Ci sarà anche Legambiente a celebrare gli ottanta anni del riso Carnaroli, la varietà di riso più contesa per le pietanze della tradizione gastronomica italiana. L’occasione è rappresentata dagli Stati Generali del Riso Italiano, la maratona di eventi che parte da domani a Vigevano, tutta dedicata a questo cereale. La coltura del riso in Italia rappresenta meno del 2% della superficie agricola nazionale, ma tanto basta per fare del nostro Paese il primo produttore, con una quota prossima al 50% del riso europeo.
La coltura del riso è anche responsabile di emissioni di gas a effetto serra, e in particolare di metano: dalle risaie italiane esalano mediamente ogni anno oltre 55.000 tonnellate di questo gas, il cui potenziale di riscaldamento atmosferico globale è 84 volte superiore a quello della CO2. Le emissioni di metano delle risaie fanno di questa coltura la quarta fonte emissiva di gas serra in ordine di importanza nel settore agricolo. In particolare, le emissioni della coltura del riso compongono meno dello 0,4% di tutte le emissioni di gas serra in Italia.
Sebbene piccolo, questo valore non è trascurabile, per due ragioni: la prima legata al marketing del prodotto riso italiano, perché ridurre le emissioni necessarie a produrlo significa poter distribuire un prodotto che affianca alle proprietà nutrizionali e alla qualità organolettica anche una minore impronta climatica. La seconda, molto più importante, è legata al potenziale che le innovazioni nella coltura del riso possono generare a livello globale.
Non bisogna dimenticare infatti che se, per gli europei, il riso costituisce una pregiata nicchia di consumo, nel mondo invece il riso è il cereale più utilizzato nell’alimentazione umana. Le immense superfici coltivate a riso, in particolare nel continente asiatico, pesano infatti per il 9% sulle emissioni globali di questo gas serra, ed eguagliano quasi la metà delle emissioni di metano del settore Oil&Gas mondiale. Questo significa che ci sono grandi margini per i miglioramenti delle tecniche di coltivazione messe a punto dalla ricerca in campo agronomico.
La ricerca italiana sta facendo la sua parte, ed a questo è dedicato il seminario promosso da Legambiente nell’ambito della campagna ‘MetaNo-coltiviamo un altro clima’ (link alla pagina di progetto), iniziativa volta a promuovere la riduzione delle emissioni di metano nel Settore Primario. L’agricoltura e l’allevamento possono infatti fornire contributi rilevante al raggiungimento degli impegni che le centosessanta Parti Contraenti (Italia inclusa) hanno condiviso nel 2021 siglando il Global Methane Pledge, ovvero l’accordo mondiale per la riduzione delle emissioni di metano.
Domani pomeriggio, nella sala della Cavallerizza del Castello di Vigevano, Legambiente ha invitato rappresentanti dei principali enti di ricerca impegnati sulla coltura del riso. Tra questi vi sono ricercatori dell’Ente Nazionale Risi, delle Università di Torino, del Piemonte Orientale e dell’Università degli Studi di Milano, ma anche esponenti di organizzazioni dei produttori e agricoltori impegnati nello sperimentare nuove tecniche di coltivazione, coinvolti per discutere i risultati conseguiti in termini di riduzione delle emissioni e i problemi e le controindicazioni emerse dalla loro applicazione. A tutti è stato sottoposto il documento preliminare di discussione sul tema, contenente dati e informazioni sul peso delle emissioni legate alla coltivazione del riso e sullo stato attuale delle conoscenze nel miglioramento delle tecniche colturali.
“Il nostro auspicio è quello di dare visibilità e importanza sia ai risultati della ricerca italiana, che alla passione di tanti risicoltori impegnati per migliorare la sostenibilità della coltivazione del riso, con la consapevolezza che ad essere in gioco è certo il prestigio di una nostra eccellenza produttiva, ma anche il valore di un cereale che è fonte alimentare primaria per miliardi di persone,” dichiara Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. “Ricordiamo che la coltivazione del riso è centrale per grandi Paesi come Cina e India, su cui oggi è riposta gran parte delle speranze per la lotta al riscaldamento globale.”
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