Storie di Vita, Capitoli IV e V

Capitolo I 

Capitolo II

Capitolo III

 

Capitolo IV

Lacrime.

Lo vidi camminare verso di me con un passo goffo e maldestro, pochi capelli grigi in testa e tanti denti in meno. Mi raccontò di essere triste, di aver perso la sua fidanzata.

Immaginai una bella donna matura, dai capelli grigi come i suoi.

<<Stava per raggiungermi qui, ma non ha fatto in tempo a venire>>, disse.

Pensai che la sua fidanzata avesse avuto un male incurabile. Non mi diede il tempo di fargli alcuna domanda e continuò:

<<Lei era buona, sempre buona, e questo le portò solo disgrazie, per questo bisogna essere sempre duri, severi, crudeli.>> La sua mandibola senza denti si sporgeva in avanti ad ogni parola pronunciata con odio.

Non parlai, mi limitai ad ascoltarlo. Aveva tanto bisogno di essere ascoltato. Provai una certa compassione per quell’uomo ma dentro di me sentii che c’era qualcos’altro,

<<Doveva raggiungermi qui, ma il giorno della partenza qualcuno si avvicinò e le consegnò un pacchetto, lei lo prese, e come immaginerà trovarono droga. Maledico quel giorno, sa? La presero all’aeroporto di Madrid, non arrivò mai qui. La deportarono nel nostro paese, la portarono nel peggiore carcere, lì la ferirono al volto, l’accoltellarono alla gamba e la uccisero. È una storia davvero triste, era così giovane.>>

Pianse. Vidi due lacrime scorrere il suo volto raggrinzito.

<<Con lei sono otto>>, non capii cosa intendesse.

<<Le vergini che ho avuto nella mia vita>>, continuò.

Non parlai, sgranai gli occhi. Non credevo a ciò che stessi ascoltando.

Si asciugò le lacrime e prese qualcosa dalla tasca.

<<Ora ho questa>>, tirò fuori un telefono vecchio come la sua giacca e mi fece vedere la foto di una giovane donna.

<<Ha trentacinque anni e presto la porterò qui. Ci sentiamo sempre, lei mi vuole. Lei vuole venire a vivere qui con me per farmi compagnia. Farò i documenti. Anche lei è vergine, così mi ha detto e io le credo>>, disse con un’intatta convinzione e uno sguardo concupiscente.

Sentii il mio cuore gelarsi. Una ragazza così giovane deve essere così disperata per credere a qualsiasi sconosciuto trovato in rete. Non pensai alla differenza di età, al fatto che un uomo ormai in decadenza potesse pensare solo a trovarsi una vergine, non pensai al suo egoismo maschilista. Pensai alle lacrime di prima.

Lacrime di coccodrillo.

Non potevo non dirgli nulla, mentre stava per andarsene gli dissi: <<Vedo che nemmeno alla sua età le mancano le fidanzate?>>, lo provocai.

<<Devo pur vivere credendo di essere ancora il cantante di un tempo, ero bello, magro e le donne mi stavano addosso come api intorno al miele, ora non ho niente in realtà ma le mie ragazze no lo sanno>>, mi fece l’occhiolino.

Prima di andarsene, con un ghigno malizioso mi chiese: <<E lei, è signora o signorina?>>, non risposi.

Le persone non cambiano perché non vogliono. C’è anche questo, pensai.

“Non credere a ciò che ti raccontano”, mi disse una volta qualcuno. “Ti mentono, ti raccontano ciò che vogliono raccontarti solo per manipolarti, per cercare di arrivare al tuo cuore e ammorbidirti. Non credere a ciò che ti dicono”.

Non ho mai pensato che questo fosse vero, fino ad oggi.

Quell’uomo morirà pensando alle “vergini” e credendo che lo scelgano per amore.

Cosa può portare un individuo al vero cambiamento, se non un fatto sconvolgente?

La risposta è lì –sempre– dentro ognuno di noi.

Capitolo V

Occhi verdi e sguardo profondo.

I capelli lunghi chiari le ammorbidivano il volto, ma i suoi segni, nonostante la giovane età, dimostravano una grande sofferenza.

<<Sono stata vittima di violenza per anni>>, mi disse.

I suoi occhi verdi si riempirono di lacrime.

<<Non volevo piangere>>, continuò.

Le sorrisi dandole conforto, e le dissi che piangere, non è assolutamente qualcosa di negativo, serve per purificarci e liberarci.

Lei continuò confortata.

<<Ero così innamorata di lui, era un ragazzo dolcissimo, mi riempiva di attenzioni, mi comprava doni, mi faceva camminare sulle nuvole>>.

La guardai attentamente senza battere ciglia. Mentre mi descriveva quell’uomo i suoi occhi scintillavano. Sembrava che fosse ancora innamorata.

<<Quando lo conobbi aveva una giacca in pelle nera, lo ricordo ancora come se fosse stato ieri. Era il classico ragazzo bello e impossibile del quartiere, tutte le ragazze volevamo stare con lui, ma tra tutte, lui scelse me>>.

Scelse me, pensai. Perché? Doveva scegliere lei, mi dissi.

<<Il periodo di luna di miele durò poco. Rimasi incinta ed ero felice. Una volta si arrabbiò così tanto, mi creda, nemmeno ricordo il motivo. Mi picchiò. Mi diede una sberla che mi fece cadere per terra. Arrivò sua madre, la quale viveva con noi, e invece di difendermi rimase a guardarmi in silenzio con uno sguardo accusatorio. Poi, lui mi insultò, mi disse parole che non avevo mai sentito provenire dalla sua bocca per nessuno. Sembrava un altro, un demone uscito dalle tenebre. I suoi occhi di fuoco mi guardavano con odio mentre mi tirava calci sulle gambe. Io pensavo solo a coprire il mio bambino, avvolgevo il mio ventre con le braccia e chiudendo gli occhi in posizione fetale, pregavo Dio che mi salvasse>>.

<<Mia figlia è nata da lì a poche settimane, prematura. I colpi avevano provocato l’anticipo del parto. Siamo rimaste in clinica per un po’. Io non dissi mai nulla a nessuno. Lui era così bravo a mentire e fingere davanti alla gente. Tutti lo adoravano. Riconobbe la bambina e ci riportò a casa. Pensai che con la nascita della piccola le cose sarebbero cambiate e, invece, una sera perse la pazienza a causa dei continui pianti della bambina:

<<Sei una buona a nulla, mi schiaffeggiò fortemente. Vidi poi la sua mano chiudersi  e avvicinarsi al mio volto: picchiò con violenza il mio occhio sinistro. In quel momento, non so se a causa della trance nella quale mi trovavo, udì una voce che proveniva da dentro di me: “devi scappare, lui vi ucciderà”>>.

<<Finsi di svenire e rimasi sdraiata finché lui non se ne andò. Sentii la madre lanciarmi una coperta quasi volendo coprire il suo senso di colpa. In lontananza, il pianto di mia figlia cessò. Aspettai circa un’ora e poi mi alzai. Andai in cucina e presi un coltello. Presi uno zaino e lo riempii con qualche mio vecchio vestito e pannolini per la bimba, la presi dalla culla. La abbracciai. Non avevo niente, solo lei>>.

<<Mentre mi dirigevo verso la porta, sentii una presenza dietro di me. Era lui. Sentivo il suo profumo di tabacco nauseabondo avvicinarsi lentamente, ma prima che mi aggredisca alle spalle, mi girai e gli puntai alla gola il grande coltello che avevo con me e gli dissi: “Ora mi farai andare via e non mi seguirai, perché se lo farai ucciderò te, brutto bastardo, e quella donna poco di buono alla quale chiami madre”.

<<Non so da dove presi il coraggio. Era la voce dentro di me a parlare. Lui rimase come pietrificato a fissarmi. Il suo sguardo diventò impaurito e confuso. Uscì dalla porta senza voltarmi con in braccio la mia bambina e scappai verso la stazione degli autobus>>.

Le sue lacrime scendevano e cadevano lente sulle sue guance che diventarono rosse.

La vide ricordare quei fatti con ancora il terrore addosso e lo sguardo oscuro, a tratti perso. La lasciai ancora in silenzio per qualche minuto e, facendo un gesto insolito per me, toccai la sua mano per darle conforto.

Lei mi guardò con gratitudine e continuò:

<<Presi il primo autobus verso il confine, arrivata alla frontiera, la attraversai e mi trovai in Ecuador>>.

Sospirò profondamente.

<<Sono passati 8 anni da allora. Mia sorella radicava lì con la sua famiglia. Ci accolsero e ci aiutarono per un po’ di tempo. Un giorno, all’improvviso mi disse: “Devi andartene, lui sa che sei qui. Mi ha contattato sui social chiedendo di voi, verrà a cercarvi”>>.

<<Mi alzai di scatto. Non dissi niente, aspettai che la bambina tornasse da scuola e chiesi a mia sorella di portarmi in aeroporto. Avevo risparmiato un po’, grazie a lei e al lavoro che mi aveva procurato. Arrivate in aeroporto mi diressi verso Il counter dell’aerolinea europea che conoscevo per comprare un volo verso Milano. La nostra salvezza>>.

<<Autorizzazione di uscita della minore, prego? disse la hostess di terra fissandomi come se fossi una criminale>>.

<<Mi bloccai, avevo bisogno della sua firma. Continuavo a dipendere da lui. Quel mostro continuava ad annullarmi anche senza vederlo. Spiegai che eravamo straniere e che non avevamo bisogno del permesso. Mi spiegarono che per legge anche i bambini stranieri che rimangono in Ecuador per più di 90 giorni hanno bisogno del permesso di uscita dal paese di entrambi i genitori>>.

<<Con il cuore spezzato, comprai un solo biglietto aereo e lasciai mia figlia con mia sorella con la promessa di portarla qui presto. Sono passati due anni da allora. E non c’è verso. Lui non vuole firmare. Ha detto a mia sorella di dirmi di tornare perché lui non firmerà mai, ma io non posso tornare, capisce?>>.

<<C’è sempre una via di uscita>>, le dissi.

Le spiegai la procedura giudiziale che doveva attuare davanti ai giudici ma non c’è stato verso.

<<Non voglio che lui sappia che io sono qui>>.

Mi fece capire che la paura del solo pensiero che lui la raggiungesse era più forte del voler provare a ricongiungere sua figlia.

Provai a dirle che il suo coraggio era stato più grande della paura, che lei era riuscita a salvare lei e la figlia solo grazie a quella forza.

Poteva ancora farcela. Doveva scegliere lei. Ora.

Ma la violenza, non è mai effimera.

La risposta è lì -sempre- dentro ognuno di noi.

 

Joselinne Calderón (JC)


Scopri di più da GazzettadiMilano.it

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.