“Le Carte della Scala.” – di Remo Giazotto, libro-strenna natalizia di Assoedilizia, presentazione nel giorno di Sant’Ambrogio del 2019.

In occasione della inaugurazione della Stagione Scaligera 2019-2020, nel giorno di Sant’Ambrogio del 2019, la presentazione de “Le Carte della Scala” di Remo Giazotto, libro strenna natalizia di Assoedilizia

STORIA ‘SEGRETA’ DEL TEMPIO DELLA MUSICA E DEL SUO MONDO

Edizione esclusiva per Assoedilizia

Sul Teatro alla Scala sono stati scritti tanti libri, ma questa storia ‘segreta’ delle imprese, degli appalti e della vita amministrativa è un libro nuovo. “Le Carte della Scala. Storie di impresari e appaltatori teatrali 1778-1860” di Remo Giazotto, prefazione di Giampiero Tintori, 71 illustrazioni a colori e in bianco e nero, Giampiero Casagrande editore Lugano-Milano, ci introduce in un mondo che non si presenta alla ribalta, ma che ha partecipato, non in secondo piano, alla storia del melodramma.

L’autore propone un’ampia scelta di documenti, in gran parte inediti e rari, tratteggiando figure e avvenimenti che animarono la vita teatrale milanese negli anni da Maria Teresa all’Unità d’Italia. La vicenda, che potrebbe sembrare a prima vista arida ragioneria – narrata da un musicologo di acuta sensibilità – ci dà invece il peso di tutti problemi e i fermenti che popolarono gli avvenimenti.

Se a Giazotto la cultura musicale italiana deve non poco, se non altro per alcune opere che hanno interpretato e definito criticamente musicisti rimasti in ombra quali Tomaso Albinoni e Alessandro Stradella o compositori come Ferruccio Busoni, anche il non cultore troverà godimento sulla storia del Teatro Ducale e sulla costruzione, dopo l’incendio, dei successivi teatri alla Scala e Cannobbiana: ed è davvero interessante la proposta di quel “lungo corridoio” (come quello del Vasari a Firenze da Palazzo Pitti alla Signoria) che avrebbe dovuto collegare direttamente gli appartamenti reali con la Cannobbiana; oppure leggendo gustose cronache come quella di un gruppo di giovani del popolo, trasandati, che – pagato regolarmente il biglietto – entrarono nella grande sala delle danze dove varie dame del gruppo austriaco si intrattenevano con ufficiali e alle quali i giovani ardirono chiedere di ballare. Ne nacque una rissa furibonda.

“Le Carte della Scala” è l’inusuale strenna di Natale di Assoedilizia per gli amici musicofili e non. Una strenna che vuol essere un omaggio al Tempio mondiale della musica lirica.

Così presenta il volume e il suo autore il presidente Achille Colombo Clerici, anch’egli cultore della musica che è linguaggio, comunicazione, arte, primo ed unico messaggio universale.

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Il Barbaja, famoso impresario teatrale, legato alla storia dell’opera lirica dell’Ottocento e sponsor dei più grandi compositori dell’epoca, da Rossini a Donizetti, a Bellini, negli anni dell’Impero napoleonico si arricchì notevolmente gestendo il ridotto della Scala, dove, come costume, regnavano il buon vivere eno-gastronomico, per usare un termine dei nostri giorni, e il gioco d’azzardo. Era un uomo abituato a lasciare il segno. E con i proventi della sua attività, collaterale alla musica, edificò a Milano il Palazzo Rocca Saporiti. Proprio nel bel mezzo di quella che allora era la via principale dei fasti napoleonici: corso Venezia. I miei coetanei lo hanno in mente come la sede del Partito Liberale Italiano.

Poi Domenico Barbaja, a seguito di traversie varie, si trasferisce a Napoli dove gode delle grazie del celebre soprano Isabella Colbran, sinché Rossini non gliela soffia da sotto il naso. Domenico non fa una grinza e rimane, in nome della musica, amico del grande Pesarese fino a Parigi ed oltre. Una vita degna di un romanzo vero e proprio. Ma non fu probabilmente il Barbaja ad ispirare l’autore nella scelta del tema di questo libro che ci accingiamo a leggere.

Remo Giazotto era un musicologo e compositore romano animato da un’enorme passione per la musica. Soprattutto quella dei compositori veneziani del Settecento.
E, si sa, talvolta la passione acceca, ma soprattutto proietta nel mondo della fantasia. Giazotto studia e s’invaghisce di Tomaso Albinoni nel cui nome, nel 1958, presenta l’Adagio in sol minore, affermando trattarsi della ricostruzione di un brano musicale del compositore veneziano, resa possibile dal ritrovamento di frammenti di spartiti reperiti fra le macerie belliche della Biblioteca di Dresda. L’Adagio diviene subito leggendario. Qualcuno addirittura contesta si possa attribuirlo proprio ad Albinoni: ma questa sarebbe una ragione di maggior merito. In quegli anni Giazotto, occupandosi di Venezia e della sua musica, si imbatte nel più celebre tra gli impresari, che svolse questo ruolo sia pure per un limitato periodo della sua vita. Ne rimane folgorato. Si tratta proprio di Don Antonio, il prete rosso, l’autore del Cimento dell’armonia: del quale avrebbe scritto, qualche anno dopo, la biografia. Giazotto, che di musica ne capiva, coglie tutta la grandezza del compositore veneziano che era stato addirittura fra gli ispiratori di Johann Sebastian Bach. Ma soprattutto ne coglie lo smisurato amore verso la musica ed il suo mondo, la grande statura culturale ed umana e la spiritualità.

Un giudizio illuminante sulla profondità religiosa e teologica dell’opera vivaldiana possiamo ricavarlo dall’ascolto della settima cantata del Gloria “Domine Fili Unigenite Jesu Christe” che porta la musica a rappresentare, nel suo senso assoluto, l’essenza della cristologia.

Da qui passa la lettura di tutta l’opera musicale di questo Genio veneziano.
Tutto questo non l’aveva capito il pur colto e grandemente considerato avvocato Carlo Goldoni “prestato” alla letteratura. Grandissimo commediografo, spirito brillante e raffinato; ma di musica…

Se, passeggiando per Venezia, ti spingi fino a Riva degli Schiavoni, dove c’è il Danieli, lì, a fianco dello storico albergo, sul muro dell’edificio d’angolo, vedi campeggiare una lapide: “In questo luogo sorgeva la cappella musicale del Conservatorio della Pietà dove il genio di Antonio Vivaldi, allora non pienamente compreso, operò quale maestro di concerti dal 1703 al 1740, donando a Venezia ed al mondo l’incomparabile ricchezza della sua musica di cui ‘Le Quattro stagioni’ sono il fiore ed il suggello. Il suo tempo è venuto”.

Le idee ti si affacciano alla mente. E pensi, come solo può fare il passeggiatore solitario che si aggiri per le calli della città.

Se c’è una musica che richiami l’umanità, le persone, la folla, la calca direi, questa musica è quella di Vivaldi. Perché vive dentro la gente, come dentro la gente viveva il suo compositore: sacerdote che amava il teatro musicale nella sua mondanità, nella sua carnalità, possiamo dire; tanto da arrivare ad esercitare per un certo tempo il “mestiere” di impresario teatrale.
Apparentemente una sorta di contraddizione tra la dedizione alla spiritualità, richiamata dalla vita sacerdotale, e le cure quotidiane imposte dall’impegno operativo derivante dalla gestione di una compagnia di teatro: in un’epoca peraltro, il Settecento, in cui tale esercizio non poteva certo definirsi esemplarmente edificante.

In una visione poco attenta: un conflitto insanabile cui si deve forse quell’incomprensione per il grande maestro, da parte dei suoi contemporanei, alla quale allude la targa sul muro della casa veneziana e che il Goldoni racchiude nel suo giudizio, contenuto nei Memoires, che consegna alla posterità, per più di centocinquant’anni, la figura del “Prete Rosso, per la capigliatura che aveva un tal colore. Più noto per tal soprannome che per quello della sua famiglia. Questo ecclesiastico, eccellente suonatore di violino e compositore mediocre…”.

Giazotto questo giudizio l’aveva presente; ma ciò non gli aveva impedito, al di là del fatto che il compositore veneziano, trascinato dalla sua passione per la musica, si fosse dovuto arrangiare anche nel difficile mestiere dell’impresario di teatro, di valutare l’immensa portata dell’innovazione musicale vivaldiana.

Suggestioni tutte che questo libro e la sua tematica mi ispirano. Lettura interessante, documentale, che rappresenta, rievoca e ricostruisce la storia di persone, fatti che stanno dietro quella musica che, quando l’ascoltiamo, ci stupisce e ci rapisce e par che nulla abbia a che fare con le terrene cose.

Una storia che viceversa ci fa capire quanto la musica sia cosa umana, talvolta creata dagli uomini per sopravvivere. Ma al tempo stesso anche quanto possa esser nobile ed elevato lo spirito dell’uomo che in essa si esprime.
Achille Colombo Clerici
Milano, 7 dicembre 2019