Gioielli, i numeri dell’industria italiana.

da IlSole24Ore.it

Non conchiglie, ma artigli di felino sono stati i primi gioielli indossati dagli esseri umani: la battaglia per il riconoscimento di primi monili della storia è stata vinta qualche anno fa da quelli rinvenuti nella grotta di Krapina, in Croazia, risalenti a 100mila anni fa, contro le collane di conchiglie perforate più giovani di 25mila anni trovate nella grotta di Blombos, dove il Sud Africa si affaccia sull’Oceano Indiano.

L’amore per i gioielli accompagna l’homo sapiens fin dalla sua comparsa sul pianeta, e a differenza di altre passioni o interessi non dà segni di volerci abbandonare. A decretarlo è stato anche il recente Worldwide Luxury Market Monitor di Bain & Co. e Altagamma: nel 2019 la categoria dei gioielli, al pari delle scarpe, ha registrato la crescita di vendite più spiccata del comparto Personal Luxury Goods, che comprende anche accessori, abbigliamento e orologi. Un aumento del 12% rispetto al 2018, per un giro d’affari di 21 miliardi di euro, spinto dalla crescente passione per l’alta gioielleria in Cina e Giappone e dalle collezioni maschili, segmento ancora di nicchia ma in veloce sviluppo. L’alto di gamma preso in considerazione nel report è solo una parte di un mercato globale che Euromonitor International stima per il 2019 pari a 365 miliardi di dollari, in aumento del 6,7% rispetto a un anno fa e a +21,7% sul 2016.

Le operazioni dell’anno
A confermare la vivacità di questo settore sono anche le operazioni finanziarie e i lanci di nuove collezioni che si sono susseguite negli ultimi mesi: il più recente è l’ingresso di Tiffany in Lvmh (si veda l’articolo a pagina 10), preceduto in settembre dal passaggio di Buccellati dal fondo cinese Gangtai a Richemont.

A maggio, l’arrivo nelle boutique Prada della prima linea di fine jewellery ha dato il via alla sequenza di esordi di marchi di moda nell’alta gioielleria, seguita da Gucci (che alle creazioni di Hortus Deliciarium ha dedicato anche una boutique a Parigi, si legga l’articolo a pagina 18) e Giorgio Armani, che ha presentato a Milano tre collezioni (che raccontiamo a pagina 16).

La fotografia dell’Italia
A confermare il buono stato del gioiello made in Italy anche sul fronte manifatturiero sono i dati relativi al primo semestre dell’anno pubblicati dal Centro studi di Confindustria Moda in collaborazione con Federorafi: fra gennaio e giugno l’industria orafa italiana ha registrato un aumento dell’export del 6,2%, a fronte di un calo delle importazioni del 10,5% rispetto al corrispondente periodo del 2018. Il saldo commerciale si è attestato a 2,4 miliardi di euro. La Svizzera è il primo Paese per valore di merce esportata, seguita dalla Francia (destinazione soprattutto del distretto piemontese) e dagli Emirati Arabi Uniti, in aumento del 18,5%. In forte crescita le esportazioni verso il Canada (+66%) e il Giappone (+24%, dato trainato dall’accordo di libero scambio con l’Ue entrato in vigore il 1° febbraio), mentre calano del 15,6% quelle verso la Gran Bretagna, settimo mercato di sbocco.

Fra i distretti, Alessandria resta saldamente al primo posto con la produzione di oltre il 30% dell’export per un valore di 1,1 miliardi di euro e in aumento del 10%, seguita da Arezzo (1,051 miliardi, +11,4%) e Vicenza (675 milioni, +3,4%): nei primi tre distretti prende forma quasi il 78% dell’export di gioielli italiani. E per la seconda parte dell’anno, la presidente Federorafi Ivana Ciabatti ha rivelato di essere «ottimista, perché nelle nostre aziende c’è fermento».

La sfida dell’innovazione
Il successo del made in Italy non significa però che aziende e marchi non debbano confrontarsi con le nuove tendenze del mercato, sempre più plasmato dai clienti più giovani, i trenta-ventenni delle Generazione X e Y. Quest’ultima, secondo Bain e Altagamma, entro il 2025 genererà la metà dei consumi globali del lusso. Giovani che sono attratti dalla sostenibilità dei prodotti e dalla responsabilità delle aziende, clienti sempre più esigenti e consapevoli, sostenitori di forme di consumo alternativo come il second hand e il noleggio: già oggi su Vestiaire Collective, una delle piattaforme leader per la compravendita di usato di lusso, si possono trovare collier di Van Cleef & Arpels da 335mila euro o orecchini Cartier da 95mila. E si moltiplicano i siti di noleggio di preziosi, come Flont o Haute Vault, che offrono ai loro membri la possibilità di ricevere a casa e indossare per un periodo di tempo creazioni anche da decine di migliaia di euro affittandole per poche centinaia. Ma, ancora un volta, oltre il lusso si aprono le praterie della gioielleria più accessibile, che sarà quella più richiesta dalla crescente classe media asiatica, in cerca di un rapporto ottimale fra qualità e prezzo. La sfida per i gioielli contemporanei si giocherà anche su questo campo.