Usciamo da pochi giorni da un Congresso Nazionale Forense in cui, con forza, il Presidente del CNF ha rivendicato con unanime consenso dei delegati il diritto degli avvocati ad un compenso giusto, nonché la necessità di estendere la norma sull’equo compenso ben oltre i confini delle convenzioni con le “controparti forti” e vediamo con sconcerto oggi un parere dell’Ufficio Studi del CNF che contraddice questa linea, con indicazioni di segno totalmente opposto.
C’è una visione comune uscita dall’assise di Torino per cui uno dei grandi (se non il principale) problemi della categoria è la “questione reddituale”.
Se ne parla per ragioni di dignità degli avvocati presi singolarmente, ma anche per dignità dell’Avvocatura come categoria il cui ruolo anche dal punto di vista economico deve essere riconosciuto.
Se ne parla per le giovani generazioni di colleghi, che tutti vogliono veder prosperare, ma che sono i primi a soffrire le concorrenze al ribasso, non avendo margini ad inizio carriera.
Se ne parla in ambito previdenziale: sempre dal palco del Congresso, la Presidente di Cassa Forense Annunziata ha chiarito come la sostenibilità del sistema non può prescindere da un rafforzamento delle entrate reddituali degli avvocati.
Ma una volta chiarito qual è il punto a cui si vuole arrivare, ci si ritrova ad affrontare un parere che nasce già vecchio rispetto ai recenti arresti giurisprudenziali in materia, che iniziano a rivedere le apodittiche prese di posizione sul libero mercato applicato tout court alle professioni intellettuali, dando rilevanza al principio costituzionale dell’art. 36 sulla dignità della retribuzione (e per esteso ovviamente dei compensi dei professionisti, salvo non si voglia violare l’art. 3 della stessa Carta), come ha fatto la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 19049/2025, ha stabilito che “ai fini della liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente, il giudice non può in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate”, richiamando precedenti arresti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia di tariffe minime e concorrenza, secondo cui le norme che vanno a tutelare la qualità delle prestazioni e l’autonomia del professionista non si pongono in violazione dei principi della UE, laddove siano proporzionate e mirino ad obiettivi legittimi.
Tutti sappiamo che la questione è “politica”: che serve andare oltre una visione restrittiva e dannosa per la professione come quella intervenuta negli ultimi anni a causa di malintesi afflati liberisti.
ll punto è chiaro ed è che una corsa al ribasso non garantisce e tutela il consumatore: non è il prezzo il parametro di una prestazione intellettuale, ma la qualità. E la qualità deve essere dignitosamente ricompensata.
Riteniamo che il parere dell’Ufficio Studio del CNF sia “una voce dal sen fuggita” (e come tale può essere richiamata) in un contesto che si deve muovere in tutt’altra direzione, anche con il coraggio dimostrato dalle richiamate prese di posizione del Presidente del CNF e della Presidente di Cassa Forense dal palco della massima assise dell’Avvocatura: Movimento Forense supporta totalmente la visione esposta dalle nostre massime istituzioni ed è convinto che ciò sia necessario per la tutela della dignità degli avvocati, dei giovani colleghi e dell’Avvocatura.
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