Finanza ESG, per Gruppo Cap è l’ora di accelerare.

Frammentazione del mercato, eccessiva burocrazia, grande complessità territoriale in un panorama di scarsa uniformità normativa: sono questi i fattori che rendono ancora poco attrattivo il settore idrico per il mondo della finanza ESG. A ciò si aggiunge una sorta di lontananza degli operatori finanziari dalla reale comprensione del mercato. Ma qualcosa sta cambiando in meglio. La riflessione arriva dalla ricerca “Relazione tra investitori e settore idrico: un buco nell’acqua?”, promossa da Gruppo CAP, gestore del servizio idrico integrato della Città metropolitana di Milano, in collaborazione con ETicaNews, testata di ricerca giornalistica sviluppata all’interno di ET.Group, ESG Knowledge Company, e la collaborazione di Assolombarda, con l’obiettivo di fotografare i rapporti tra il mondo della finanza e il settore idrico Italiano, per evidenziare opportunità di investimenti e promuovere il dialogo con i principali player attivi sul fronte della finanza sostenibile.

La ricerca, di carattere sia quantitativo che qualitativo, ha coinvolto circa 40 soggetti selezi­onati, all’interno di un panel eterogeneo composto da asset manager, asset owner, banche e think tank. La seconda parte “qualitativa” riunisce interviste di approfondimento a 9 tra i maggiori soggetti finanziari operanti sul territorio (banche, asset management e fondi pensione)*. Ciò che emerge è inequivocabile: nello scenario delineato dal PNRR, con l’impulso ai fondi destinati alle opere ESG (Environmental, Social e Governance), gli investitori chiedono progetti di carattere infrastrutturale che soddisfino specifici requisiti, criteri di sostenibilità di carattere finanziario e reddituale e un ammodernamento sia in termini regolatori sia in termini industriali.

 

Si tratta, spiega il documento, di produrre progetti in grado di attrarre investimenti per far fronte alle sfide del cambiamento climatico e della transizione energetica, sfruttando al meglio le grandi potenzialità delle risorse allocate dal PNRR e coinvolgere gli operatori del settore finanziario in un grande piano di ammodernamento ed efficientamento.

 

Di infrastrutture idriche e del loro rilievo strategico si è parlato a lungo durante la COP 26 di Glasgow e durante il G20 di Roma, ma nella realtà manca un vero dialogo tra finanza e mondo dell’idrico per sviluppare piani ambiziosi e quanto mai urgenti,  commenta Alessandro Russo, presidente e amministratore delegato di Gruppo CAP. Senza dubbio il settore idrico si presenta frammentato in modo ancora eccessivo, e a volte la governance dei soggetti che vi operano presenta instabilità o dipendenza da logiche non prettamente industriali. In un contesto in cui il PNRR promette di dare una spinta al rilancio del Paese, le infrastrutture e le aziende più evolute del settore rappresentano a livello internazionale uno dei poli di attrazione più forti. In questo senso, il mondo della finanza dovrebbe guardare con maggiore interesse alle opportunità che questo settore offre, soprattutto ora. Oggi, infatti, siamo arrivati al punto in cui ha senso dire ”ora o mai più!” perché se è vero che fino a qualche anno fa era pensabile trovare soluzioni di governance e gestionali per un operatore del servizio idrico integrato inefficiente e aiutarlo a ritrovare la strada, oggi non è più così.

La complessità del mercato, il know how e il tasso di tecnologie e capitali necessari a una gestione industriale del servizio, fa sì che oggi il recuperare le posizioni perse sia pressoché impossibile. Oggi assenza di approccio industriale, carenza di investimenti e frammentazione, aprono le porte a un drammatico “water divide” difficile da colmare. È per questo che sono convinto che il PNRR possa rappresentare un’occasione irripetibile, ma solo a patto che si superino quelle distanze tra finanza e mercato idrico che la ricerca mette bene in luce”.

Fermo restando l’interesse crescente per i potenziali investitori per il settore, la ricerca evidenzia ancora una distanza tra il mondo finanziario e i soggetti che operano nell’idrico. Quattro le cause principali: al primo posto la complessità e la mancata uniformità normativa del settore, complicata da una governance e un impianto regolatorio che viene considerato come poco chiaro e confuso. Seguono la gestione frammentata, le piccole dimensioni di molti soggetti del settore operanti su un territorio complesso e disomogeneo e l’assenza tra gli investitori di policy formalizzate ad hoc in merito agli investimenti idrici.

Secondo gli operatori finanziari, tra i principali elementi che producono la frammentazione del settore, e di conseguenza il suo minore appealing, è la presenza sul mercato di oltre 700 gestori, di cui soltanto il 10% circa in affidamento, con i soggetti di grandi dimensioni che stanno accrescendo il proprio know-how in modo esponenziale e diversificato, cosa che invece non riescono a garantire e a permettersi le aziende di piccole dimensioni. L’assenza di competenze determina quindi una crescente dipendenza delle piccole aziende da quelle più grandi con un dispendio di risorse e capitali.

Nonostante queste difficoltà, complice anche il PNRR e le risorse che vengono in esso riservate al sistema idrico, pari a 4,38 miliardi di euro, la ricerca di Gruppo CAP evidenzia l’interesse e la volontà di effettuare investimenti da parte dei soggetti privati. La riduzione delle perdite idriche e il potenziamento dei sistemi di depurazione delle acque reflue rappresentano le aree di intervento più interessanti, seguite dallo sviluppo di sistemi per il riutilizzo delle acque di scarico, dalla digitalizzazione e dal miglioramento delle reti (piuttosto che la progettazione e realizzazione di nuove reti), dal trattamento dei fanghi e dei rifiuti.

 

Ma cosa chiedono gli investitori alle aziende del settore idrico? Due sono le principali esigenze: progetti di carattere infrastrutturale che soddisfino specifici requisiti ESG e criteri di sostenibilità di carattere finanziario e reddituale, a cominciare dalla capacità di comunicare efficacemente dati contabili e presentare business plan chiari e attraenti. Altri elementi di interesse sono lo sviluppo di progetti che siano attivi su trend di lungo periodo (carenza idrica, inquinamento, cambiamenti climatici, urbanizzazione, invecchiamento delle infrastrutture e incremento di consumo idrico).

 

La ricerca ha individuato anche gli elementi che possono andare a colmare la distanza che attualmente separa il mondo della finanza e quello delle aziende del sistema idrico. Il primo e più importante elemento è senza dubbio la spinta che arriverà dal PNRR, che rappresenterà un importante volano per favorire la crescita d’investimenti pubblico-privati. Il secondo elemento essenziale deve essere il rafforzamento dell’engagement, ovvero favorire la conoscenza sia sul fronte identitario che progettuale tra soggetti finanziari e operatori del settore. A questi due temi principali si aggiungono ovviamente la vicinanza dei progetti destinatari degli investimenti ai temi ambientali e la costituzione di team ad hoc all’interno dei finanziari per monitorare il settore idrico.

 

Sul fronte degli strumenti finanziari, per attrarre gli investitori privati è essenziale da parte degli operatori e delle utility la differenziazione delle fonti di finanziamento rispetto alla predominanza del solo canale bancario. Oltre al mercato obbligazionario, a cui le utility del settore hanno in parte già fatto ricorso, il carattere di lungo periodo dei progetti da finanziare potrebbero prevedere operazioni multilaterali o di coinvestimento che coinvolgano banche di sviluppo multilaterali (come la Banca Europea degli

Investimenti), nazionali (Cassa Depositi e Prestiti), fondi pensione, fondazioni bancarie e fondi sovrani. Ma è soprattutto l’adozione di strumenti di debito sostenibile, come bond ESG e loans sostenibili a essere ritenuta da parte degli intervistati come l’opportunità maggiormente interessante per gli operatori attivi sul comparto idrico. Strumenti che consentirebbero di attrarre investitori di primario standing a livello internazionale.

 

Individuati gli strumenti finanziari, si tratta di identificare i fattori da superare per favorire l’afflusso di capitali. Fattori che si ricollegano in modo diretto agli elementi alla base del gap tra il mondo finanziario e il settore idrico. Gli operatori di capitali auspicano una stabilizzazione e modernizzazione dell’apparato regolatorio. Una stabilizzazione che deve essere in primo luogo relativa ai rendimenti tariffari, e in secondo luogo nel processo di aggregazione dei gestori idrici. Auspicabile anche l’apertura del settore a gestori privati o società miste pubbliche e private.

 

Dal punto di vista dello scenario e della percezione un ulteriore dato sottolineato dai soggetti intervistati evidenzia il legame tra gli investimenti in economia circolare e quelli attinenti al settore idrico, tra i potenziali driver della futura crescita in termini di flusso di capitale.

 

Servono infrastrutture e servono investimenti subito: una parte del nostro Paese ha una situazione inaccettabile in cui non si riesce a garantire la continuità del servizio di acqua potabile, continua Russo. Ed è inutile dire che per fare gli investimenti occorrono capitali; e se dal lato dell’equity il percorso mi pare ancora davvero in salita, dal lato del debito invece ci sono tante cose che si possono mettere in campo e su questo le utility dovrebbero approcciare in modo più maturo e, per dir così, laico il mercato. Certo, serve anche un impegno chiaro del legislatore e del regolatore: se è vero che la regolazione quando viene applicata porta a buoni risultati, il problema è che se non si applica nessuno sanziona. La legge Galli ha più di 20 anni, la regolazione come la conosciamo oggi quasi dieci, ma sono in larga parte inapplicate e, nei fatti, non ci sono sanzioni che spingano i recalcitranti ad adeguarsi. Infine, un compito a casa, per dire così, lo ha anche il mondo della finanza che ancora oggi appare faticare a comprendere il mercato idrico e le sue potenzialità. Un deficit di conoscenza che, se colmato, farebbe comprendere agli investitori le enormi potenzialità del servizio idrico integrato in chiave ESG. Garantire che dalla gestione del ciclo idrico si ricavi e si produca energia, fertilizzanti e altri prodotti da reimmettere nel sistema economico è una delle sfide che la maggior parte degli operatori del Servizio Idrico Integrato sta affrontando negli ultimi anni. In questo quadro le utility tutte, e quelle dell’idrico in particolare, possono diventare abilitatori all’economia circolare e pivot su cui costruire partnership fruttuose con l’intera filiera industriale del nostro Paese”.

 

Insomma, il mercato esprime un crescente interesse per un settore, come quello idrico, sicuramente essenziale e che necessita di investimenti per affrontare le sfide presenti e future in modo adeguato, ma chiede un ammodernamento sia in termini di regolazione (legislazione, burocrazia, competenze) sia in termini industriali.

 

Alla presentazione avvenuta nella sede milanese di Assolombarda in via Chiaravalle alla presenza di Paolo Gerardini, vicepresidente Assolombarda con delega a Credito e Finanza, hanno partecipato alcuni protagonisti del settore industriale, bancario, istituzionale e accademico del panorama nazionale. La ricerca illustrata da Luca Testoni, founder & director ETicaNews_ET.Group, è stata commentata da Andrea Lanuzza, direttore generale gestione di Gruppo CAP che ha fatto le veci del padrone di casa. Tra i relatori intervenuti: Maria Vittoria Pisante, director Strategy, Communication, Business Support & Development Siram Veolia; Letizia Macrì, vicepresidente ESG European Institute. Gianluca Manca, head of sustainability Eurizon Capital SGR; Stefano Pareglio, professore associato Università Cattolica Sacro Cuore, presidente Fondazione Utilitatis.

 

 

 

*Banco BPM, Banca Finint, BNP Paribas Asset Management, Decalia Asset Management SIM, DWS Group, Inarcassa, Intesa San Paolo, ESG European Institute e un’altra società che ha voluto rimanere anonima.