I suicidi in carcere, un dramma inascoltato!

a cura dell’Avv. Gaetano Laghi

Nel 2024 il numero di suicidi avvenuti nelle carceri italiane è inquietante.

A metà aprile i casi erano già 30. Nel 2022, quando a fine anno furono 85, alla stessa data erano 20. I dati del nuovo report di Antigone onlus, “Nodo alla gola”, riflettono un sistema carcerario segnato da criticità strutturali

La scelta di togliersi la vita è sempre un evento tragico ma se gli episodi si susseguono ed avvengono in vari e diversi istituti penitenziari bisogna prendere atto che non si tratta di casi isolati ma di una “escalation” pericolosa che deve essere fermata.

Il primo e principale problema delle carceri italiani è il sovraffollamento. Attualmente, i 189 istituti penitenziari italiani hanno 51.178 posti regolamentari, ma ospitano 61.049 persone, con un tasso medio di sovraffollamento del 119%. Questa situazione è particolarmente grave in alcune regioni, come la Puglia, la Lombardia e il Veneto, dove il sovraffollamento supera il 150%.

Oltre al sovraffollamento, le carceri presentano spazi insufficienti e spesso fatiscenti, condizioni detentive degradanti che non contribuiscono affatto alla rieducazione del condannato così come impone il nostro ordinamento giuridico. Dover convivere e condividere celle non riscaldate o senza acqua calda, spazi individuali talvolta inferiori ai 4 metri quadrati in reparti in cui i detenuti sono chiusi nelle proprie camere di pernottamento anche durante il giorno, non contribuisce ad affrontare con serenità la detenzione.

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha recentemente stanziato cinque milioni di euro per potenziare i servizi psicologici nelle carceri e contrastare questo triste fenomeno dei suicidi. Tuttavia, è evidente che il problema va oltre la singola persona e richiede una riforma più ampia. Certamente queste misure, così come quella del recente protocollo per l’ampliamento della pratica sportiva all’interno degli istituti di pena, possano contribuire a migliorare la situazione e garantire un ambiente più umano e “sostenibile” per i detenuti.

Sono, questi, progetti che a lungo ed a medio termine possono condurre ad un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita all’interno del carcere. Bisogna anche riconoscere che alcuni istituti di pena offrono condizioni di vita molto migliori di altri, ad esempio il carcere di Opera a Milano, con la possibilità di svolgere numerose attività anche ricreative.

Molto spesso, però, le buone o cattive condizioni di vita all’interno di un carcere sono determinate dal numero di persone che vi sono rinchiuse all’interno in stato di detenzione, a questo disagio contribuisce anche l’esiguo o insufficiente numero di personale della polizia penitenziaria.

L’unica vera soluzione immediata, però, che può portare ad un miglioramento delle condizioni di vita è incidere sul sovraffollamento con un provvedimento di clemenza.  Piaccia o non piaccia è evidente che l’amnistia o l’indulto intervenendo sulla condanna e sulla pena possono riportare in libertà un numero rilevante di persone attualmente detenute.

L’ultima amnistia in Italia risale al 1990. In quell’anno, il provvedimento di clemenza estinse i reati per molti individui.

La Chiesa cattolica ha spesso favorito la concessione di amnistie o indulti, ma non tutti i giubilei sono stati accompagnati da un’amnistia. Nel 2000, ad esempio, Papa Giovanni Paolo II chiese con forza un gesto di clemenza, ma non fu concessa. Anche nel 2002, Papa Wojtyla tornò a fare un appello per un provvedimento di clemenza, ma passarono diversi anni (2006) prima che le Camere approvassero un indulto ovvero un provvedimento che riduceva la pena da espiare.

L’attuale momento politico sembra confliggere con l’emanazione da parte del parlamento di provvedimenti di clemenza anzi il legislatore, spesso sull’onda dell’emozione a seguito di fatti eclatanti, interviene per inasprire le pene per determinati reati o creando nuove figure o tipologie di reato. La scelta non è quella di considerare il carcere come una risposta eccezionale e limitata ma come sanzione e strumento di repressione. E ciò è avvenuto con tutti i Governi recenti, indipendentemente dal colore politico e dalle ideologie.

È arrivato il momento, invece, di considerare come necessario un provvedimento come l’amnistia o l’indulto non solo per affievolire il sovraffollamento carcerario ma anche per garantire un processo penale più rapido e con tempi certi. In tal modo l’Italia potrebbe centrare alcuni degli obbiettivi previsti dal PNRR al fine di attuare riforme e investimenti per migliorare l’efficienza e la competitività del sistema giustizia italiano quali la riduzione del tempo di durata del giudizio e l’abbattimento dell’arretrato giurisdizionale.

Chi avrà il coraggio politico di proporre una simile soluzione?  I penalisti italiani da tempo chiedono provvedimenti per migliorare le condizioni di vita dei detenuti all’interno del carcere ma sono rimasti inascoltati.

Evidente che dall’esterno una simile iniziativa viene interpretata come utilitaristica ed interessata ma il campanello di allarme è già suonato molte volte, non si può più restare a guardare senza fare nulla. Così com’è oggi, il carcere è un luogo invivibile che infligge molto di più della semplice privazione della libertà ed i numerosi suicidi ne sono la prova.

L’amnistia e/o l’indulto non sono una soluzione ma possono essere un rimedio efficace in attesa di restituire ai detenuti condizioni di vita accettabili e rispettose dei diritti delle persone.

 

Milano 30 aprile 2024

 

Avv. Gaetano Laghi

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