In Lombardia scompaiono i prati da foraggio

La coltivazione dei prati è una pratica migliorata nel corso di secoli per ottenere più raccolti di erba da impiegare nell’allevamento bovino: uno storico retaggio dell’agricoltura in Lombardia. I foraggi ottenuti da pascoli, prati e marcite sono ottimali per l’alimentazione dei bovini: le vacche alimentate in questo modo producono infatti un latte più nutriente, ricco di vitamine e acidi grassi essenziali, tanto che di recente l’UE ha istituito la denominazione lattefieno per il latte di qualità superiore ottenuto da animali nutriti con una razione più ricca di fieno e foraggi verdi.

Il sapore di fieno è una nota distintiva introvabile nei formaggi industriali, anche a marchio DOP, che hanno ormai perso il legame con i foraggi del territorio perché ottenuti da allevamenti intensivi in cui gli animali sono nutriti con farine di soia sudamericana o di mais ungherese. La nutrizione degli animali al pascolo porta inoltre salute agli animali e benefici economici alle aziende zootecniche, riducendo i costi di gestione della alimentazione.

Senza contare che i prati, oltre a produrre foraggio, sono anche un patrimonio ambientale: ospitano una grande diversità di piante, insetti e altri invertebrati, ed assicurano la salute dei suoli e delle acque, conferendo resilienza ai territori rispetto agli eventi meteorologici estremi. I prati permanenti non hanno bisogno di trattamenti chimici, sono fertilizzati per letamazione, accumulano enormi quantità di benefico humus: in questa forma, il suolo di un prato stabile può trattenere una quantità di sostanza organica equivalente a 600 tonnellate di CO2 per ettaro, più del doppio di un terreno a seminativo.

Quando un prato stabile è arato, e dunque distrutto, per far posto a un seminativo, gran parte della sostanza organica mineralizza, e la CO2 immagazzinata per decenni ritorna in atmosfera in poche settimane: per ogni ettaro di prato perso, si stimano emissioni di gas serra pari a quelle prodotte in un anno da circa 100 automobili.

La Lombardia sta perdendo i suoi prati a velocità sconcertanti: i prati permanenti  di pianura ormai costituiscono solo l’8% della superficie agricola regionale, e negli ultimi 10 anni sono scomparsi al ritmo di oltre 4000 ettari l’anno: in questo modo, rischiano di estinguersi entro i prossimi 20 anni! Una parte di questi prati viene sepolta dal cemento di strade e capannoni, ma la maggior parte lascia il posto a colture più intensive.

La perdita del cotico erboso e la lavorazione profonda del terreno hanno come effetto la rapida decomposizione dell’humus che si era formato nei secoli, e il risultato di ciò è che i suoli diventano vere e proprie ‘ciminiere’ di gas serra: in Lombardia ogni anno la distruzione dei prati stabili causa emissioni climalteranti paragonabili a quelle di quattrocentomila di automobili.

Salendo di quota, la situazione dei maggenghi per la produzione di fieno e degli alpeggi per il pascolo del bestiame non è migliore di quella delle pianure. Anche i prati montani stanno scomparendo, ma in questo caso la causa non è la trasformazione in colture industriali, ma la progressiva scomparsa e abbandono delle attività di alpeggio.

La silenziosa scomparsa dei prati stabili è ben nota all’istituzione lombarda: lo scorso luglio infatti il Consiglio Regionale ha approvato una legge per la loro tutela. Sarà la volta buona? L’interrogativo è d’obbligo, visto che già nel 2022 un’altra legge aveva previsto l’istituzione di una banca dati dei prati stabili’ di cui però si sono perse le tracce. E se non bastasse, anche le norme di semplificazione in discussione a Bruxelles puntano a ridurre la protezione di cui godono i prati nell’ambito della PAC, la politica agricola comune.

La preoccupazione per la scomparsa dei prati di certo è condivisa da quei coltivatori e allevatori che hanno saputo sviluppare eccellenze produttive grazie alla valorizzazione dei foraggi ottenuti dai prati. A loro è dedicato il Forum Agroecologia  & Biodiversità organizzato da Legambiente Lombardia (Milano, Cascina Nascosta, 4 dicembre 2025) nell’ambito del progetto LIFENatConnect2030, di cui è capofila la Regione Lombardia. LIFENatConnect2030 ha come obiettivi la conservazione della biodiversità e una gestione integrata della Rete Natura 2000, che valorizza anche le condotte e gli investimenti di privati e aziende che condividono la sfida di una economia basata sui servizi e sui valori che gli ecosistemi, se compresi e tutelati, possono mettere in gioco.

Dal Parco del Ticino alla Valle del Mincio passando per il Cremasco e il Lodigiano, i veri custodi dei prati di pianura sono piccoli produttori che non vogliono sapere di lasciare le loro vacche chiuse in stalla, come la Cascina Selva di Ozzero (MI) nel Parco del Ticino, che produce formaggi che del fieno hanno il profumo e il colore, ma anche grandi imprese cooperative che trasformano il lattefieno in un Grana Padano dal sapore inconfondibile, come quello della Latteria San Pietro di Goito (MN), nel mantovano, o ancora aziende che prosperano in storiche cascine come l’Agricola Zipo di Zibido San Giacomo (MI), le cui vacche vivono a lungo sgambettando tra prati, boschi e rogge del Parco Agricolo Sud Milano.

Non bisogna dimenticare i produttori di alpeggio, che ogni estate spostano le loro mandrie sui pascoli delle dorsali alpine, come quelli associati al Biodistretto di Valle Camonica.

“I consumatori devono sapere che c’è un modo sostenibile di approcciare i prodotti caseari lombardi,” afferma Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia. “Si dovrebbe da una parte ridurre il consumo di latticini, ma anche puntare sulla qualità, e ciò può offrire esperienze sensoriali uniche, con le quali nessuna produzione industriale può competere. Ricercare e apprezzare i sapori dei prati significa anche contribuire molto concretamente alla difesa della biodiversità agraria, e ridurre le emissioni di gas serra”

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