Big Jump 2022: Sveglia, non si può far morire il Po. Drammatica situazione per l’ecosistema fluviale, grave responsabilità del sistema agricolo vigente.

In occasione del Big Jump, l’iniziativa organizzata dallo European River Network che ogni anno consente ai cittadini di riavvicinarsi a fiumi, laghi e zone umide con un grande tuffo simbolico, Legambiente ha puntato il faro sulla crisi idrica ormai strutturale che attanaglia le regioni attraversate dal fiume Po. Attivisti dell’associazione ambientalista, in contemporanea con i partecipanti in tutta Europa, domenica pomeriggio alle 15 hanno inscenato un flash mob al motto di “Sveglia! Non si può far morire il Po” a Cremona sul Po, davanti alla Canottieri Bissolati.

Mentre la siccità è un fatto naturale, anche se straordinario, il livello della magra non lo è. Il Po è secco sicuramente perché le precipitazioni hanno subito un drastico arresto in questa primavera e estate 2022, ma anche perchè l’acqua che dovrebbe arrivare al Po dai bacini montani è tutta intercettata per l’impiego irriguo.

In questi giorni di grande carenza idrica i soli quattro emissari dei grandi laghi prealpini, Ticino, Adda, Oglio e Mincio, hanno una portata complessiva che all’uscita dei rispettivi bacini lacustri, è di oltre 300.000 mc/sec: un terzo del dato medio del periodo, ma è comunque un quantitativo d’acqua che sarebbe in grado di dare respiro al grande fiume. L’acqua, però, non arriva al Po perchè viene prelevata lungo il percorso.

“Gli agricoltori lombardi rivendicano una priorità nell’utilizzo idrico rispetto alla salvaguardia dei deflussi fluviali e degli ecosistemi fluviali – dichiara Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia – ma i forti prelievi, comunque insufficienti per i fabbisogni delle campagne, fanno sì che il basso corso del Po non riceva acque da monte, il cuneo salino penetri nell’entroterra quest’anno fino a 30 km dalla foce e l’agricoltura polesana sia in ginocchio. La coperta non è mai stata così corta, e il futuro riserva grandi incognite. Occorre farsene una ragione e modificare sia le tecniche irrigue che le colture, perchè il sistema fluviale del Bacino del Po è in crisi e lo sarà sempre di più se non si riducono drasticamente i fabbisogni irrigui per adattarsi al cambiamento climatico”.

Anche i piccoli invasi finanziati dal PNRR, di cui tanto si parla in queste settimane, non salveranno l’agricoltura di una regione come la Lombardia, che ha già una capacità di invaso immensa grazie ai grandi laghi. Occorre invece una miglior gestione della risorsa idrica in un quadro di mutata disponibilità. I piccoli invasi in ambito fluviale o peggio la bacinizzazione di fiumi e torrenti avrebbero impatti devastanti a fronte di benefici tutti da dimostrare.

In occasione dell’evento del Big Jump, che consente ogni anno di ricordare l’importanza delle acque interne, sempre più minacciate dalle attività antropiche e dagli effetti dei cambiamenti climatici, l’associazione ecologista presenta un Manifesto con 8 proposte per la riqualificazione del fiume Po e dell’intero bacino.

“Per tutelare l’ecosistema, l’economia delle regioni del bacino padano e la vita delle comunità fluviali occorre un approccio integrato che tenga in considerazione tutti gli aspetti legati all’utilizzo e alla conservazione delle risorse del territorio – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – È evidente che questa crisi, peraltro annunciata dalle scarse nevicate invernali e piogge primaverili, risente fortemente degli effetti dei cambiamenti climatici. E, con un’alterazione anche di un solo grado in più, il ciclo dell’acqua cambia: i ghiacciai delle montagne perdono spessore e lunghezza, il permafrost si degrada, le precipitazioni variano. Dovremo dunque fare i conti con una minore disponibilità d’acqua dolce e con eventi estremi sempre più frequenti; piogge torrenziali e siccità sono due facce della stessa medaglia. Per fronteggiare questa crisi strutturale servirà perciò considerare lo stato del fiume in senso ecosistemico, così come proponiamo nel nostro Manifesto”.

Il Po non è soltanto un corso d’acqua da rappresentare mediante parametri idraulici e da gestire attraverso infrastrutture e opere di difesa, che non di rado hanno compromesso la qualità dell’ambiente fluviale, ma è anche caratterizzato dalla presenza di aree naturali protette, siti di interesse comunitario e riserve riconosciute dall’UNESCO per il loro potenziale legato allo sviluppo sostenibile delle comunità che vivono il fiume e alla loro positiva interazione con l’ecosistema fluviale stesso.

 

Il secondo aspetto sviluppato dal documento è l’impatto delle attività umane sul fiume, in particolare dal punto di vista della qualità della risorsa idrica, soggetta al rischio di inquinamento legato alle attività agrozootecniche e industriali, e della quantità di acqua prelevate per queste stesse attività e per altri usi. Secondo l’associazione ambientalista lo stato attuale del fiume dimostra la necessità di interventi immediati per assicurare il ripristino del deflusso ecologico, riducendo quindi i prelievi e governando in modo più puntuale i consumi. Puntando, ad esempio, su colture meno idroesigenti e su sistemi di contabilizzazione dei quantitativi di acqua impiegati da tutte le attività produttive, agricoltura inclusa.

 

L’associazione ecologista richiama infine l’importanza di una governance efficace delle attività da parte dei soggetti che operano all’interno del bacino per tutelare il fiume e di una maggiore sinergia. Si tratta in particolare di potenziare l’attuale sistema di aree protette, con la realizzazione del Parco nazionale del Delta del Po e l’istituzione di un Parco interregionale per il corso mediano del Po (dove sono già presenti 42 Siti della rete Natura 2000), e di sfruttare al meglio l’opportunità offerta dal progetto di Rinaturazione dell’area del Po. “Finanziato con 357 milioni di euro dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, è un’opportunità senza precedenti per riqualificare l’ecosistema fluviale, ma occorre una maggiore integrazione con gli altri interventi finanziati sul territorio e un coinvolgimento effettivo delle comunità locali” conclude Legambiente.