danza influenzerà la corrente simbolista e l’art nouveau. Il filmato che propongo dovrebbe rappresentare proprio Loïe Fuller in una ripresa fatta dai Fratelli Lumière nel 1896 (colorato successivamente).

Come Marie Felice Clemence Grandval, anche Eva Gonzalès (1849-1883) ha potuto dedicarsi alla propria arte per tutta la vita. Nonostante sia morta giovanissima, a soli 34 anni per le complicazioni dovute al parto, è stata un’artista molto influente che ha avuto modo di crescere nel movimento impressionista e di sviluppare autonomamente anche un proprio linguaggio espressivo. Le atmosfere sognanti della musica della Grandval si ritrovano nel quadro soffuso di pace che ritrae una ragazza che si sveglia la mattina (Risveglio mattutino). La Colazione sull’erba è invece una delle ultime opere dell’artista, in cui si può osservare l’estremo sviluppo della sua poetica che si avvia verso lo sfaldamento delle forme.

Elisabeth Vigée Le Brun (1755-1842) è stata la pittrice alla corte di Maria Antonietta e di Luigi XVI, del Regno di Napoli, della corte dell’imperatore di Vienna, dell’imperatore di Russia e della Restaurazione. Artista perfettamente integrata nell’ambiente Ancien Régime, si è distinta soprattutto come ritrattista. È dunque una contemporanea di Maria Theresia von Paradis, con la quale sembra aver condiviso gli ambienti aristocratici in cui entrambe le donne hanno potuto affermarsi come professioniste nei rispettivi campi.

L’opera associata al brano vede la pittrice Elizabeth Vigée Le Brun in un autoritratto mentre dipinge Maria Antonietta: una pittrice che si autorappresenta mentre, fieramente, svolge il proprio mestiere.

Ad Anna Bon, virtuosa, cantante e compositrice tra le più affermate del suo tempo, ho associato un’artista, Rosalba Carriera (1675-1757), anche lei veneziana e dalle poliedriche doti artistiche. Istruita e intellettuale, creò attorno a sé un vero e proprio circolo culturale e riuscì a conquistare importanti commissioni in patria e in Francia. Ad accompagnare i brani di Anna Bon tre pastelli a tema musicale: il primo un’allegoria della musica; il secondo un ritratto di un giovane come Apollo (pastello su carta azzurra); il terzo rappresenta la cantante Faustina Bordoni.

 

In chiusura, per l’ultimo brano di Marie Felice Clemence Grandval per flauto e arpa, ho pensato di continuare l’accostamento a Eva Gonzalès con una piccola natura morta del 1875-76 che si intitola Dessert.

 

 

Prossimo concerto del progetto

IL FILO DI ARIANNA

 

Sabato 11 giugno

Sala Puccini ore 17.30

 

VOCE DI DONNA

 

Musiche di

Barbara Giuranna, Silvia Bianchera, Silvia Pepe

Elsa Olivieri Sangiacomo Respighi, Cathy Berberian

 

Silvia Pepe, Alessandra Normanno soprano

Elsa Biscari mezzosoprano

Edoardo Braga, Giulio Galibariggi pianoforte

 

Testi di Mariella De Santis, Gabriela Fantato, Marta Morazzoni, Paola Pennecchi

Immagini di Laura Magistrelli

Concerto a cura di Sonia Grandis e Daniela Uccello