Stop alla cessione dei crediti di imposta, tra tenuta dei conti pubblici e compravendita bancaria. Quali le responsabilità?

a cura dell’Avv. David Paparoni

E’ ormai decisione nota quella adottatta nei giorni scorsi dal Governo Meloni, a mezzo del D.L. n° 11 del 16 febbraio 2023, volta a disporre il blocco degli acquisti da parte degli enti pubblici dei crediti di imposta derivanti da spese per interventi in ambito edilizio, quali l’efficientamento energetico e superbonus 110%, il rifacimento facciate, la realizzazione di impianti fotovoltaici, nonché per la realizzazione di colonnine di ricarica e abbattimento delle barriere architettoniche.

Fatta tale premessa va precisato che sino alla emissione del decreto del 16 febbraio 2023 n° 11 il meccanismo di cessione, acquisto e successiva, nuova, vendita dei crediti di imposta ha visto quale protagonista gli istituti di credito. In particolar modo, quello che viene sovente ignorato anche dagli operatori del settore edile è che le società bancarie in questi anni hanno proceduto acquistando crediti di imposta per un valore inferiore a quello nominale per poi rivenderli ad un valore maggiore rispetto a quello di acquisto. Un esempio, probabilmente, potrà servire a rendere più comprensibile il meccanismo di acquisto e rivendita dei crediti. Poniamo quindi che un istituto bancario acquisti un credito di importo pari a 100 mila Euro, la banca, sempre per il nostro esempio, rileverà tale credito al prezzo di 80 mila Euro, ricedendo lo stesso, a valle dell’acquisto, ad un valore di 90 mila Euro. Nell’esempio fatto, pertanto, la banca acquirente realizzerà un margine di ben 10 mila Euro. E’ comprensibile come operazioni di tale natura, ripetute migliaia e migliaia di volte abbiano causato un enorme vantaggio di natura economico finanziaria per alcuni Istituti di credito e, al contempo, un enorme danno per le casse dell’Erario.

Il meccanismo, appena esposto, tutt’alto che virtuoso, è appunto costato allo Stato un buco da 110 miliardi di Euro. E si calcola che, proseguendo così, anno dopo anno, costerebbe all’Erario ben quaranta miliardi di Euro su base annua. Se consideriamo poi che quasi il 10% di tali crediti è scaturito da truffe, e nonostante ciò abbia rappresentato oggetto di cessione ad istituti di credito certamente in buona fede, almeno vi è da ritenerlo sino a prova contraria, si coglie subito la ragione per la quale una simile compravendita di crediti abbia rappresentato, e ancora oggi rappresenti, un enorme vulnus per le casse statali, oltre che per le tasche di ogni singolo Cittadino. Si calcola infatti che ogni singolo contribuente italiano, a fronte degli enormi vantaggi ottenuti da alcune categorie di operatori economici, abbia pagato un prezzo di oltre duemila euro. Ciò fa riflettere su come lo strumento dei crediti di imposta, sia a causa del mercimonio fattone da alcuni Istituti, che a causa delle sottese truffe, abbia mortificato la nobile intenzione del Legislatore, ossia quella di esperire un tentativo volto a fornire un sostegno all’economia con incentivi di carattere fiscale applicati al settore dell’edilizia.

A valle delle considerazioni fatte e dei dati oggetto di analisi, non si può non dare atto del fatto che di per sé il credito di imposta è uno strumento il quale, se impiegato in modo opportuno, in forma di compensazione o anche di rimborso, può di certo incentivare determinati settori dell’economia, raggiungendo il nobile scopo per il quale l’istituto è stato, quantomeno in astratto, previsto dal Legislatore. Bene operano quindi i governi nel momento in cui, con l’implementazione di determinate forme di credito fiscale, incentivano alcuni settori dell’imprenditoria purché, tuttavia, non si faccia di tale strumento un uso distorto quale quello rappresentato dalla, tutt’altro che virtuosa, compravendita sopra menzionata.

Preso atto delle gravi condotte le quali hanno caratterizzato quantomeno alcuni frangenti della formazione, dell’acquisto nonché della successiva cessione dei crediti fiscali lo stesso ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, pochi giorni addietro ha, riprendendo le parole dell’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, precisato come comprenda la posizione delle imprese del settore edile e che il problema non sia il superbonus ma i meccanismi di cessione realizzati senza discrimine né discernimento.

I summenzionati meccanismi di compravendita fiscale si sono rivelati talmente poco virtuosi nonché compromettenti per la tenuta delle casse dello Stato al punto tale da destare la disapprovazione non solo degli esponenti del Governo Meloni, oltre che della relativa maggioranza parlamentare, ma anche di alcuni tra i principali esponenti della opposizione. Tra questi ricordiamo la posizione di Paolo Gentiloni (PD), Commissario Europeo all’economia, il quale, volendo evitare una mera sterile opposizione nei riguardi del Governo Meloni ha pubblicamente fatto proprie le preoccupazioni del Governo e, in particolare, del Ministro Giorgetti per la tenuta dei conti pubblici. Le riflessioni di Gentiloni, in linea con quelle dell’esecutivo, danno evidenza di come lo strumento dei crediti di imposta, previsione di enorme rilevanza giuridico tributaria, sia stato svilito da quella compravendita dei crediti medesimi la quale di tale incentivo fiscale ne ha fatto oggetto di commercio. Il credito di imposta applicato all’ambito dell’edilizia avrebbe dovuto, diversamente e direttamente, incentivare la ripartenza del settore edile e non divenire, il credito stesso, in una applicazione distorta, oggetto di mercimonio, facendo sì che il vantaggio economico, caratterizzato dal risparmio fiscale, agevolasse maggiormente, quantomeno in termini quantitativi, le Banche e non le stesse imprese edili oltre che il Cittadino che a queste si fosse rivolto per la realizzazione di una ristrutturazione piuttosto che di un ammodernamento energetico. Bene quindi che i crediti di imposta per il settore dell’edilizia continuino anche ad esistere, sia in compensazione che, in caso, quantomeno parzialmente, a rimborso, purché a beneficiarne siano le stesse imprese edili e quindi, indirettamente, anche il committente dei lavori e non certamente le banche alle quali, preso atto di quanto accaduto in questi ultimi anni, va rigorosamente vietata l’attività di compravendita di tali crediti pena la tenuta delle casse erariali e il default statale a danno di ogni singolo, ignaro, cittadino-contribuente.

Avv. David Paparoni

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