Milano, un modello di inclusività da rivalutare

di Maurizio Podico presidente APPSA

In effetti pare che le scelte politico/architettoniche recenti siano l’espressione spocchiosa di una ricchezza e di costi per affermare dei modelli illusori e non inclusivi.

Infatti Milano ha visto la creazione di un simbolo, il ”bosco verticale”, un grattacielo interamente vestito, o meglio rivestito, di alberi e arbusti, in un certo senso in opposizione al pensiero di Charles-Édouard Jeanneret (in arte Le Corbusier) in quanto, oltre ai costi insostenibili, emerge la chiusura verso il basso scompaiono les pilotis, i pilastri, che alzando da terra l’edificio lo rendono invisibile alla vista orizzontale aprendo gli spazi non solo attorno ma anche sotto gli edifici (garages, locali tecnici, cantine e ripostigli).

In tale modo non si costruiscono labirinti chiusi e “oscuri” ma si può vedere tutto quello che ci circonda, dando respiro e sicurezza.

Tale soluzione, inoltre, crea uno spazio utile per giungere facilmente all’ingresso dell’edificio e consente di muoversi efficientemente in ogni direzione.

Inoltre, i modelli architettonici di Le Corbusier sono stati efficacemente applicati nell’edilizia popolare e residenziale a partire dagli anni 70 consentendo di dare un adeguato contesto abitativo al risultato del boom demografico di quegli anni e alla migrazione che ha portato dalle campagne alla città di moltissimi nuclei familiari.

Oggi siamo di fronte ad una nuova problematica, creare ambienti inclusivi e culturalmente adeguati ad una nuova e importante componente sociale, i numerosi immigrati che con i loro nuclei familiari costituiscono la nuova forza traente del nostro Paese conferendogli quella dignità che li potrebbe aiutare ad integrarsi nel nostro sistema evitando segregazioni e emarginazioni che portano ai fenomeni degradati tristemente noti come le banlieue (periferie) parigine.

Il termine, infatti, potrebbe evere due significati, il primo sottintende che sono sotto il controllo della città attorno a cui gravitano che ne detemina e condiziona la vita mentre il secondo fa riferimento al senso di esclusione che la periferia evoca rispetto al centro cittadino e fa quindi risalire l’origine del termine “alla messa al bando” (lontano dalla città) degli individui più poveri e ritenuti più pericolosi.

La nostra civiltà latina e cristiana (senza alcuna connotazione religiosa ma solamente come modello sociale di accoglienza) dovrebbe portare, attraverso l’integrazione culturale alla realizzazione di una società multietnica in cui gli obbiettivi e valori comuni cancellano le differenze non solo culturali ma anche religiose e comportamentali, senza annullarle, ma valutandole come un valore aggiunto.

In effetti, almeno a Milano, tale situazione è quella che più si avvicina a tale modello italiano, prova ne sono che il nostro Paese, finora, è stato quasi esente da manifestazioni di odio e violenza estrema che, invece, hanno interessato molti paesi del nord europa, Francia in testa.

L’assenza di emarginazione raziale, religiosa, economica e, specialmente, culturale, concetti estranei alla nostra società, sono state la nostra carta vincente e non dobbiamo consentire che una crisi economica divenga un fattore distorsivo di tale approccio azzerando quello spirito e sentimento di reale uguaglianza che ci caratterizza a tutto vantaggio della nostra città.

La recente riforma del terzo settore dovrebbe essere un’ottimo spunto per agevolare e potenziare, e non frenare, quelle strutture di supporto che, senza scopo di lucro, tanto possono fare per raggiungere gli obbiettivi di inclusione sociale necessari per la prosecuzione del nostro modello culturale.

 

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