H2O, la chimica che inquina l’acqua, il dossier di Legambiente.

Che cosa finisce nelle nostre acque? E con quali impatti su salute e ambiente? Per anni utilizzati come discariche dove smaltire i reflui delle lavorazioni industriali, i nostri fiumi, laghi e falde sotterranee sono stati contaminati da scarichi inquinanti.

Oggi, alle antiche minacce se ne aggiungono altre e non meno insidiose: dai pesticidi agli antibiotici, dalle microplastiche ai metalli pesanti, sempre più numerose sono infatti le sostanze chimiche che inquinano, e in alcuni casi avvelenano, i corpi idrici.

Il dossier nazionale di Legambiente dal titolo H₂O – la chimica che inquina l’acqua, fa il punto sulle sostanze inquinanti immesse nei corpi idrici, con numeri, dati e un focus dedicato alle sostanze emergenti. Se nella Penisola circa il 60% dei fiumi e dei laghi non è in buono stato, in Lombardia oltre a ciò preoccupa anche la situazione delle acque sotterranee.

Il dossier racconta casi di inquinamento spesso ancora aperti nella nostra regione, che da decenni aspettano bonifiche e riqualificazioni. Partendo dalla Caffaro di Brescia e arrivando alla Tamoil di Cremona, passando dall’inquinamento da PFAS in tutti i bacini della pianura, ma in particolare nei corpi idrici compresi tra Varesotto e Brianza, rilevato da una capillare campagna di monitoraggio di ARPA Lombardia, che suggerisce come, più che singoli episodi di sversamento, sia la grande densità del tessuto insediativo e industriale della fascia pedemontana a richiedere un approccio più energico che altrove, nel prevenire la molteplicità di problemi di inadeguata gestione degli scarichi e dei depuratori, civili e industriali.

 

La fotografia scattata dal dossier – commenta Barbara Meggetto presidente di Legambiente Lombardia– restituisce un’immagine preoccupante della Pianura Padana, anche per quanto riguarda i “contaminanti emergenti”. In Lombardia in particolare è da monitorare l’inquinamento diffuso dai distretti industriali pedemontani: servono un sistema di controllo e monitoraggio che diano seguito alle segnalazioni e individuino le pratiche scorrette, ma anche un approccio di complessiva qualificazione delle attività economiche insediate”.

 

Tra gli inquinanti considerati ‘emergenti’, nuove sostanze chimiche o vecchi principi attivi per i quali, come nel caso dei PFAS o degli interferenti endocrini, solo di recente sono emersi i rischi per la salute. Potenziali effetti avversi su salute e ambiente sono stimati per oltre 2.700 molecole in commercio, in gran parte non regolamentate. Tra queste, fitofarmaci, farmaci a uso umano e veterinario, pesticidi di nuova generazione, additivi plastici industriali, prodotti per la cura personale, ritardanti di fiamma e microplastiche. Sostanze magari presenti nelle acque in piccole concentrazioni, ma che possono creare un “effetto cocktail”, con rischi seri per la salute umana e degli ecosistemi.

 

Le proposte di Legambiente

Oltre all’appello al Governo, l’associazione ambientalista rilancia alcune sue proposte. Secondo Legambiente, le microplastiche devono rientrare tra i criteri di valutazione del buono stato delle acque interne. Serve, inoltre, dare spazio all’innovazione tecnologica e ridurre drasticamente l’uso di sostanze di sintesi pericolose in agricoltura. Per farlo occorre approvare i decreti attuativi della Legge 132/2016 che ha istituito il Sistema Nazionale a rete per la Protezione Ambientale (SNPA), consentendo di potenziare, uniformare e migliorare i controlli sul territorio incidendo sulla prevenzione dall’inquinamento. Ma occorre anche la consapevolezza che nelle acque si rispecchiano tutte le contraddizioni di un’economia che, in troppi comparti, ha lasciato l’ambiente in sottofondo. Ciò è vero soprattutto per le attività che investono le maggiori superfici, agricoltura e zootecnia. “Nelle acque troviamo molecole di erbicidi e fungicidi, il cadmio dei fertilizzanti, il rame e lo zinco degli integratori zootecnici, i farmaci e gli antibiotici veterinari: il risanamento delle acque che percolano dai suoli coltivati in modo intensivo richiede una grande ristrutturazione dell’agricoltura lombarda, da orientare alla qualità piuttosto che alla quantità delle produzioni, limitando gli input chimici che, prima o poi, non possono che migrare nelle acque, oltre che nel cibo delle nostre tavole” conclude Barbara Meggetto.