I rischi del 5G, l’intervento del Prof. Grieco.

Il 5G, la quinta generazione di telefonia mobile, sta per invadendo il mercato delle telecomunicazioni. Il nuovo standard di comunicazione permetterà di creare una rete ad alta velocità per la connessione non solo delle persone, ma anche dei dispositivi più disparati. Dagli smartphone ai tablet, dagli elettrodomestici alle automobili, dagli orologi multifunzione agli apparecchi medicali, tutto potrà essere collegato in un’enorme rete planetaria. L’insieme dei “devices” connessi costituirà quello che si chiama Internet of Things (IOT o Internet delle Cose). Per il 2025 dovrebbero essere almeno 50 miliardi gli oggetti connessi con la copertura di un terzo della popolazione mondiale, ma per molti esperti sono cifre di gran lunga sottostimate. Nelle regioni ad alta densità di popolazione, quali le aree metropolitane si arriverà fino a un milione di dispositivi connessi per chilometro quadrato.

Con il 5G si realizzerà una copertura totale della superficie terrestre mediante antenne installate al suolo, su droni e satelliti. La rete wireless, assieme alla fibra, costituirà il sistema nervoso di un insieme enorme di computer, tablet, smartphone, devices che, come neuroni di un gigantesco cervello, comunicheranno tra loro. Tutto ciò è presentato come il substrato tecnologico inevitabile e fondamentale per la realizzazione di una società dove ognuno potrà trovare il proprio paradiso personale. Non c’è spazio per chi mette in dubbio lo sviluppo tecnologico e le voci dissenzienti sono tacitate con lo spauracchio di una recessione economica ancora più grave di quella in atto a causa della pandemia.

Quello che non è mai presentato, di questo rutilante futuro tecnologico, sono i lati oscuri del 5G, una serie di zone d’ombra che dovrebbero perlomeno farci riflettere sulle possibili conseguenze di una scelta tanto affrettata. Sono almeno quattro le aree nelle quali il 5G avrà, direttamente o indirettamente, un impatto drammatico. La prima riguarda le conseguenze dell’esposizione continuativa e ubiquitaria degli esseri viventi alle radiofrequenze utilizzate. La seconda, le conseguenze a livello psicologico dell’utilizzo sempre più pervasivo e invasivo dei devices connessi in rete. La terza, le conseguenze sociali di un controllo sempre più capillare dell’intera popolazione mondiale da parte di chi ha accesso ai big data; controllo che si articola anche attraverso l’uso militare della rete. La quarta, le conseguenze antropologiche di una integrazione sempre più spinta uomo-macchina, fino alla creazione di una nuova specie.

La tecnologia wireless utilizza le onde elettromagnetiche nella banda radio. Le onde elettromagnetiche trasportano energia e, una volta modulate, informazione. Quando un’onda elettromagnetica attraversa la materia, sia organica sia inorganica, vi deposita parte dell’energia trasportata. Questo comporta un aumento più o meno rilevante di temperatura, il cosiddetto effetto termico. Un aumento di temperatura eccessivo dei tessuti di un essere vivente comporta seri danni biologici, fino ad arrivare alla morte. Per questo motivo sono fissati dei limiti all’intensità delle radioemissioni nel campo delle telecomunicazioni. I limiti sono decisi dai governi, che seguono le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Icnirp, il Comitato Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti. Quest’ultimo è un organismo non governativo riconosciuto dall’OMS quale massima autorità per la consulenza sulla protezione dalle radiazioni non ionizzanti, di cui fanno parte le onde radio. Fin dalla sua costituzione, nel 1992, l’Icnirp ha sempre tenuto in considerazione solo gli effetti termici, negando che le radiazioni non ionizzanti possano produrre altri effetti. Esistono però migliaia di articoli peer-review che mostrano l’esistenza di effetti anche al di sotto della soglia di riscaldamento apprezzabile, detti effetti non termici. Una panoramica delle ricerche condotte sino ad oggi è consultabile sul sito dell’associazione Bioinitiative[1]. Si va dall’infertilità maschile ai danni ossidativi del DNA, passando per decine e decine di altri effetti nocivi.

Nel 2018 la prestigiosa rivista “The Lancet” ha pubblicato uno studio sull’incremento dell’intensità del fondo elettromagnetico artificiale rispetto a quello naturale dal 1950 al 2010 nella banda radio[2]. I risultati sono sconvolgenti. In sessant’anni la densità di potenza nelle frequenze utilizzate dalla telefonia mobile supera di un miliardo di miliardi di volte il fondo naturale. Per confronto, l’incremento di anidride carbonica nello stesso periodo è stato di circa il 25% del fondo naturale. È chiaro che un simile incremento dovrebbe quantomeno spingerci a studiare seriamente la situazione prima che sia troppo tardi.

Gli effetti nocivi dell’inquinamento elettromagnetico, quand’anche avessero una bassa probabilità di manifestarsi, avrebbero comunque un impatto enorme a livello epidemiologico, visto l’enorme numero di persone esposte. A breve, con l’avvento del 5G, la totalità della popolazione mondiale sarà immersa in un “brodo” elettromagnetico potenzialmente cancerogeno, per non parlare di altre patologie. Lo IARC, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, nel 2102 ha classificato i campi elettromagnetici come agenti potenzialmente cancerogeni[3]. Attualmente la classificazione è in fase di revisione, perché nuove evidenze sperimentali sono emerse che indicano la cangerogenicità dei campi elettromagnetici.

Gli effetti psicologici sono connessi alle potenzialità del 5G unitamente allo sviluppo di dispositivi sempre più performanti. Hikikomori, in giapponese, significa “stare in disparte”. Il termine si riferisce a quelle persone, in buona parte adolescenti, che si rinchiudono in casa davanti allo schermo del computer o dello smartphone, evitando qualunque contatto col mondo esterno reale. Il fenomeno, nato nella terra del sol levante, dove si registrano ad oggi almeno cinquecentomila casi, si è rapidamente esteso nei paesi industrializzati. D’altra parte, sono sempre più le persone che consultano in maniera compulsiva il loro smartphone alla ricerca del messaggio, della mail o del like che produrrà la scarica di dopamina gratificante. Il meccanismo è molto simile a quello delle droghe, che intrappola il soggetto in una spirale infinita di dipendenza e assuefazione. La diffusione della realtà aumentata, che potrà avvenire grazie alla rete 5G, comporterà una modificazione anche della nostra interazione con l’ambiente esterno, non solo con le persone. Guarderemo il paesaggio prima attraverso lo schermo dello smartphone, poi attraverso quello degli occhiali Google, quindi attraverso speciali lenti a contatto per finire con gli impianti retinici. Percepiremo ciò che ci circonda sempre attraverso la mediazione di un software che, magari, elabora dati da sensori in grado di percepire grandezze fisiche non rilevabili dai nostri sensi. Questo porterà inevitabilmente alla modifica delle nostre capacità cognitive.

Internet ha reso piccolo il mondo, almeno dal punto di vista delle informazioni, e il 5G lo renderà ancora più piccolo, con enormi conseguenze sociali. Miliardi e miliardi di bytes viaggiano ogni secondo sulla rete trasportando informazioni a miliardi di persone, che vanno dalle foto dei gattini alla rivendicazione dell’ultimo attentato terroristico. Mentre ha poca importanza sapere se l’immagine del cucciolo sia o meno un fotomontaggio, diversa è la questione per l’attentato. Milioni di persone che si convincono che la strage sia opera della fazione X piuttosto che di quella Y può cambiare le sorti politiche di un paese. Il guaio è che molto spesso la gente non ha il tempo, la voglia e le capacità per comprendere se l’attribuzione sia vera o falsa. Le fake news ci sono sempre state, il problema è l’effetto moltiplicatore della rete e delle nuove tecnologie di telecomunicazione, soprattutto se le persone iniziano a fidarsi ciecamente del proprio dispositivo mobile. Ma ancora peggio è la censura che, per la prima volta nella storia, non avviene ad opera di un governo o di un dittatore, ma di società private che decidono, di fatto, chi può esprimersi e chi no.

Il controllo capillare della popolazione è un altro degli elementi che la tecnologia 5G consentirà di sviluppare a un livello finora impensabile. Già ora lo smartphone che portiamo in tasca o nella borsetta fornisce indicazioni sulla nostra posizione, sui nostri spostamenti, sulle nostre amicizie, i nostri gusti alimentari, le nostre preferenze in fatto di vacanze e per quale squadra tifiamo. Con i modelli di nuova generazione e con gli orologi smart, saranno monitorati in continuazione i nostri parametri biomedici. I dati ottenuti entreranno a far parte di enormi database di cui ignoriamo quasi sempre i proprietari e l’uso che ne viene fatto. Oggi si parla molto di privacy, ma la verità è che mai come ora i nostri dati più sensibili sono alla mercé di governi, militari, servizi segreti, big companies e hacker.

Tutto questo subirà un ulteriore accelerazione quando sempre più persone chiederanno che gli venga installato un microchip sottocutaneo perché così potranno accedere facilmente ai mezzi pubblici e pagare il conto al ristorante. Quando si supererà una certa soglia i governi, magari su richiesta dei loro stessi cittadini, si sentiranno autorizzati a imporre l’impianto dei microchip fin dalla nascita. Le motivazioni potranno riguardare la sicurezza, la salute o semplicemente la comodità di accedere ai servizi pubblici e privati. Le persone che si rifiuteranno saranno ben presto guardate con sospetto ed escluse dalla vita sociale, fino a essere considerate dei veri e propri criminali.

Un’altra questione estremamente delicata è quella dell’uso militare della tecnologia 5G. Una rete globale estremamente veloce è il substrato ideale per realizzare nuovi sistemi d’arma e controllarli da remoto. Anzi, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe rendere superfluo lo stesso controllo umano. Le azioni di guerra sarebbero pianificate da software specializzati e le azioni portate a termine da droni, mezzi corazzati a guida autonoma e soldati robot tutti interconnessi tra loro. Questi combattenti non si stancherebbero mai, non chiederebbero licenze e, soprattutto, non avrebbero scrupoli morali o esitazioni nel momento di premere il grilletto o lanciare un missile. La sostituzione dell’uomo con le macchine non riguarderà però solo l’esercito.

A perdere il lavoro saranno milioni di persone le cui aziende preferiranno impiegare robot piuttosto che esseri umani. In Cina già operano fabbriche completamente automatizzata[4]. Secondo alcuni economisti e sociologi, il lavoro come lo conosciamo oggi sparirà completamente nel giro di pochi decenni, sempre ammesso che non sparisca del tutto. In un mondo gestito completamente da macchine connesse l’elemento superfluo potrebbe essere proprio l’uomo. Il cervello umano che fino a ora ci ha permesso di diventare i “padroni del nostro pianeta” rischia di essere superato non da quello di un’altra specie animale, ma da un insieme di circuiti al silicio. Già ora molte delle attività umane sono controllate da software che girano su computer dalle performance fantascientifiche. Esistono oramai in commercio software in grado di eseguire diagnosi mediche, scrivere articoli di giornale o preparare un’arringa in tribunale. Il punto è che queste capacità stanno crescendo a un ritmo esponenziale e stiamo arrivando al momento in cui le macchine inizieranno ad autoprogettarsi. Questo porterebbe a qualcosa di multo più grande di una rivoluzione sociale, l’integrazione dell’uomo con la macchina per dare vita a una nuova specie.

Forse dovremmo fermarci e riflettere su quanto disse Einstein: “Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti”.

[1]                      https://bioinitiative.org/table-of-contents/

[2]                      https://www.thelancet.com/journals/lanplh/article/PIIS2542-5196(18)30221-3/fulltext

[3]                      https://www.iarc.fr/wp-content/uploads/2018/07/pr208_E.pdf

[4]                      Cfr. https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/06/cina-nasce-a-dongguan-la-prima-fabbrica-senza-operai-sostituiti-da-1-000-robot/1656031/.