“È entrato in vigore nei giorni scorsi il decreto CER, un provvedimento voluto dal governo per provare a stimolare la nascita e lo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili e dell’autoconsumo in Italia. Un primo passo per dare il via a un progressivo processo di indipendenza italiana dalle fonti estere. Si tratta certamente di una buona notizia per tutto il comparto industriale, e non solo, che negli ultimi tempi è stato messo alla prova da costi energetici fuori controllo”.
Lo afferma Antonio Visconti, presidente Federazione Italiana Consorzi Enti Industrializzazione.
“Adesso, però, c’è bisogno di continuare sulla strada intrapresa con maggiore convinzione. Un buon piano per i combustibili rinnovabili, in Italia, infatti, può rendere la nostra nazione meno vincolata, a livello internazionale, dai grandi players energetici oltre a rafforzare la nostra economia. Non è un miraggio: basti pensare, infatti, che ci sono già potenziali infrastrutture in grado di operare in quest’ottica. Mi riferisco alle aree industriali che per la loro conformazione sono un’entità ideale per la costituzione di un’identità energetica. Nelle Asi ci sono grandi consumatori di energia, le imprese, che possono, tramite dei processi produttivi caldo-freddo, diventare grandi produttori”.
“L’ente pubblico, che gestisce le aree industriali, può e deve svolgere una funzione decisiva. Esso, infatti, ha il coordinamento di tutti i soggetti, ha la proprietà dei sottoservizi, delle infrastrutture, delle aree di sedime sulle quali impiantare i pannelli fotovoltaici. Può, inoltre, rilasciare autorizzazioni in deroga sugli impianti alimentati da fonti rinnovabili ed è a sua volta un grande consumatore di energia con la pubblica illuminazione e gli impianti di depurazione. Quindi è parte di questo processo sia come soggetto promotore che come parte della comunità energetica”, spiega.
Molti hanno visto nella transizione energetica e nel Superbonus un’opportunità per ridurre il fabbisogno di energia nel Paese ma quantificare l’energia prodotta è impossibile; d’altro canto, capire quanto effettivamente queste misure impattino, almeno per il momento, sul consumo e di conseguenza sull’importazione di energia elettrica e sull’uso di combustibili fossili è altrettanto complesso.
Inoltre, secondo alcune stime, nel 2022 i lavori sull’efficientamento hanno prodotto un risparmio di soli 3 miliardi di euro a fronte di una spesa, per lo Stato di centinaia di miliardi di euro. Tutto ciò, quindi, non dà certezze e prospettive se non si agisce con l’aumento del fronte della produzione. Solo la creazione di impianti fotovoltaici o di energia rinnovabile può quindi ridurre i consumi di energia primaria e contenere la fattura energetica nazionale.
“Tutto ciò rappresenta anche un’opportunità industriale alla luce anche del fatto che la transizione energetica è una grande occasione anche per le industrie, per produttori di pannelli, per i produttori di cavi, di impianti, dei sistemi di accumulo ma anche di tutto l’indotto. Un buon esempio è la comunità di Buccino, in provincia di Salerno, dove insistono aziende che con le forme di alimentazioni tradizionali sarebbero andati fuori mercato visto gli alti costi. Adesso, invece, è in funzione un’impresa che sta sviluppando una batteria a sabbia”.
Per fare tutto ciò c’è bisogno di un cambio di mentalità e di conseguenza delle regole di “ingaggio”.
“È assolutamente improponibile, infatti, il limite alla produzione di energia che oggi è fissato a un megawatt. Questo limite può andare bene per una piccola industria ma un’impresa di grandi dimensioni ha bisogno di importi più elevati. C’è inoltre bisogno di norme tutelino e salvaguardino le realtà produttive. Mettere pannelli fotovoltaici sui terreni industriali può significare impoverire le opportunità delle industrie. Servono sistemi che riconoscano il ruolo dei consorzi come entità di promozione e di sviluppo di un modello virtuoso che è, aldilà dell’aspetto ambientale della decarbonizzazione, anche un’opportunità”.
Un’occasione per attuare, finalmente, l’autonomia energetica nazionale di cui si parla da decenni ma che, finora, non ha avuto sviluppi reali. “Adesso c’è l’opportunità di interrompere questa ruota e, una volta per tutte, non dipendere da fonti estere che, come abbiamo visto negli ultimi tempi, sono soggette a mutamenti radicali dovuti a guerre, pandemie o semplici cambiamenti politici. Solo così si potrà essere un grande paese industriale, autonomo sotto tutti i profili”, conclude Visconti.