La fatica di essere millennial.

di Achille Colombo Clerici

Il frenetico galoppo impresso alla nostra società fa sì che i tempi dei cambiamenti sociali, culturali e di mentalita’ di una generazione – un tempo calcolata attorno al quarto di secolo – si siano oggi ridotti a meno una quindicina d’anni.

Tuttavia, ai fini di una valutazione, e per inquadrarne i protagonisti, è stato adottato un periodo di tempo più ampio: i nati  tra il 1945 e il 1964 vengono chiamati Baby-Boomer; quelli nati tra il 1964 e il 1980 Generazione X; Millenials (o Net Generation) i nati tra il 1980 e la metà degli anni ’90; seguiti dalla Z Generation.

Ebbene, sono proprio i Millenials che vedono con pessimismo l’anno che si sta concludendo e quello che inizia. Per la prima volta nella storia recente, infatti, questa generazione vive una condizione economica e lavorativa peggiore di quella dei genitori e dei nonni.   Un limbo di precarietà, di lavoretti, di contratti a termine; anni passati senza poter lasciare la famiglia di origine e crearsene una propria. E anche quando ciò avviene, spesso accade con il supporto finanziario di genitori e nonni.

Se oltre la metà degli italiani (il 53%) è afflitta da preoccupazioni economiche, “solo” il 47% dei Baby-Boomer ha problemi se si tratta di affrontare una spesa imprevista, mentre per i Millenials la percentuale sale a 62; quasi due su tre, quindi. Un miraggio acquistare un alloggio, godere di una pensione confortevole, di assistenza socio-sanitaria adeguata, considerata la crisi progressiva del Servizio sanitario nazionale e del welfare in generale. Addirittura per  oltre un quarto è difficile affrontare le spese per i regali e i pranzi delle Feste.

I giovani dai 23 ai 38 anni si rendono conto che la qualità di vita è superiore a quella dei loro genitori: ma il non poterne godere appieno, il non avere ragionate certezze sul futuro, l’essere privi di riferimenti solidi nel presente,   è fonte di frustrazioni e di tensioni familiari. Si moltiplicano gli ‘sballi’ nelle movide che pullulano in ogni città, l’uso di droghe più o meno ‘leggere’; con la politica che tace. Ed anzi continua a scaricare sulle generazioni a venire i problemi che non è in grado di affrontare. Val la pena di ricordare che i contributi di chi lavora servono a pagare non le proprie pensioni future, ma quelle di chi ne usufruisce oggi.

E’ comprensibile quindi il sentimento di disaffezione, di distacco se non di ripulsa nei confronti delle istituzioni che vengono intese come distanti, se non addirittura ostili.