Carne coltivata: una interessante distopia futuribile.

di Maurizio Podico Presidente APPSA

In questi giorni infuriano le critiche al decreto che introduce disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato (nazionale) di alimenti e mangimi sintetici.

In pratica nel nostro Paese non è possibile utilizzare come alimento o mangime prodotti derivanti da colture cellulari, la cosiddetta “carne sintetica”, pardon, di produzione italiana.

Senza entrare sul tema della libera circolazione delle merci nello spazio Schengen (comunità europea) che potrebbe inficiare la validità del provvedimento, siamo di fronte a due schieramenti.

Il primo capitanato dalla Coldiretti che a supporto dell’iniziativa del governo è uscita con un comunicato dai contenuti inquietanti, a partire dal fatto che si parla di “carne Frankenstein”, e si prosegue con argomentazioni dai contenuti scientifici condivisibili ma poco aderenti allo stato dell’arte e al contesto tecnico/economico che hanno dato il la alla reazione che ha visto un certo numero di testate “progressiste”, anche con una discreta fama tecnico/scientifica schierarsi a favore della “carne coltivata”.

Dall’altra parte, il mondo scientifico, che ribadisce la sicurezza della carne coltivata, smentendo le posizioni protezionistiche,e ribadendo il suo valore anche in confronto di parametri ambientali non pare molto convincente.

Mi perdoni la “casalinga  di Voghera”, figura genuina ma molto disincantata, solitamente tirata in ballo in queste vicende, dove il buon senso dovrebbe predominare su sofismi e arzigogolate teorie quantiche, ma oggi pare che i due schieramenti non abbiamo fatto “i conti con l’oste”, quello vero, che, bofonchiando, inconsapevole che la carne coltivata non si produce con un frullato di cellule staminali e un po’ di zucchero ma con impianti ultrasofisticati in cui le cellule sono alimentate da una soluzione di vitamine, zuccheri, proteine e aminoacidi, sali e ormoni pensa: “se il progetto è di fornirmi della carne per un hamburger che costerà forse (ottimisticamente) un paio di euro nel 2030 (oggi molto di più), quando oggi con poco più di un euro mi danno un cheeseburger bello e impacchettato, mi sa che con questa soluzione sfamiamo ben poche persone!”.

Per i distratti si ripropone, ancora una volta, l’idea che si possa ottenere una materia prima di alta qualità senza pagare un caro dazio.

L’Oste non è una figura teorica ma incarna il mercato, non quello spocchioso che ama le novità esotiche ma quello vero, che deve marciare con una seria convenienza economica, solo in questo modo potremo innescare una vera rivoluzione alimentare, che possa sfamare l’Umanità attirando finanziamenti, imprenditori e sviluppi tecnologici.

In questo caso occorrono, infatti, non solo impianti giganteschi di altissima tecnologia, che potrebbero essere alla portata di ben poche società nel mondo, ma occorre considerare il costo e la gestione dei brodi di coltura derivanti da materie prime in grande quantità e di purezza farmaceutica.

Ragionando liberamente: ma se disponiamo di tali materie prime, soia, frumento, proteine, zuccheri e aminoacidi, perché dobbiamo utilizzarle per produrre carne coltivata con grande dispendio di tecnologia, energia e massa?

D’altra parte basta osservare cosa fanno “quelli bravi” come Bill Gates, che al momento,pur sostenendo moderatamente la carne coltivata, ha incrementato il suo investimento in terreni agricoli,nel 2022, del 13.6% superando i 110.000 ettari posseduti, solo in nord America…… vai a capire il perché!

Quello che non vogliamo accettare è che con l’equivalente in pasta e fagioli (condita con olio EVO e una spruzzata di parmigiano) di una bistecca possiamo sfamare 10 persone, con un minore impatto sull’ambiente e senza carenze nutrizionali.

Tutto sommato, ancora una volta, sta a noi modificare le nostre abitudini alimentari adottandone di più salutari, per noi e per il nostro Pianeta.

 

Un ultimo aspetto che mi ha colto di sorpresa è stata la rimozione del volantino della Coldiretti da parte di Google che introduce delle riflessioni sull’imparzialità di una piattaforma ritenuta profondamente “liberal”.