Sindacato degli Influencer: Ilaria Borgonovo risponde alla “collega” Mafalda De Simone, sul tema del momento che ha fatto discutere il web e non solo…

    Articolo di Sara Esposito

    Tante le voci divergenti e la diffidenza sugli influencer da parte delle persone “comuni”, che reputano la categoria spesso come “fancazzista”, “produttrice del nulla” e come “moltitudine di persone che si arricchisce senza portare alcun valore aggiunto a nessun settore” e chi più ne ha più ne metta…

    Nonostante in moltissimi fatichino a vederlo come un mestiere, quello dell’Influencer Marketing è un settore che vale miliardi di euro.

    Dagospia, il sito di Roberto D’Agostino, ha rilanciato la notizia con un titolo decisamente provocatorio: “Siamo alle comiche finali. Le influencer chiedono un sindacato per proteggere i diritti di chi si spara selfie e pose. Cosa minacciano altrimenti, lo sciopero delle stories? Ma il sindacato non dovrebbe tutelare chi lavora veramente?”.

    La proposta che ha fatto drizzare le orecchie e storcere il naso a più di una categoria arriva dall’influencer Mafalda De Simone: 25 anni e 183.000 follower su Instagram, che vorrebbe replicare il modello già vigente negli Stati Uniti e in UK, dove dal 2020 esiste un’associazione di categoria a difesa degli interessi delle star del web.

    Gazzetta di Milano ha voluto far luce su questo tema caldo, ascoltando una seconda campana: intervistando l’influencer Ilaria Borgonovo – 143.000 follower su Instagram – che ci ha contattati, come lei stessa afferma, per la nostra imparzialità sul tema…

    “Non faccio questo come lavoro, sono una laureanda in giurisprudenza con l’obiettivo di proseguire gli studi per magistratura, mi sono imbattuta in questo hobby che è diventata una passione e forse anche un lavoro durante la prima quarantena a marzo 2020, quando avevo già un certo numero di follower 20-30.000 e ho iniziato i primi scambi di collaborazione – scambi merce con relativa pubblicità. In realtà le cose stavano andando molto bene, quest’ estate ho avuto l’opportunità di collaborare con diversi hotel in Sicilia e in Lombardia fino a ristoranti di cui uno particolarmente noto di Milano e ho continuato con collaborazioni con aziende sempre di una certa importanza.

    Verso dicembre ho scoperto nuove realtà, in particolare piccoli artigiani o privati che necessitavano di collaborazioni: ad esempio una persona che aveva perso il lavoro e si era dedicata a lavoretti in casa per raccogliere qualche soldo o ancora una ragazza in cassa integrazione… e mi sono focalizzata in particolar modo su questo genere di realtà nell’arco di quel mese.

    Ho avuto modo di organizzare una raccolta fondi per il reparto di terapia intensiva neonatale del Niguarda un’iniziativa importante. Sono sempre stata dell’idea che l’influencer può appunto influenzare le persone e credo che debba influenzarle anche da questo punto di vista…

    Ho proseguito con questa attività sui social e ho ricevuto richieste di collaborazione da parte di aziende pubblicando una o più foto e o stories seguendo il mio stile e ovviamente adeguandomi a quello che desiderava l’azienda e spero finché va bene di continuare a farlo.

    Quando mi sono imbattuta in questa notizia del sindacato ne sono rimasta molto colpita e mi sono trovata un attimo spiazzata, proprio perché l’idea di questa ragazza di istituirne uno credo vada pensata successivamente: come prima cosa va istituito il lavoro di influencer che a quanto pare in Italia non è regolamentato come ad esempio negli Stati Uniti e in Inghilterra perché dalle persone non viene visto come un lavoro di pubblicità e di comunicazione ma come: la ragazza che fa la foto ci mette due minuti ed è finita lì. Questo lavoro va quindi prima regolamentato, l’influencer sarà un lavoratore indipendente con partita iva, dopodiché solo successivamente potrà essere istituito un “centro” che possa regolamentarlo e proteggerlo dal punto di vista lavorativo, finanziario ecc.

    D: In che modo lei collabora con aziende, strutture ecc.?

    R: Io non ricevo compenso economico le strutture alberghiere anche in Sicilia (il mio fidanzato è di Catania) a seconda dei soggiorni che facevamo ci si organizzava con la struttura per una o più foto o storie: uno scambio merci un do ut des…

    D: Per quanto riguarda Mafalda de Simone qual è il suo punto di vista sulla sua istanza?

    R: Ho i miei genitori che lavorano in ospedale e pensandoci questa cosa è venuta fuori nel momento più sbagliato possibile in generale, secondo Mafalda De Simone bisognerebbe proteggere gli influencer ma io penso che proprio per quanto riguarda l’Italia andrebbero realizzate altre iniziative non questa, il sindacato protegge il lavoratore ma se non esiste un lavoratore cosa si dovrebbe proteggere?

    Se si lavora con una partita iva l’hotel la struttura diventa cliente: l’influencer fa la proposta e a seconda dei suoi numeri e il cliente deciderà se accettare la proposta di collaborazione. E’ come per i commercianti: nel momento in cui il cliente non vuole acquistare perché il costo è eccessivo si passa al negozio successivo.

    Il sindacato sì come protezione ma nel momento in cui viene regolamentata la professione, dando magari un importo minimo e un importo massimo da chiedere al potenziale cliente. Fino a che non ci sono queste leggi il sindacato serve a ben poco.

    L’attività svolta dagli influencer viene vista come comunicazione-pubblicità più economica rispetto a quella vista in tv, sulle riviste o giornali, la gente è convinta che un influencer si dedichi un minuto a scattare e pubblicare una foto ma in realtà ci sono tantissime cose dietro e non richiede il tempo che la gente sostiene. Questa attività merita di essere vista e conosciuta per ciò che davvero è, la gente è troppo superficiale da questo punto di vista. Prima di pensare a un ipotetico sindacato va valutata anche questa cosa che è molto importante.

    D: Come risponderebbe a Mafalda De Simone?

    R: Regolamentazione della professione stessa di influencer, protezione della categoria…ma non vengono menzionate però tutele nei confronti delle aziende finché un’azienda chiede una pubblicità alla Mediaset ha il 99% di certezza che un gran numero di persone veda questa pubblicità. Il problema di fondo è che molte aziende non conoscono purtroppo i social e mettono in mano pubblicità e compensi economici abbastanza elevati in mano a persone che non hanno tutta questa visibilità. Il numero di follower che si vede sul profilo di un influencer non è importante o almeno lo diventa nel momento in cui sono persone che realmente seguono quella persona. Nel momento in cui uno si affida a me che ne ho 142-143.000 immagina che quelle persone guardino le mie foto e le mie stories, se cosi non dovesse essere è inutile che l’azienda spenda quei soldi perché la visibilità-pubblicità non arriverà.

    Quando noi parliamo con le aziende o quando ci contattano lo diciamo sempre siamo effettivamente una pubblicità ma non daremo mai una garanzia che i clienti arrivino, proprio perché neanche le pubblicità in tv possono dare questa certezza, ciò che garantiamo è che la foto viene pubblicata e vista…ma magari in quel momento non interessa il prodotto o non ne ha bisogno e quindi non compra ma succede anche con Canale 5, Italia 1. Va in primis analizzato il profilo dell’influencer per vedere se quei follower sono reali, se scrivono, mettono like, commenti alle foto in questo modo si riesce a capire se il profilo e tutto quello che c’è dietro è vero.

    D: Lei è un influencer, ha delle tematiche specifiche di cui si occupa e un target in particolare a cui si rivolge?

    R: Prima erano fashion, skincare e make up andando avanti ho cercato di includere un po’ tutto, siamo passati così al food, non cucina ma ristoranti e alle strutture alberghiere e le spa cercando comunque di ampliare il raggio il più possibile per avere-dare maggior visibilità. Ho costruito un mio sito internet in modo tale da raccogliere tutte le info, recensioni, critiche mosse ad aziende a ristoranti o hotel in cui ho soggiornato in modo tale che le persone sappiano e possano scegliere o no quella struttura o quel soggiorno.

    D: “Io posso dire che le mie foto le mie storie vengono visualizzati” come fa a dire questo, come fa a garantirlo?

    R: Sotto ogni foto abbiamo la visualizzazione delle statistiche e da più o meno un anno a questa parte le mie statistiche si aggirano intorno a 60-70.000: quelle sono le impressions, la copertura che ha avuto quella foto.

    D: Quando contatta le aziende dà uno storico di quello che è l’engagement del suo profilo?

    R: Usiamo piattaforma Ninjalitics che analizza le ultime 12 foto postate, diamo così una visione dell’engagement rate, la media di visualizzazioni stories, views dei post e ovviamente è la struttura ad accettare o meno sulla base di queste informazioni.

    La gente che mi segue è reale ma non è detto che una foto postata nella stessa modalità abbia lo stesso risultato in giorni e orari differenti. Instagram non è sempre prevedibile da questo punto di vista, la certezza però è che la gente mi contatta mi scrive ecc. e si interessa. E sulla base dell’interesse dimostrato mi taro e mi sposto sulla tematica da postare ad esempio arriva l’estate vado sull’hotel per consigliare dove soggiornare e così via.

    D: Dunque il Sindacato degli influencer non è una cosa da proporre in Italia?

    R: Non è una cosa da proporre ora: sappiamo la situazione qual è e che non è regolamentata in modo serio e corretto e finchè non viene messo per iscritto che fare l’influencer è un lavoro a tutti gli effetti è inutile parlare di sindacati e simili.

    D: Perché ci ha contattati c’è un motivo particolare, è un momento storico particolare?

    R: Perché quando è uscita questa notizia sul sindacato ne sono rimasta particolarmente colpita e la penso all’opposto rispetto alla persona che ne ha parlato, in particolare perché sottolinea questa protezione verso gli influencer ma non menziona minimamente una protezione verso le aziende che invece meritano in qualche modo anch’esse di essere tutelate. Intendo nell’ottenere la visibilità giusta e promessa da questi influencer con i quali intraprendono una collaborazione.

    D: Secondo lei Mafalda De Simone ha posto in essere questa istanza perché porta acqua al suo mulino?

    R: Sicuramente! Una volta notata la notizia abbiamo dato un’occhiata a chi l’aveva lanciata analizzandone il profilo: una persona con 182-183.00 follower con una media di like pari a 500 per post mi sembra un po’pochino rispetto al numero di follower…

    I suoi follower non corrispondono all’engagement delle foto, che dovrebbe oscillare come minimo tra 1,5 e 1,7: il suo è 0,7 e ha infatti i like che sono paragonabili a un profilo di circa 10.000 follower e commenti che sono ancor meno…

    Le aziende si affidano al numero di follower presente sul profilo e si aspettano una visibilità che rispecchi quella cifra.

    Nella sua intervista Mafalda De Simone dice che le aziende danno un prodotto a basso costo e qualche gadget in cambio di un lavoro immane di foto e/o video…Invece io terrei a dire che le aziende non le danno un prodotto a basso costo ma semplicemente il loro prodotto, come compenso e nel momento in cui ti viene offerto questo, puoi tranquillamente rifiutare la collaborazione. Mi è capitato di essere contattata da artigiani o da persone che realizzavano lavoretti fatti casa e mi sono resa disponibile a prescindere, per poterli aiutare: le persone vedendo i miei post e o le mie stories avrebbero potuto interessarsi e diventare clienti di queste realtà…

    Come mi è capitato anche di rifiutare determinate collaborazioni perché non in linea con il mio profilo e perché non riuscivo vederci un post o una story da poter condividere. Non ho mai avuto problemi con le aziende anzi spesso mi hanno chiesto anche più di un post nonostante gli accordi pregressi e ho sempre cercato di andare incontro, ma mi sono capitate proposte in cui mi si chiedeva un numero eccessivo di post-stories e mi sono regolata magari ritarando l’offerta e trovando un accordo per quanto possibile.

    Ma non mi è mai capitato di dire di no perché dopo avrei ottenuto “soltanto” il prodotto a fronte di un “immane” lavoro, questo no.

    E per rispondere alla mia collega De Simone, dovrebbe pensare un po’ più in ottica legale con l’istituzione del lavoro stesso di influencer e solo successivamente parlare di un sindacato e seconda cosa ma non per importanza, pensare alla tutela delle aziende. Molte non sono a conoscenza dei sistemi di verifica degli account e delle relative statistiche e quindi purtroppo si lasciano ingannare dal numero elevato di follower che è sul profilo…

    Questa persona non ha un profilo che rispecchi il numero di follower presente sulla home lo affermo sulla base di statistiche verificabili tengo a sottolinearlo e ha voluto paragonarlo al profilo di Kylie Gender, profilo americano con un numero di follower molto più alto con engagement basso perché ha milioni di follower e sono due profili proprio per questo non paragonabili.

    Io mi sono costruita il profilo sin dall’inizio e ho 4,5 – 4,6 di engagement dovuto ai like, commenti ai miei post.

    La De Simone dovrebbe paragonarsi a chi ha più o meno lo stesso numero di follower non a profili enormi…Chiara Ferragni ha oltre 23 milioni di follower con un engagement del 2% che è altissimo per il suo numero di follower, perché ha tantissime interazioni sono situazioni non paragonabili in proporzione da nessun punto di vista.

    Una protezione maggiore per le aziende deve essere un caposaldo, perché se le aziende si trovano a lavorare con influencer che non rispecchiano l’engagement relativo ai loro follower, non si fideranno più della categoria e del mondo social perché investono dando i loro prodotti e/o un corrispettivo, non ricavandone nulla, quindi potrebbero pensare di rivolgersi a un giornale o a una tv. Ne risente così tutta la categoria…

    Quando è molto elevato il numero di follower con un pubblico magari disomogeneo il coinvolgimento è ovviamente meno frequente, è difficile tenere il passo…In ogni foto da molti mesi nel mio caso sto vedendo invece un netto miglioramento in termini di dati.

    D: Secondo lei perché questo è avvenuto?

    R: Gran parte di questo si è verificato grazie al miglioramento delle foto, con l’acquisto di vari programmi la qualità è nettamente migliorata e il fattore collaborazioni più interessanti ha ovviamente contribuito a destare ancor maggiore interesse negli utenti.

    Molti mi scrivono in privato e anche dalle dashboard ho potuto vedere cosa interessa più alle persone in quel momento e cosa no, è sicuramente molto importante assecondare gli utenti e comprendere i loro interessi e le loro preferenze…questo lavoro è anche e soprattutto questo.