Epatite C: in Lombardia oltre il 20% dei trattamenti su un totale di circa 190mila a livello nazionale. L’impatto delle reti locali.

IL SOMMERSO DA SCOVARE – Quattro incontri rivolti agli specialisti per coordinare l’attività e individuare i pazienti che non sanno o non si sono ancora sottoposti alla terapia gratuita per eliminare il virus HCV, una terapia di poche settimane, senza effetti collaterali e non tossica per eliminare definitivamente il virus dell’Epatite C e tornare a vivere.

Il quadro è allo stesso tempo complesso e confortante: da una parte, persiste un alto numero di pazienti affetti da HCV, a cui si collegano le difficoltà nella ricerca del “sommerso”; dall’altra, si ha grande fiducia nella comprovata efficacia delle nuove terapie per sconfiggere il virus. Ecco la terza tappa del progetto “HCV: Be Fast, Be Different”. Il convegno, organizzato da AbbVie, approda il 27 Settembre a Milano, presso il Nhow Hotel. L’iniziativa fa seguito agli incontri tenutisi a Matera e a Roma in primavera, e precede l’ultimo previsto a Torino il 10 ottobre prossimo. Un momento di riflessione che ha lo scopo di riunire specialisti di vari settori, fra cui epatologi, infettivologi, internisti, per un confronto costruttivo volto a identificare dei percorsi clinici condivisi per l’individuazione e l’invio al trattamento antivirale dei pazienti nei quali l’infezione da HCV non è stata ancora diagnosticata.

 

LA SITUAZIONE IN LOMBARDIA – In Italia sono stati trattati con la terapia anti HCV 186.953 pazienti; in Lombardia si stima che al 2014 erano seguite presso i centri ospedalieri della regione circa 40mila persone con infezione da HCV. A marzo 2019 risultavano trattati, o in trattamento, più di 35mila pazienti.

A Pavia alla Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo presso la UOC di Malattie infettive sono stati trattati 3500 pazienti, che sono il 10% dei trattamenti dell’intera regione – evidenzia il Prof. Raffaele Bruno, Professore Associato di Malattie Infettive presso l’Università di Pavia. – Un lavoro di notevoli proporzioni che è stato possibile grazie a tutti i medici della UOC di Malattie infettive e che potrebbe contribuire alla microeliminzione nel territorio pavese dell’epatite C”.

A Milano il Niguarda Hepatitis Center, nato nel 2016, è stato il primo centro di approccio multidisciplinare per affrontare l’HCV. “Nella nostra struttura abbiamo optato per un approccio multidisciplinare che si distinguesse per una completa visione della patologia – ha spiegato Maria Vinci, epatologo Responsabile del Niguarda Hepatitis Center. – Abbiamo riunito diverse professionalità dell’ambito infettivologico ed epatologico, affiancando ad esse anche gli altri colleghi interessati dalle complicanze dell’epatite C, come reumatologi, diabetologi, cardiologi. Questo approccio ci ha consentito di aumentare notevolmente sia il numero dei pazienti trattati che la soddisfazione dei singoli individui, che hanno riscontrato un trattamento della patologia in tutte le sue sfaccettature”.

Dal 2015 – aggiunge il Prof. Stefano Fagiuoli Direttore Gastroenterologia 1 e del Dipartimento di Medicina, A.O. Papa Giovanni XXIII, Bergamo – è attiva la RETE HCV Bergamo, costituita su un modello Centro-Periferia tra l’ASST-Papa Giovanni XXIII (centro di eccellenza per la cura dell’Epatite C) e i presidi ospedalieri pubblici o convenzionati della provincia. L’attività della Rete, con l’obiettivo di espandere l’accesso alle cure, è basata su molteplici direttrici: condivisione di PDTA di gestione trattamenti; sistema elettronico con accesso da remoto di prescrizione ed Erogazione dei DAA; riunioni periodiche di aggiornamento e di condivisione”.

L’analisi dei risultati, eseguita da un’agenzia esterna di valutazione delle performance in sanità, ha evidenziato come l’attività della Rete abbia consentito diversi successi: un incremento di accesso alle cure, la riduzione dei costi globali, la riduzione dei tempi d’attesa per le cure, il calo di quasi il 50% dei tempi previsti per l’esaurimento dei pazienti noti nella provincia.

 

I NUMERI EPATITE C IN ITALIA CONTINUANO A PREOCCUPARE: 3MILA MORTI L’ANNO PER TUMORE DEL FEGATO – L’Italia è il paese europeo con la più elevata prevalenza di infezione da HCV, con una media stimata dell’1.5% e dati preoccupanti poiché al Sud è superiore al 5%, in pazienti con età superiore ai 65 anni. Ogni anno nel nostro paese, vengono effettuati circa 60mila ricoveri ospedalieri per patologia epatica HCV correlata, con un incremento del 67% dei casi di cirrosi e del 291% dei casi di carcinoma epatocellulare primitivo (HCC). Sono circa 12mila i decessi annui attribuibili all’infezione da HCV e l’epatocarcinoma, di cui la cirrosi epatica da HCV rappresenta una delle cause principali, è responsabile ogni anno di circa 3mila decessi.

Oramai da mesi, sono stati introdotti e resi disponibili in Italia per tutti i pazienti i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) specifici per il trattamento dell’infezione cronica HCV relata, dotati di elevatissima efficacia e di scarsi effetti collaterali. “Questi farmaci hanno rivoluzionato l’approccio nei confronti del trattamento della patologia, consentendo di ottenerne la guarigione in una percentuale di oltre il 95% dei pazienti trattati – evidenzia il Prof. Pierluigi Toniutto, Direttore dell’Unità di Epatologia e Trapianto di fegato presso l’Università di Udine. – Dall’introduzione dei DAA in Italia, sono stati sottoposti a trattamento antivirale circa 200mila pazienti, con un ritmo di circa 35mila pazienti per anno. Negli ultimi mesi si è assistito ad un progressivo calo del numero dei pazienti che accedono al trattamento, che può essere spiegato dal progressivo esaurimento del numero di soggetti con una infezione da HCV già diagnosticata e noti agli ambulatori epatologici. Tuttavia, si stima che esistano ancora circa tra i 250mila sino ai 450mila pazienti con infezione da HCV non diagnosticata e circa 170mila pazienti che nonostante la diagnosi di epatite C sia nota, non sono stati ancora inviati al trattamento. È il cosiddetto “sommerso”, su cui si devono concentrare le azioni per individuare i pazienti da mettere in cura”.