La Procura di Milano ha avviato un’indagine per omicidio volontario plurimo aggravato da motivi abietti e crudeltà, dopo la presentazione di un esposto che riporta testimonianze e documenti su un presunto fenomeno avvenuto negli anni Novanta durante l’assedio di Sarajevo.
Al centro delle indagini c’è la figura dei cosiddetti “cecchini del weekend”: persone che, provenendo da diversi Paesi europei, avrebbero pagato per prendere parte a missioni di tiro contro la popolazione civile bosniaca.
L’esposto e i primi riscontri
L’esposto è stato presentato dallo scrittore Ezio Gavazzeni, che ha raccolto corrispondenze e dichiarazioni di ex agenti dei servizi di intelligence bosniaci. Secondo questo materiale, tra la fine del 1993 e l’inizio del 1994 sarebbero stati segnalati almeno cinque cittadini italiani coinvolti in queste spedizioni armate.
Le indagini, coordinate dal pubblico ministero Alessandro Gobbis con il supporto dei Carabinieri del Ros, prevedono l’acquisizione degli atti del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia e l’audizione di testimoni. L’obiettivo è verificare la veridicità delle testimonianze e accertare eventuali responsabilità dirette.
I “turisti della guerra” a Sarajevo
Le prime tracce del fenomeno risalgono ai mesi più duri dell’assedio, quando alcune fonti di intelligence bosniaca avrebbero scoperto la presenza di stranieri che, sotto copertura di viaggi turistici o venatori, raggiungevano le postazioni serbo-bosniache per partecipare a operazioni di tiro contro la città.
Si parla di persone facoltose, appassionate di armi o vicine ad ambienti estremisti, che pagavano cifre consistenti per “vivere l’esperienza” della guerra. Secondo alcune testimonianze, i civili venivano trasformati in bersagli e il valore della “caccia” variava in base alla vittima: bambini, soldati, donne o anziani.
Il ruolo dei servizi segreti
Dalle ricostruzioni emerge che nel 1994 i servizi di sicurezza bosniaci avrebbero informato l’allora Sismi, il servizio segreto militare italiano, della partenza di gruppi di cittadini italiani dalla zona di Trieste diretti verso la Bosnia. Secondo una fonte, dopo alcune settimane i servizi italiani avrebbero bloccato i viaggi, interrompendo il cosiddetto “safari”.
Al momento non risultano documenti ufficiali italiani che confermino questa versione, ma la Procura di Milano ha chiesto di accedere agli archivi internazionali e di verificare eventuali riscontri nei rapporti dei servizi segreti dell’epoca.
Un’ombra lunga sulla memoria europea
L’assedio di Sarajevo, durato dal 1992 al 1996, è considerato uno degli episodi più tragici della guerra in Bosnia-Erzegovina. Oltre undicimila persone persero la vita, in gran parte civili, vittime dei bombardamenti e dei colpi di cecchini appostati sulle alture intorno alla città.
L’ipotesi che cittadini occidentali abbiano partecipato, anche per brevi periodi, a questa carneficina riapre un capitolo oscuro della memoria europea e pone interrogativi sul ruolo giocato da singoli individui al di fuori dei conflitti ufficiali.
Le prospettive dell’indagine
L’inchiesta milanese è ancora nelle sue fasi iniziali e, al momento, non ci sono indagati ufficiali. Gli inquirenti stanno vagliando il materiale raccolto, comprese testimonianze, documenti e filmati che descrivono il fenomeno dei “turisti del conflitto”.
Se confermate, le accuse configurerebbero uno dei casi più gravi di partecipazione privata a crimini di guerra da parte di cittadini europei. Per la magistratura italiana si tratta di un’indagine complessa, che unisce il dovere di accertare i fatti alla necessità di restituire verità storica a una delle ferite ancora aperte della guerra nei Balcani.
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