Anna Mazzamauro porta la Signorina Silvani a teatro e racconta aneddoti su Villaggio e Fantozzi.

Un viaggio negli anni sul set, un rapporto professionale durato vent’anni insieme agli altri attori che hanno reso celebre la saga del ragionier Ugo Fantozzi e Paolo Villaggio

Un grande successo di pubblico per lo spettacolo “Com’è ancora umano lei caro Fantozzi. Parole e musiche per Paolo Villaggio” andato in scena sabato 20 novembre 2021 al Cinema Teatro Eduardo della Città Metropolitana di Milano, nel comune di Opera, nel primo spettacolo dopo le chiusure per la pandemia.

Una splendida Anna Mazzamauro ha tenuto il palco in modo eccelso, accompagnando lo spettatore in un viaggio nel quale la voce narrante era talvolta quella di Anna e talvolta quella della signorina Silvani, in un divertente omaggio a Paolo Villaggio e al suo intramontabile ragionier Ugo Fantozzi. Un mix perfetto tra comicità e ricordo, tra letture, canzoni e musica grazie anche all’accompagnamento del polistrumentista Sasà Calabrese.

Anna Mazzamauro racconta e si racconta, in un continuo rimando agli anni di lavoro trascorsi in compagnia di Paolo Villaggio e degli altri grandi attori che hanno reso indimenticabile la saga di Fantozzi, a cominciare da Plinio Fernando nel ruolo di Mariangela, Liù Bosisio nel ruolo della storica moglie Pina, per arrivare a Gigi Reder che interpretava il ragionier Filini.

Intervista ad Anna Mazzamauro realizzata a margine dello spettacolo del 20 novembre 2021, tenuto a Opera(MI) presso il Cinema Teatro Eduardo

Com’è tornare a calcare i palchi dopo la situazione di pandemia che abbiamo avuto?

«Io calco sempre, anche a casa. A casa mia la sera sposto tutti i divani, li metto a mo’ di platea – uno strapieno tutte le sere – e provo lo spettacolo. Infatti in questo anno e mezzo ho sempre provato per avere la sensazione che non ci fosse un’interruzione. Certo il primo giorno è stata una gioia grandissima a Borgio Verezzi, dove ha luogo il festival teatrale italiano più importante, e abbiamo debuttato lì con questo spettacolo. L’emozione è stata grande, più del solito, perché io prima di andare in scena ho il panico, la gente non se ne accorge, ma dietro le quinte mi chiedo “Ma chi me lo fa fare?”. Però è ineluttabile, un attore non può stare senza fare teatro; può fare cinema certo, televisione, ma in seconda ipotesi. Il teatro è dominante, un attore che non sappia fare teatro non è un attore; il teatro nasce proprio per comunicare al pubblico le emozioni».

Festeggiamo quest’anno i cinquant’anni dalla pubblicazione di Fantozzi, com’è cambiata la percezione e l’essere donna partendo dalla signorina Silvani a oggi?

«La Silvani era una stronza, ma credo non sia cambiato niente. Forse sono cambiati gli uomini che hanno più paura delle donne adesso, perché c’è stato non un crescendo, sono gli uomini che hanno fatto finta che non fossimo cresciute. È l’uomo secondo me che è cambiato, nella paura che noi vogliamo avere gli stessi muscoli. No, non è così. A me della muscolatura di un uomo non mi frega niente, a me fa piacere come donna se un uomo mi apre gentilmente lo sportello della macchina, se mi aiuta a portare la valigia, sono contenta come donna, però tutto qua, la differenza sta in questo».

Quando ha scritto questo monologo?

«Questo non è un monologo, è uno spettacolo. A me interessa il teatro, che deve avere suppellettili, anche poche, perché poi il valore è soprattutto dell’attore. Se fosse stato solo un monologo sarebbe bastato un microfono, delle luci adeguate, la fonica giusta. Invece noi abbiamo la Bianchina di Fantozzi, che è già un’eco lontana che ci porta a quei film, e poi abbiamo scelto come colore dominante il rosso perché la Silvani è una sempre arrapata, maledettamente arrapata e inutilmente arrapata perché non gliene va bene una. Con questo spettacolo, sì ci sono dei sorrisi e delle risate, però voglio comunicare qualcosa di più, voglio comunicare le emozioni; allora partendo da Fantozzi, che non era un cretino, io dico a un certo momento che Fantozzi non era soltanto un comico, siamo noi che ridiamo delle nostre orrendezze, ma lui faceva di queste orrendezze una presentazione di personaggi che pur non appartenendo agli stessi mondi si somigliavano. Partendo da questo, come un polipo uso tutti i tentacoli per parlare dell’amore, gli incontri d’amore della Silvani che incontra un gay e quindi c’è una canzone sui gay, la Silvani che cosa pensa del matrimonio e quindi la canzone del matrimonio, è tutto abbinato e scorre tutto su binari di fantasia ma con una realtà emotiva molto importante».

Quando l’ha scritto e da dove è partita per scrivere questo spettacolo? È un’idea che già covava in lei o è venuta fuori durante la pandemia?

«L’ho scritto un anno e mezzo fa, in piena pandemia. Non è facile scrivere, io non scriverei mai per un’altra persona, scrivo soltanto per me perché dopo tanti anni purtroppo e fortunatamente di teatro so, conosco come dare le emozioni e come riceverle da parte del pubblico, so in quale posto del palcoscenico andare a misurarmi cantando e recitando, conosco il palcoscenico. Mentalmente il progetto c’era, anche per rivalutare a modo mio Paolo Villaggio perché quando tu lavori con una persona non è che la capisci bene, profondamente, soprattutto perché io e lui non siamo mai diventati amici. Io una volta gli ho chiesto, e questa è storia quindi non voglio offendere nessuno, “Senti ma come mai dopo tanti anni io e te non siamo diventati amici?” e lui mi ha risposto un po’ da snob “Perché io frequento soltanto attori ricchi e famosi”. Poi ci siamo incontrati dopo tanti anni nel salotto di Barbara D’Urso e allora io gli ho mostrato il libretto degli assegni e gli ho detto “Allora possiamo diventare amici adesso”. Al di là degli scherzi a me questa interruzione di vita e sociale ha fatto un favore, anche se è stata una disgrazia, ma ho approfittato del momento di solitudine e ho cominciato a scrivere, a guardare dentro me e soprattutto dentro i ricordi, che possono dare il senso vero delle cose. Ho scoperto che certi ricordi erano veramente importanti, mentre quando li vivi e non sono ancora ricordo lo fai perché fa parte della vita normale; così incontri un attore, lavori con lui, ma ti sembra tutto naturale. Fantozzi è stata un’occasione meravigliosa perché la gente mi conosce fortunatamente e purtroppo per la Silvani, in teatro ci avrei impiegato trecento anni per avere la stessa riconoscibilità, quindi io sono grata al cinema ma non sono grata a quello che ho fatto al cinema. Tu dirai, ma la Silvani è una maschera, certo ma me ne sto accorgendo adesso, allora era lavoro, era una professione, allora era normale, adesso la Silvani è diventata un ricordo importante, che combacia col ricordo di Paolo. Infatti quando si parla di Fantozzi non si può non parlare della Silvani e questa è una grande utilità».

Leggenda vuole che lei si fosse presentata al provino per fare la signora Pina. Non ha mai immaginato, a livello di carriera, come sarebbe stata la sua vita se avesse interpretato quel ruolo?

«Sinceramente no, io ho vissuto la Pina originale, la Liù Bosisio, che era strepitosa perché era lei la moglie di Fantozzi. Per carità non discuto sulla bravura dell’attrice, Milena (Vukotic Ndr) è bravissima, cioè è brava, bravissima sono io (ride Ndr). Però Liù Bisisio era autenticamente la moglie di Fantozzi, infatti quando io vedo Milena nei film così graziosa, così carina, così dolce, così assecondante, con tutte queste doti che aveva la moglie come fa lui a innamorarsi di una come me. Invece vedendo Liù Bosisio come l’avevano conciata da moglie di Fantozzi, allora la Silvani con i suoi atteggiamenti… che poi la Silvani è una vogliosa piena di solitudine, soltanto una donna piena di solitudine può comportarsi come lei, può tentare di adescare gli uomini».

Cosa pensa del fatto che teatri come quello di Opera, che è una cittadina, vogliano rilanciare il teatro con spettacoli importanti come il suo?

«Certo il periodo rende timorosa la gente di uscire la sera, c’è la nebbia, tra un po’ sarà Natale e i soldi serviranno per i regali, ma soprattutto c’è la paura di prendere il Covid, anche se siamo tutti vaccinati, la paura ce l’abbiamo tutti, ce l’ho anche io. Quindi sicuramente è il periodo, ma non in tutte le città, ad esempio a Milano c’è il soldout, intanto perché è più grande, ma io amo moltissimo fare le tournée in provincia, perché la vera cultura sta nella provincia. A Roma ad esempio la gente non va a teatro, i teatri sono pieni a metà per gli stessi motivi di cui stavamo parlando ma soprattutto per abitudine mentre invece a Milano la gente come a Londra fa la fila perché è naturale e civile comprare i biglietti, a Roma no. Ti chiedono di rimediare il biglietto».

Riallacciandomi a ciò che diceva prima del rapporto uomo-donna, tra poco è il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne; come vede il fatto che sia necessaria una ricorrenza?

«Non serve a niente una ricorrenza, opinione mia che non deve necessariamente essere condivisa, serve per puntualizzare sì, ma le radici stanno più profondamente in questo maledetto modo da parte di certi uomini di vedere la donna, nell’educazione, solo che anche per avere educazione ci vogliono anni, secoli. Che facciamo aspettiamo un secolo per non correre più rischi? Ogni giorno succede qualcosa però io voglio sperare che questo succeda perché adesso tra i social e l’immediatezza televisiva, le cose si sanno subito mentre un tempo anche se succedevano ugualmente si sapeva con ritardo. Quindi voglio sperare che sia questo, solo che io non riesco a capire veramente certe condizioni dell’uomo nei confronti della donna, mi è difficile persino chiamarlo uomo uno che si comporta così. Ed è inutile che gli avvocati per difenderlo dicano “Ah non è capace di intendere e di volere”, perché è tutto programmato ed è terribile».

Perché secondo Anna Mazzamauro non esiste più l’epoca dei grandi artisti?

«Beh io sono l’ultima. Ma non è che non esiste più, è che purtroppo e fortunatamente per certi versi, quando io ero piccola la televisione era nata da poco e non aveva il senso che ha adesso dove offre la possibilità a tutti gli imbecillotti che vogliono diventare famosi di fare tutte le varie trasmissioni che conosciamo. È più facile, però rende questi cretinotti volenterosi di avere una popolarità che poi non mantengono. Mentre invece prima c’era la fatica del gradino, arrivare piano piano, gradino per gradino, però questa fatica cementava tutte le intenzioni e i risultati soprattutto se avevi veramente talento. Quindi la colpa è di certe trasmissioni televisive. Io non le vedo, mi piacciono i documentari sulle scimmie, io sono incantata dall’umanità che ha la scimmia, che sicuramente non si comporterebbe mai come un uomo, quindi l’uomo quando assale una donna non lo fa perché è uomo e per tradizione deve assalire una donna, perché una scimmia – che è un uomo – non lo farebbe mai. Hai visto gli scimpanzé che cosa sono, questi occhi incredibili che raccontano l’eternità e queste mani, che sono le nostre, come si cercano come curano i figli, come li allattano, come li abbracciano, come li proteggono, e io credo che uno scimpanzé non assalterebbe mai una donna. Quindi non è vero che è naturale nell’uomo assaltare una donna, è tutto calcolato».

Ritornando al discorso di gavetta, lei quando arrivò a fare questo personaggio quanta autostima aveva di lei per accettare di fare la signorina Silvani?

«Io sono nata con l’autostima. Io non so fare nient’altro, sono una donna inutile nella vita se non quando sto lassù, sul palco, dove credo di valere qualcosa. Non si tratta di autostima nel senso retorico della parola ma di determinazione, che io vivo bene soltanto così, allora perché non lo devo fare? Non ammazzo nessuno, non assalto nessuno, io sto bene lassopra perché mi sento bellissima, giovanissima, intelligentissima, piena di voglia di vivere».

Cinema Teatro Eduardo – Opera (Mi), Via Papa Giovanni XXIII 5/F
Informazioni: Associazione Culturale Tutti all’…Opera Tel. 347 419 0962 – 02 5760 3881 – 02 8493 0301 oppure inviare un’email a info@tuttiallopera.comwww.tuttiallopera.com