È incostituzionale il limite di sei mensilità imposto dalla legge per i risarcimenti di chi è vittima di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese che non rientrano nell’applicazione dell’articolo 18. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, nella sentenza numero 118 depositata ieri, lunedì 21 luglio.
Il limite delle 6 mensilità era stato anche oggetto di uno dei quesiti referendari sottoposti al corpo elettorale il giugno scorso, per i quali non fu raggiunto il quorum
Secondo la Corte, l’imposizione di un simile limite massimo, fisso e insuperabile, a prescindere dalla gravità del vizio del licenziamento – aggiungendosi alla previsione del dimezzamento degli importi indicati agli articoli 3, comma 1, 4, comma 1, e 6, comma 1, del citato decreto legislativo numero 23 del 2015 – fa sì che l’ammontare dell’indennità sia circoscritto entro una forbice così esigua da non consentire al giudice di rispettare i criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento del danno sofferto dal lavoratore illegittimamente licenziato, né da assicurare la funzione deterrente della stessa indennità nei confronti del datore di lavoro.
La Corte esprime, inoltre, l’auspicio di un intervento legislativo sul tema dei licenziamenti di dipendenti di imprese sotto soglia, in considerazione del fatto che, nella legislazione europea e in quella nazionale, sia pur inerente ad altri settori (come ad esempio la crisi dell’impresa), il criterio del numero dei dipendenti non costituisce l’esclusivo indice rivelatore della forza economica dell’impresa e quindi della sostenibilità dei costi connessi ai licenziamenti illegittimi.
La sentenza della Corte costituzionale introduce un importante principio di tutela individuale ma, secondo Unimpresa, corre il rischio di produrre gravi conseguenze sull’equilibrio e sulla tenuta economica e occupazionale del sistema produttivo italiano. Secondo l’Unione nazionale delle imprese l’impatto potenziale è ampio e profondo: un’azienda con quattro dipendenti e un fatturato di 250.000 euro annui, se condannata a pagare una indennità non più contenuta nel limite di sei mensilità, potrebbe trovarsi a versare 12-18 mensilità di retribuzione (in media 30.000–40.000 euro) a fronte di un solo rapporto di lavoro, con la concreta possibilità di dover ricorrere a indebitamento, dismissioni o cessazione dell’attività.
“Una giurisprudenza che non tiene conto delle condizioni strutturali delle imprese rischia di trasformarsi in un boomerang per l’intero mondo del lavoro”, osserva il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. “Il principio costituzionale della tutela del lavoro non può essere realizzato scaricando sulle imprese più piccole l’intero peso della disciplina sanzionatoria” e “il rischio – secondo Longobardi – è che questa pronuncia contribuisca a congelare il mercato del lavoro nelle microimprese. Se assumere comporta un potenziale danno patrimoniale incalcolabile, molti piccoli imprenditori preferiranno non crescere, non formalizzare i rapporti, o peggio, rinunciare a investire nel lavoro stabile”.
La sentenza della Corte Costituzionale toglie certezze alla micro e piccole imprese del nostro Paese. “Da oggi ogni causa di lavoro – commenta Marco Accornero, Segretario di Unione Artigiani – rappresenta un rischio per la sopravvivenza di ogni nostra azienda con meno di 16 dipendenti. Detto questo, non possiamo che prenderne atto.
Ci appelliamo quindi a Governo e Parlamento perché urgentemente, dopo un confronto con le associazioni di categoria, si metta mano immediatamente alla normativa e si indichino ai magistrati del Lavoro e alle parti criteri adeguati secondo quanto stabilito dalla Consulta. Il rischio – conclude Accornero – per molte imprese è quello di rivedere al ribasso il numero di assunzioni previste, oltre 300mila solo nel comparto artigiano”.