Confindustria, per la prima volta, a Venezia con il film “Centoundici. Donne e uomini per un sogno grandioso”.

Si è tenuta quest’oggi, all’interno della sezione “Venice  Production Brigde” della 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Veneziadedicata ai professionisti dell’industria cinematografica, l’anteprima del cortometraggio  d’autore “Centoundici. Donne e uomini per un sogno grandioso”, ideato e promosso da  Confindustria.

La presentazione si è tenuta all’Hotel Excelsior del Lido di Venezia storico protagonista del
Festival del Cinema alla presenza del Presidente di Confindustria Carlo Bonomi, del Presidente  della Biennale di Venezia Roberto Cicutto, del Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, del regista  Luca Lucini e di alcuni degli attori protagonisti come Cristiana Capotondi, Giorgio ColangeliAdriano Occulto.

Il titolo “Centoundici arriva “spontaneo” e piace subito a tutti. È un omaggio alle centoundici
persone, che hanno lavorato alla realizzazione del film: regista, sceneggiatore, attori,
assistenti di produzione, montatori, scenografo, costumisti, microfonisti, macchinisti, attrezzisti,  operatori, elettricisti, sarte, truccatrici, parrucchieri Artisti e professionisti in rappresentanza  di tutte le maestranze impegnate, quotidianamente, dietro le quinte e indispensabili alla  realizzazione di un film, di uno spettacolo, di un concerto, di un festival.

Persone e famiglie  travolte da quasi due anni di pandemia e per le quali il lavoro si è completamente fermato.

Secondo l’Enpals, solo guardando la prima ondata Covid in primavera, circa 380mila addetti
dello spettacolo e della cultura si sono trovati senza lavoro nel nostro Paese.

Mentre le  industrie culturali e creative hanno perso nel 2020 oltre il 30% del loro volume di affari  (“Rebuilding Europe: the cultural and creative economy before and after COVID19 Ernst &  Young”).

A loro, Confindustria ha voluto dedicare la fine del cortometraggio con le  interviste e le immagini di backstage sulle note del brano “Vivere”, nella versione swing  arrangiata da Andrea Guerra.

Un auspicio di ritorno alla vita, che è lavoro, è passione, è incontro  tra persone, è scambio di idee, è fare progetti.

Da qui la scelta di Confindustria di essere presente, per la prima volta e su iniziativa del
suo Presidente Carlo Bonomi, proprio alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Un palcoscenico unico al mondo per evidenziare il valore delle industrie culturali e
creative del cinema, dell’audiovisivo, della musica, dello spettacolo, degli eventi, che sono
cultura ma anche impresa. Fondamentali per la loro funzione sociale e per la loro portata
economica e occupazionale. Secondo le stime del Centro Studi Confindustria su dati Istat,
pre-pandemia l’industria dei contenuti nel 2018 ha creato, sia direttamente sia attraverso la
domanda di beni e servizi attivata a monte delle filiere, un valore aggiunto di circa 35 miliardi
di euro (2,2% del PIL), e circa 690mila posti di lavoro (2,9% del totale nazionale). I dati riferiti  alla sola industria dell’audiovisivo, musica e broadcasting sono rispettivamente 16 miliardi  di euro (1,0% del PIL) e 214 mila occupati (0,8% del totale).

Circa un terzo sia del valore  aggiunto sia degli occupati generati dall’industria della cultura è impiegato in attività  direttamente collegate alla cultura, mentre i restanti due terzi appartengono a settori a  monte della filiera (come i servizi di consulenza, quelli operativi, di trasporto, le produzioni  manifatturiere, immobiliari, etc).

La domanda di attività culturali genera un importante effetto  moltiplicatore sull’economia italiana, proprio in virtù di questi forti legami di filiera. Per ogni  euro aggiuntivo speso per acquistare prodotti culturali in Italia si attiva un valore della  produzione nel Paese di circa 1,9 euro.

Questo perché quando cresce la domanda finale di  prodotti culturali, a beneficiarne non è solo la produzione di contenuti culturali a cui la maggiore  domanda è rivolta direttamente ma anche tutti quei settori che riforniscono le imprese culturali e senza le quali non esisterebbe il prodotto culturale.

Ma “Centoundici” sono anche gli anni di Confindustria. Anni di grandi trasformazioni, di
creatività italiana, di umanità che hanno cambiato il volto dell’Italia da paese agricolo a
industriale. Anni di grandi sogni nei quali le imprese sono state motore di rinascita e dove il
contributo di migliaia di lavoratori, uomini e donne, è stato determinante per la ricostruzione
del Paese.

Come fu nel Secondo Dopoguerra, quando tutto era stato devastato e spazzato via  ma non la speranza e la voglia di ricostruire un nuovo futuro di prosperità sociale ed
economica. Per il Paese, per i figli, per tutti. È questo che racconta “Centoundici. Donne e
uomini per un sogno grandioso” con il linguaggio “vivo” del cinema. Una scelta che è una
riconferma da parte del Presidente Bonomi che si era già affidato alla narrazione cinematografica,  sempre con la regia di Lucini, per riflettere sui grandi temi della contemporaneità in occasione  delle sue ultime Assemblee annuali con i corti “Il coraggio del futuro” (Assemblea Confindustria,  2020) e “L’impresa di servire l’Italia” (Assemblea Assolombarda, 2019).

Il cortometraggio, prodotto da Maremosso e realizzato in collaborazione con Adverteam e
Next Group, presenta al pubblico uno spaccato di vita vera dei nostri giorni, alternati da
“riavvolgimenti” riferiti al passato. Chiara (interpretata nel film dall’attrice Cristiana Capotondi) è  una giovane professoressa di storia, insegna alle superiori ed è innamorata del suo lavoro.

La  pandemia ha significato per Chiara doversi confrontare con un modo completamente nuovo di  fare il proprio lavoro: la didattica a distanza. Gli manca l’aula, il rapporto con i colleghi, il  contatto con gli studenti perché – sottolinea nel film – “una persona insegna anche guardando  i ragazzi negli occhi”. Chiara è il simbolo dell’umanità di questa pandemia. E rappresenta molto bene il tema delle donne con il riferimento a Teresa Mattei, la più giovane madre della  Costituente, nelle sue battaglie per l’uguaglianza dei diritti e, in particolare, dei diritti delle donne.

Alberto (Giorgio Colangeli) è un pacato signore di ragguardevole età. L’incontro con Chiara
avviene in un centro vaccinale ospitato da una grande azienda. È un’azienda italiana che
ha saputo resistere nel tempo, rinnovandosi. Sono cambiati i processi produttivi e le
tecnologie sono 4.0. E oggi in azienda c’è perfino un museo.

Il dialogo tra Chiara e Alberto fa emergere assonanze e coincidenze: la capacità delle imprese
di essere motore di ripartenza, oggi con la campagna vaccinale così come nel Dopoguerra, la
loro vocazione a innovare, la capacità di fare quello c’è da fare “perché le cose si possono
cambiare se si vuole e se si lavora tutti insieme”.

Alberto l’ha imparato, da giovanissimo, in  fabbrica. E così ricorda quel suo primo giorno di lavoro “bellissimo”, quando dalla campagna  è arrivato in città, proprio in quella stessa azienda che oggi ospita il centro vaccinale. La guarda  con l’orgoglio di chi ne ha fatto parte, riconoscendo l’utilità del progresso e scommettendo  che guardando avanti, senza rimanere ancorati a metodi e processi appartenenti al  passato, si può vincere.

Era il 1955, l’ultimo anno di Luigi Einaudi Presidente della Repubblica Italiana.

Un flashback accompagna il pubblico indietro nel tempo: qui vediamo un giovane Alberto
(interpretato da Adriano Occulto), intento a fare delle consegne in azienda e a un tratto fermarsi  dietro alla porta del Direttore Rota (nel film, Alessio Boni). Il capoazienda è impegnato con due  collaboratori. La discussione è animata. C’è un problema di materie prime. Il rame è fermo alla  frontiera e la produzione non si può fermare. “Ma – tuona Rota nel film – neanche le bombe ci  hanno mai fermato”. È un riferimento alla responsabilità, al coraggio, alla tenacia  dell’imprenditore di “fare quello che c’è da fare” e di non fermarsi di fronte agli ostacoli,  di guardare alla risoluzione dei problemi, di investire sulle nuove generazioni.

In questo  contesto risuona nel film il discorso di Einaudi: “Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci  siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro  capitali per ritrarre spesso utili che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri  impieghi”.

Così la memoria va a uno dei momenti più difficili della recente storia d’Italia, la seconda
metà degli anni Quaranta, quando, di fronte a un paese distrutto dalla guerra, furono
proprio gli attori sociali, la Confindustria e i sindacati a concordare un impegno comune: la
ripresa delle attività e del lavoro. Va alle donne che, quando tutti gli uomini erano al fronte,
hanno portato avanti le fabbriche negli uffici ma anche al tornio, alla catena di montaggio. Va
al piano Marshall e all’analogia con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza oggi. E va a quello
straordinario fermento di idee e alla voglia dilagante di cambiare per costruire insieme un
futuro migliore, di sicurezza, di benessere e di pace.

Alberto è dunque il simbolo dell’Italia che ha risposto al disastro della guerra mondiale
con il lavoro. Lavoro che è attaccamento all’azienda, che è l’emozione di entrare in fabbrica,
che è il desiderio di far parte di un mondo nuovo. La speranza di un sogno grandioso per
il futuro – quello dei giovani di ieri e della nostra generazione Covid – che ritroviamo nel volto
entusiasta e trasognato di Adriano Occulto. Un’immagine iconica che diventa, per questo, la
locandina del film.

Il filo rosso tra il passato e il presente di Alberto permette di guardare oltre la pandemia con fiducia  ome si fa con un nuovo inizio che fa eco a quello che tutti noi stiamo vivendo. Perché le grandi  crisi portano con sé anche grandi opportunità: è l’insegnamento della storia. Bisogna però  farsi trovare pronti per restituire fiducia ai giovani e costruire un futuro migliore.
“Non avere sogni grandiosi è l’unica cosa che ci può fermare”.

https://vimeo.com/manage/videos/598895353

“Il cinema è uno dei più potenti strumenti artistici per evocare e  comunicare i sentimenti e le passioni della realtà che tutti dobbiamo affrontare. Ed è uno  strumento che, nella storia italiana del Secondo Dopoguerra, ha saputo realizzare grandi opere  che ancora fanno discutere, sulle trasformazioni che la ricostruzione e gli anni seguenti del boom  hanno esercitato nella profonda complessità sociale italiana. Penso a capolavori assoluti come
Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, dedicata all’impatto della Milano industriale sulle
famiglie dei nostri immigrati meridionali, o più recentemente a Così ridevamo, dedicato allo stesso  tema ma calato sulla difficile realtà di Torino, opera con cui Gianni Amelio qui al festival di Venezia  vinse il Leone d’oro nel 1998.

Per tutte queste ragioni ho voluto, già in Assolombarda, scegliere cortometraggi cinematografici  per raccontare attraverso grandi professionisti i temi dell’impresa e della difficile sfida italiana di  questi anni. Come Presidente di Confindustria, oggi, confermo questa scelta. L’industria deve  promuovere anche questo strumento, e accettare che registi e sceneggiatori e attori raccontino  a modo loro le sfide che industria, imprese e tutti i loro collaboratori, milioni di italiani, devono  affrontare.

Nasce così l’idea di realizzare e presentare a Venezia “Centoundici. Donne e uomini per un sogno  grandioso”, che non è solo un racconto degli effetti che il COVID ha avuto nella scuola italiana,  ma evoca la sfida civile che ha portato le imprese a impegnarsi nella ripartenza del Paese come  nel dopoguerra. Per assicurare la sicurezza sanitaria sul lavoro, per non sospendere le  produzioni, per continuare a dare lavoro e reddito, per vincere le sfide sui mercati. Fino a  trasformarsi in fabbriche di comunità, mettendo a disposizione le proprie sedi e strutture come  centri vaccinali.

Centoundici perché questo è il numero dei professionisti che l’hanno reso possibile: dal regista,  produttore, aiuto regista, scenografo, costumista, direttore della fotografia, operatore di  macchina, fonico, suono, scenografia, truccatori, parrucchieri, macchinisti, elettricisti e montatori.

Centoundici perché è un omaggio e un sostegno all’intera filiera della produzione cinematografica  e audiovisiva italiana e di tutta l’industria culturale: un pezzo fondamentale della nostra industria  culturale, che occupa circa 690mila persone e che è stata colpita pesantemente dal COVID e  dalle restrizioni sanitarie. E che ha trovato solo tardivo e parzialissimo ristoro rispetto a lavoro  perso e redditi azzerati.

E Centoundici anche perché questi sono gli anni dalla fondazione di Confindustria. Che ha scritto  pagine essenziali per la coesione sociale e la crescita economica dell’Italia, e oggi come allora  pensa che il nostro Paese è sempre capace di essere un campione vero: che si rialza quando i  più dicono che non può.

Voglio ringraziare Roberto Cicutto, Presidente della Biennale di Venezia, che ci ha consentito di
condividere oggi insieme, in questa cornice così prestigiosa, il coraggio delle imprese di guardare  avanti e il valore dell’impresa di fare cinema.

E ringrazio di cuore personalmente tutti coloro che hanno reso possibile questo cortometraggio.

Il mestiere affascinante che svolgono come una missione è dare volti e voci, gambe e cuore ai  successi e alle delusioni quotidiane di milioni di italiane e italiani.

È uno dei mestieri più belli del mondo. Ma è amaro vedere come poco venga riconosciuto il valore  a chi vi si dedica”.

Grazie a voi tutti.

Carlo Bonomi, Presidente Confindustria