Ancora un biopic su Elvis Presley, intervista a Paolo Borgognone

Intervista a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo

In arrivo questo autunno un film (di Sofia Coppola) su Priscilla, la moglie del “Re” del rock. Ce ne parla Paolo Borgognone, autore per Diarkos Editore di “Io Elvis”, un’approfondita biografia del cantante

La vita – anche privata – dei grandi personaggi affascina sempre spettatori e lettori di ogni età. Abbiamo ancora negli occhi le immagini e i suoni del bellissimo “Elvis”, il biopic di Baz Luhrmann dedicato al “Re” del rock and Roll, che in redazione ci raggiunge la notizia che Sofia Coppola – la figlia del grande Francis, cinque volte Premio Oscar – sta finendo la regia di “Priscilla”, un film interamente dedicato alla figura della moglie di Presley e mamma della sfortunata Lisa Marie, deceduta quest’anno. Un film che sarà basato, secondo le news made in Usa, sulla autobiografia della signora Presley, “Elvis and Me” pubblicata nel 1985, otto anni dopo la scomparsa del marito. Su questo e sul “fenomeno Presley” che non accenna a diminuire di popolarità a quasi 46 anni dalla morte, abbiamo sentito Paolo Borgognone, giornalista e scrittore che proprio al King ha dedicato una biografia uscita per Diarkos Editore e intitolata “Io Elvis”.

Paolo, questo personaggio continua ad attrarre così tanto: secondo te perché?

Penso dipenda molto dalla influenza che ha avuto sulla musica e sulla società non solo americane ma di tutto il mondo. Come nel caso dei grandissimi, c’è un prima e un dopo Elvis e i cambiamenti sono stati epocali. Non ci sono, praticamente, musicisti che non si siano inchinati davanti alla grandezza di Presley. Basti citare John Lennon e Paul McCartney che, tante volte, hanno detto che senza di lui i Beatles non sarebbero esistiti. Naturalmente l’impatto di questo fenomeno è andato oltre le sette note e ha riguardato i costumi, la società intera. Per quello se ne parla ancora e se ne parlerà per un bel po’ di tempo.

Questo nuovo film sarà incentrato su Priscilla…

E questo lo rende, se possibile, ancora più interessante. Anche perché la regista è una donna – oltre che una straordinaria professionista – e questo dovrebbe garantirci un punto di vista nuovo e diverso sull’uomo Elvis, oltre che sull’intrattenitore. Ho letto che in America – anche se la pellicola non è stata ancora presentata e arriverà in ottobre – ci sono già state polemiche. Una parte degli eredi non lo avrebbe trovato credibile. Priscilla, dal canto suo, lo ha invece elogiato e ha detto che la regista “ha fatto un gran lavoro”, parlando di un “viaggio straordinario” per gli spettatori…

A tuo avviso – visto che lo hai studiato a fondo – che persona era Elvis Presley, fuori dal palco?

Una personalità affascinante, questo è certo. Chiunque lo avvicinasse lo trovava magnetico. E le ragazze impazzivano per lui. Ma quello che più mi ha colpito leggendo le sue biografie e le interviste di chi lo ha conosciuto e lavorato con lui era l’aspetto umano. Sul palco, in particolare a inizio carriera, era scatenato, ma fuori era un timido che aveva un rapporto strettissimo con la mamma che è purtroppo scomparsa all’improvviso proprio mentre lui si accingeva a partire per il servizio militare in Germania. Per certi versi, c’è chi ritiene che non sia mai uscito del tutto da quel trauma così devastante. Neanche il grande amore con Priscilla ha sanato del tutto quella ferita. E un’altra dote non comune era la determinazione a non farsi abbattere e a perseguire il sogno del successo.

Ci sono, per te degli aspetti ancora poco noti della sua vita?

Il personaggio era molto sfaccettato e ha attraversato diversi periodi: dagli albori della carriera e dell’incredibile successo alle polemiche per il “cattivo esempio” che avrebbe dato ai giovani, un’accusa che peraltro lo faceva soffrire parecchio: poi il militare, i tanti film (alcuni scadenti), quindi il ritorno sulle scene del ’68 molto più consapevole e attento al mondo che lo circondava fino agli ultimi anni a sudare e cantare sul palco di Las Vegas senza mai risparmiarsi. Credo che ci siano ancora parecchi aspetti che vanno approfonditi, come per esempio quello del rapporto con la religione che è molto importante per i suoi fan ancora oggi.

Nella tua carriera hai scritto, sempre per Diarkos, anche altri libri, uno dedicato a Freddie Mercury (The Show must Go On) e uno al Reverendo Martin Luther King jr (“I Have a Dream”). Esiste un minimo comun denominatore tra queste tre stelle del secolo scorso?

Credo sia la determinazione ad andare avanti, la capacità di vedersi oltre il tempo presente, proiettando i propri sogni nella realtà futura. Tutti e tre questi personaggi – diversissimi tra di loro – avevano questo tratto in comune. E tutti e tre – più o meno drammaticamente è chiaro, non possiamo metterli sullo stesso piano – hanno dovuto lottare contro difficoltà enormi e contro la stupidità e l’ottusità retrograda che purtroppo è una costante del mondo. Ma tutti e tre hanno lasciato eccome il segno.