Nomisma: in auto si perdono 21 giorni di lavoro a Roma e 18 a Milano. 663 automobili ogni 1.000 abitanti, Italia seconda in Europa.

L’equilibrio tra le esigenze crescenti di mobilità e soluzioni sostenibili da un punto di vista economico, sociale e ambientale richiede un ripensamento profondo sia dei modelli di offerta che delle modalità di regolazione del mercato.

Le politiche insediative degli ultimi vent’anni, le modifiche strutturali delle abitudini lavorative, unite ai cambiamenti demografici e degli stili di vita, stanno rendendo non esigibile il diritto ad una mobilità in grado di garantire un’adeguata qualità di vita.

L’intasamento delle città, il tempo impiegato nel traffico, l’impatto ambientale, l’occupazione di suolo, sono oramai costanti del vivere quotidiano. L’insostenibilità evidente di un modello che stenta ad essere superato. Vediamo non diminuire (se non aumentare) l’uso dell’auto propria in controtendenza alle politiche di sensibilizzazione e agli investimenti a supporto del trasporto pubblico locale che ormai si susseguono da oltre dieci anni.

 

Siamo di fronte ad una rigidità di sistema che impedisce interventi in grado di invertire una tendenza. Spesso sono proprio i modelli di offerta di mobilità che non pongono il cittadino di fronte a scelte alternative all’auto propria e questo è tanto più vero se si escludono i nuclei urbani densamente popolati.

 

“Lo studio – secondo Giulio Santagata di Nomisma – conferma la crisi del modello attuale, dovuta principalmente alla sua rigidità. Occorre quindi favorire la flessibilità, attraverso una regolazione del mercato che favorisca la concorrenza: meno regolazione e più programmazione e organizzazione sono le direttrici su cui dovrà svilupparsi l’azione delle Amministrazioni Pubbliche per garantire una maggiore sostenibilità all’intero sistema di mobilità. Quanto più infatti si coglieranno in tempo i reali fabbisogni di mobilità dell’utente, come ad esempio i modelli Maas con una visione di smart mobility equa ed accessibile, tanto più vi sarà una progressiva disincentivazione dell’uso del mezzo privato, determinando chiari vantaggi collettivi sotto il profilo ambientale e sociale”.

 

 

IL PARCO VEICOLARE PRIVATO

La consistenza del parco autovetture in Italia

 

Al 2019, in Italia il parco veicolare privato conta 39,5 milioni di autovetture, in costante crescita dal 2000. Nell’ultimo ventennio il parco autovetture ha incrementato la propria consistenza di circa 7 milioni di autoveicoli, per una crescita superiore al 20%.

 

Rapportando il tasso di crescita del parco autovetture a quello della popolazione, si evince che nel ventennio considerato è aumentata la quota di autovetture pro capite, che passa da 572 autovetture per 1.000 abitanti del 2000 ai 663 del 2019

 

 

Autovetture per mille abitanti in Europa – Anno 2019

 

Rapportando le autovetture alla popolazione, al 2019 in Italia ci sono 663 automobili per 1.000 abitanti, il che pone l’Italia al secondo posto della classifica europea per auto per abitanti, seconda solo al Lussemburgo.

L’utilizzo dei mezzi di trasporto – Anno 2019

Nel 2019 36 milioni di italiani maggiorenni (73,9%) hanno utilizzato almeno una volta la propria auto per i loro spostamenti, e oltre la metà della popolazione nazionale ha utilizzato la propria auto ogni giorno.

Sebbene l’utilizzo dell’auto sia più frequente nei comuni di piccole e medie dimensioni, anche nei comuni centro dell’area metropolitana, che dispongono di un’offerta alternativa certamente più strutturata, il 64% della popolazione utilizza l’auto per i propri spostamenti (oltre il 30% la utilizza tutti i giorni). 

  

Il coefficiente di riempimento medio dell’auto

Oltre all’utilizzo predominante dell’automobile per gli spostamenti, una delle principali criticità consolidate della mobilità italiana risiede nello scarso utilizzo del trasporto condiviso: nella maggior parte dei casi in auto si viaggia soli.

Nello specifico, i dati più recenti sul coefficiente di riempimento dell’auto evidenziano la presenza di 4 persone ogni 3 automobili (conducenti compresi).

Secondo una ricerca Anci, negli spostamenti da casa verso il luogo di lavoro o di studio, ogni giorno circolano 1,9 milioni di autovetture con 2,5 milioni di persone a bordo. Se ogni auto trasportasse due persone, circolerebbero 628mila auto in meno, con notevoli benefici economici dei viaggiatori e evidenti vantaggi anche per la qualità dell’aria

 

Confronto internazionale su alcuni indicatori di mobilità

Il confronto internazionale con le principali città europee evidenzia un gap importante da colmare in termini di sostenibilità: il tasso di motorizzazione delle città italiane è molto più elevato rispetto a città di atri Paesi, così come la quota di spostamenti in automobile.

Le motivazioni di tali diversità sono da imputarsi a diversi fattori, che vanno da “questioni culturali” a oggettive carenze delle infrastrutture del trasporto pubblico, alla presenza di minori misure interdittive nei centri urbani. Tutto ciò si ripercuote inevitabilmente sulla vivibilità della città – diventate ormai auto-centriche – con centri urbani congestionati e ripercussioni sulla sicurezza stradale, sugli spazi e sulla qualità dell’aria.

 

Livello di congestione nelle città metropolitane italiane

Una delle conseguenze dell’utilizzo predominante dell’automobile per gli spostamenti è il livello di congestionamento dei grandi centri urbani, nei quali il tempo aggiuntivo medio per compiere un percorso in auto è superiore a quello previsto in assenza di traffico di almeno il 20%.

A Roma, nell’ora di punta mattutina, si impiegano 54 minuti per compiere un tragitto che in assenza di traffico richiederebbe 30 minuti, con un aumento di tempo pari a circa l’80%. A Milano i minuti aggiuntivi per un percorso di 30 minuti sono 21.

A Roma ogni anno nel traffico si perdono l’equivalente di oltre 20 giornate lavorative, per tutte le altre città metropolitane italiane considerate il dato è sempre superiore alle 10 giornate lavorative

 

Numero di licenze taxi e autorizzazioni NCC nei principali comuni italiani

Anni 2008 e 2018

Il servizio taxi e quello di noleggio con conducente (NCC) non riescono a contribuire al contenimento del traffico privato e – più in generale – ad una gestione più efficiente della mobilità: nell’ultimo decennio, tra l’altro, il numero di licenze è rimasto sostanzialmente invariato. Un aumento marginale delle licenze non sarebbe comunque in grado, da solo, di fornire una risposta di sistema.

 

Gli impatti del Covid sulla domanda di mobilità

La pandemia da Covid-19 ha prodotto un inusitato crollo della domanda di mobilità complessivo e, durante il lockdown di marzo e aprile 2020, tale calo è stato, come è ovvio, generalizzato per tutte le modalità di trasporto.

Dall’inizio di giugno 2020, i volumi di traffico in auto presunti sono tornati a livello di quelli di gennaio 2020, grazie all’allentamento delle restrizioni, alla diminuzione dell’incidenza dei contagi e al clima favorevole.

Dopo il picco raggiunto nella seconda settimana di agosto 2020, tali volumi presunti si sono via via contratti fino al mese di novembre, a causa dell’introduzione del sistema a zone regionali colorate.

Da novembre in poi, in seguito ai diversi «stop&go» governativi a macchia di leopardo nelle diverse regioni, non si sono raggiunti più quei volumi di traffico pre-Covid.

Nondimeno, negli ultimi 15 giorni analizzati (6/4/2021-20/4/2021) si osserva una ripresa dei volumi presunti rispetto ai 15 giorni precedenti.

Differentemente dalla «modalità auto», il trasporto pubblico è rimasto permanentemente al di sotto dei livelli di gennaio 2020, ad eccezione di un breve periodo nella seconda metà di settembre 2020, allorquando si erano avviate alcune aperture scolastiche.

Le ragioni di tale dinamica possono essere molteplici: sicuramente il timore del contagio sui mezzi pubblici ha inciso notevolmente, ma anche i cambiamenti delle abitudini di mobilità legate al lavoro e allo studio, in parte sovrapponibili a quelli della «modalità auto», hanno avuto il loro peso.

Rispetto al mezzo utilizzato si osserva un chiaro effetto di sostituzione tra l’automobile privata e il mezzo pubblico, a seguito, da un lato, dei timori di contagio e, dall’altro, dalle difficoltà organizzative incontrate nella riorganizzazione di un sistema «rigido».

 

Gli impatti del Covid sulla domanda di mobilità

Lo scenario futuro

Individuare un nuovo «punto di equilibrio» tra le diverse modalità di trasporto con una pandemia ancora in corso non è un’operazione immediata, tuttavia è possibile segnalare alcune linee di tendenza nel breve e nel medio periodo.

  • La velocità con la quale sono risaliti i volumi di domanda all’allentamento delle restrizioni segnala che il gap rispetto alla «vecchia normalità» pre-Covid sarà in larga parte colmato, anche grazie ad un «effetto rimbalzo» dovuto alla procrastinazione forzata degli spostamenti specie di medio-lungo raggio.
  • Declinando le tendenze future in base alla modalità di trasporto, l’«effetto di sostituzione» del «mezzo pubblico» con quello privato, in atto già nei mesi precedenti, proseguirà almeno nel breve periodo.
  • in base ad un’indagine condotta da Boston Consulting Group su di un campione di 5.000 persone nelle principali città statunitensi, cinesi ed europee nella fase immediatamente successiva al primo lockdown, si segnala l’intenzione di quasi un rispondente su 3 di voler utilizzare meno frequentemente i mezzi pubblici anche nel medio termine.
  • Non soltanto i mezzi pubblici verranno investiti da questa tendenza, ma anche tutti quelli condivisi (car sharing, taxi, etc..) e le uniche modalità che verosimilmente vedranno incrementare i propri volumi sono la mobilità attiva (a piedi e in bici) e quella con mezzi propri (moto o auto di proprietà).
  • Chiaramente questa tendenza paventata dall’indagine BCG deve essere opportunamente soppesata tenendo conto del periodo in cui l’indagine è stata effettuata ovvero in una fase storica caratterizzata da un elevato livello di timore del contagio.
  • Come avvenuto in altri contesti, invero di proporzioni meno ampie del Covid-19 (attacchi terroristici, influenza aviaria, SARS), i volumi di domanda sono ripresi sui livelli «pre-shock» abbastanza agevolmente.
  • Questa tendenza di recupero sarà, tuttavia, controbilanciata da una riduzione permanente dei volumi di domanda, specie in seguito al consolidamento di nuovi strumenti di comunicazione e di lavoro online.
  • La familiarizzazione con lo smart working, sia per i datori di lavoro che per i lavoratori, potrebbe portare ad una significativa riduzione degli spostamenti per motivi di lavoro: in base alla recente letteratura sull’argomento**, si stima che le occupazioni svolgibili in modalità smart working possano variare dal 30% del totale per i Sistemi Locali del Lavoro non urbani a quasi il 40% per quelli urbani, in funzione del grado di terziarizzazione del contesto territoriale preso in esame.
  • Allo smart working, vanno sommati gli effetti permanenti derivanti dalla teledidattica, della convegnistica a distanza e alla forte spinta che stanno producendo le Pubbliche Amministrazioni in materia di implementazione di servizi on-line per la cittadinanza.

Sintetizzando per modalità di trasporto è, quindi, verosimile supporre che:

  • Il trasporto pubblico incontrerà una fase critica, sia perché già nella frase pre-pandemica alcune delle aziende locali presentavano difficoltà di carattere economico-finanziario non banali, sia perché la disaffezione della clientela, anche in seguito a campagne mediatiche avverse, andrà ad incidere su di un ulteriore depauperamento del sistema TPL nel complesso.
  • La mobilità attiva e la micro-mobilità, forzosamente sperimentate durante le fasi di restrizioni più ampie, avranno una crescita sul totale degli spostamenti, anche grazie alla riscoperta dei servizi di prossimità.
  • L’auto privata acquisirà parte delle quote di mercato lasciate libere dal TPL, specie se – in seguito allo smart working e/o ad una maggiore flessibilità complessiva degli orari di lavoro – diminuiranno i tempi di percorrenza medi, aumenteranno le possibilità di parcheggio e si ridurranno i costi medi dei carburanti.

 RACCOMANDAZIONI DI GOVERNANCE

Tra diritto alla mobilità e sostenibilità

Lo studio qui presentato conferma una crescente difficoltà nel rendere pienamente esigibile il diritto alla mobilità e, soprattutto, che l’attuale offerta di soluzioni (pubbliche, di mercato e miste) fatica a reggere la sfida della sostenibilità.

La sfida di raggiungere e sostenere un ragionevole equilibrio tra le esigenze crescenti di mobilità e soluzioni sostenibili da un punto di vista economico, sociale e ambientale richiede un ripensamento profondo sia dei modelli di offerta che delle modalità di regolazione del mercato.

Il principale elemento di crisi del modello attuale è la sua rigidità, intesa come «rigidità tecnica» legata al peso del trasporto pubblico di linea sulla totalità dell’offerta che è ampiamente maggioritario e a cui si pensa di affidare il grosso della risposta alla crescente domanda di mobilità. È del tutto evidente che questo modello entra in crisi proprio perché i flussi di mobilità si disarticolano e spesso non si conciliano con le direttrici, gli orari e le frequenze attualmente disponibili per la cittadinanza.

L’insorgere della pandemia da Covid-19, inoltre, ha aggiunto ulteriori elementi di incertezza tali da rendere la riproposizione di un modello rigido incapace di intercettare i futuri bisogni di mobilità.

Il mercato e le risposte individuali ai bisogni di mobilità

Al di là della rigidità della risposta pubblica, l’apporto del mercato è condizionato da spazi limitati e con forti barriere all’entrata a fronte di contributi (per la verità modesti) volti a garantire servizi idealmente universali. Il combinato disposto della risposta pubblica e di una siffatta offerta privata non solo fatica a rispondere a pieno alla domanda di mobilità, ma scarica anche parte della sua inefficienza sui consumatori.

La risultante di queste tendenze del sistema non fa altro che incentivare risposte individuali al bisogno di mobilità, minando alla base un credibile processo di sostenibilità dei trasporti, specie in ambito urbano: il ricorso all’auto privata come soluzione prevalente genera costi insostenibili per l’ambiente e per la sicurezza stradale, influenzando negativamente anche gli aspetti reddituali dei cittadini-consumatori, già fortemente intaccati dalla congiuntura economica negativa.

Occorre intervenire sui diversi livelli che limitano la flessibilità e sull’appropriatezza del sistema agendo sia sulla struttura della regolazione del mercato in rapporto all’intervento pubblico teso a garantire la universalità dei servizi sia sul pieno funzionamento della concorrenza.

Ruolo pubblico e fabbisogno normativo

Accrescere la flessibilità della offerta, aprire il mercato a una vasta pluralità di operatori non deve significare un semplice ripiegamento della azione pubblica. Al contrario un sistema più aperto e plurale richiede una rinnovata capacità di governo e di presidio del processo di mutamento dell’offerta e di monitoring dei risultati: meno regolazione e più programmazione e organizzazione sono le direttrici su cui dovrà svilupparsi l’azione delle Amministrazioni Pubbliche, mettendo in campo determinati interventi di modifica e aggiornamento delle norme che regolano la mobilità e l’erogazione dei servizi;

Il processo o meglio il tentativo di sostituire in parte l’uso dell’auto privata, prevalentemente con propulsioni a combustibili fossili, con mezzi a minore impatto ambientale e di congestionamento (mobilità attiva, mobilità leggera, car sharing), oltre che di notevoli investimenti sia pubblici (ad es. ciclabili) che privati (ad es. flotte), abbisogna, infatti, di norme per regolarne l’uso e soprattutto la disponibilità.

Siamo ancora nel campo di mobilità individuale e non in quello dei servizi tuttavia è evidente che l’introduzione di nuovi mezzi e il forte sviluppo di forme consolidate come le piste ciclabili impattano fortemente sia sulle dotazioni di rete sia nel rapporto tra mobilità individuale e servizi pubblici;

Tecnologia vs Licenze

La regolazione delle nuove modalità di trasporto deve andare oltre il Codice della Strada e andrebbe valutata in relazione alla più generale offerta di servizi di mobilità.

Ad esempio, se da un lato la pratica del car sharing mette in evidenza il deficit di flessibilità del servizio taxi, dall’altro, le stesse tecnologie che rendono efficiente l’uso dello sharing stanno aiutando il servizio taxi a sfuggire alle rigidità di norme rimaste avulse dai cambiamenti dei bisogni e dalle stesse trasformazioni tecnologiche;

Una regolazione incentrata sul livello territoriale comunale o, nei contesti più evoluti, metropolitano e sul contingentamento dell’offerta viene in parte superata attraverso l’uso di app che rendono immediato, flessibile ed economico il rapporto con gli utenti;

Resta comunque un ostacolo molto arduo da superare per consentire il necessario cambiamento della offerta di servizi pubblici non di linea: il valore economico delle licenze. Negli anni si è sedimentato un processo che vede i taxisti rinunciare ad un potenziale incremento dei volumi (nuovi orari, integrazione tra imprese, ecc.) in cambio di una rendita incorporata nella licenza. Ciononostante, sta emergendo l’impossibilità di sostenere tale modello alla luce di una concorrenza nei confronti dei taxi non soltanto da parte di altri modelli di mobilità, ma anche dall’interno di un comparto, seppur contingentato, quale quello dei taxi.

 

La sostenibilità del sistema di mobilità

Il tema di una nuova regolazione dei servizi di noleggio con conducente oggetto di un ampio dibattito e di un forte contenzioso, se inquadrato nei processi in atto e nella complessiva esigenza di garantire una maggiore sostenibilità all’intero sistema di mobilità, perderebbe di peso e potrebbe trovare una più facile collocazione nella definizione complessiva dei modelli di gestione della mobilità.

In altre parole, se si ritiene necessario superare alcune rigidità che limitano la capacità del sistema e se si favorisce la introduzione di innovazioni organizzative e tecnologiche allora non si può mantenere né una segmentazione del mercato che non corrisponde alle reali esigenze della domanda, né l’interpretazione tradizionale del ruolo pubblico.

Da più parti, specie nelle programmazioni locali, si richiede una maggiore capacità della Amministrazione di affiancare alla regolazione normativa una capacità di intervento attivo per la costruzione di un sistema integrato di mobilità in cui operano sempre più attori pubblici di fianco a quelli privati.

Le esperienze di maggior successo si raccolgono, pur con significative differenze, sotto il titolo Maas (Mobility as a Service).

 

MaaS – Il modello

Facendo riferimento sinteticamente alle considerazioni derivanti dai documenti pianificatori locali, alle nuove tendenze in atto, la MaaS (Mobility as a Service) mette l’utente finale al centro delle modalità di spostamento.

La strategia dei provider di MaaS è quella di creare le condizioni per rendere più attrattivo, in termini di prezzo e servizio, lo spostamento con le modalità di trasporto alternative al mezzo privato, offrendo un’unica soluzione di viaggio composta da più spostamenti e garantendo all’utente un’unica interfaccia per l’acquisto, il pagamento, il flusso informativo e la raccolta dei feedback.

Quanto più il modello coglierà in tempo reale i reali fabbisogni di mobilità dell’utente finale, tanto più vi sarà una reale disincentivazione non soltanto dell’uso, ma anche del possesso del mezzo privato, determinando chiari vantaggi collettivi sotto il profilo ambientale e sociale. A questo proposito, le tendenze in atto nelle giovani generazioni verso un diminuito favore all’auto di proprietà aprono uno scenario coerente con il modello MaaS.

La diffusione di operatori MaaS verrà favorita quando sarà possibile acquistare pacchetti “bundle” ad una tariffa omnicomprensiva a tempo o a distanza; facendo un parallelismo con l’evoluzione della telefonia, che ad oggi include in un’unica tariffa traffico dati, sms, voce, la MaaS dovrebbe offrire pacchetti in cui sono previsti diversi tipi di mobilità (ad es. taxi, bus, metro, car sharing, etc.) che l’utente potrà usare in funzione delle proprie esigenze.

MaaS – Le esperienze internazionali

Passando in rassegna alcune esperienze applicative di MaaS, gli aspetti cruciali risiedono, quindi, nell’integrazione di un’offerta di servizi di mobilità disomogenea tramite un unico punto di accesso al servizio che preveda, da un lato, una sostanziale intermodalità e, dall’altro, un sistema tariffario unico;

Le esperienze applicative dei modelli MaaS sono principalmente concentrate in Nord America ed Europa (soprattutto in Germania, Spagna e nei Paesi Scandinavi) ed integrano, su base urbana o metropolitana, generalmente il trasporto pubblico, il servizio taxi, il car sharing e il bike sharing; in determinati casi, a questi servizi citati si affiancano il noleggio auto, i servizi di sosta (ad es. Tuup), il trasporto merci,  il servizio traghetti (ad es. Moovel) e, in casi ancora limitati, i servizi di ride hailing; Negli Usa di interesse l’esperienza di integrazione tra RTD (Regional Transportation District di Denver, USA) Uber e Masabi che ha lanciato la biglietteria Uber Transit, consentendo ai viaggiatori RTD di acquistare direttamente dall’app, in coerenza da quanto previsto dal piano di sviluppo di RTD  che integra i leader dei settori pubblico e privato.

Le tariffazioni utilizzate sono quasi tutte al momento riferibili al pay-per-use, anche se esistono tariffe mensili (as es. Ubigo) o membership per ottenere sconti tariffari (ad es. Mobility Shop);

Le piattaforme utilizzate in genere sono basate su App, ma esistono anche servizi Web e le tecnologie prevedono l’utilizzo di GPS, ePay, Smart Card e E-wallet;

 

MaaS – I limiti e le prospettive

Le prime resistenze ad un modello di tipo MaaS  sono di carattere psicosociologico ed economico sia sul versante della domanda che dell’offerta; rispetto al primo aspetto l’auto di proprietà viene ancora largamente avvertita come uno status symbol, in grado di segnalare un posizionamento sociale, mentre relativamente al secondo i nodi da sciogliere rimangono sostanzialmente legati alla condivisione dei dati tra operatori in concorrenza, all’integrazione tecnologica tra piattaforme e alla privacy dei clienti;

Le resistenze dal lato della domanda potrebbero essere superate tramite l’introduzione di modelli di tipo MaaS rispettosi dell’ambiente e talmente convenienti per l’utente da superare agevolmente il modello “auto di proprietà”;

I limiti applicativi dal lato dell’offerta, invece, potrebbero trovare soluzione con opportuni incentivi e nuovi framework regolatori; se i territori, impegnati in un cambio di prospettiva a vari livelli programmatori, venissero sostenuti dal livello statale sarebbero in grado di evitare il proliferare di sistemi “chiusi” (ad. es taxi) prevedendo l’accesso al mercato della mobilità di tutti gli operatori che rispondano a determinati requisiti;

L’occasione di sviluppare nuovi modelli di business innovativi grazie al coinvolgimento di operatori privati, vincolati da una visione di smart mobility equa ed accessibile, porterebbe inoltre anche in mano pubblica un patrimonio informativo molto prezioso per comprendere le relazioni economico-sociali urbane e proseguire su di un virtuoso percorso di miglioramento della qualità della vita.