Osservatorio sui diritti immobiliari Assoedilizia con Università degli Studi di Milano. Nota sulla situazione attuale dell’attuazione del codice dei contratti pubblici.

(contributo di Sara Valaguzza, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano)

Il decreto Sblocca Cantieri è un’occasione di ripensamento interessante, sia dal punto di vista della riflessione scientifica e culturale sia da quello operativo. Il titolo che si è deciso di dare al D.L. 18 aprile 2018, n. 32, n. 32 ne rappresenta tutta l’intenzione, ossia facilitare il percorso che avvii la realizzazione di opere e infrastrutture pubbliche in situazioni di stallo per varie ragioni.

La scelta è stata quella di sovrapporre nuove norme alle norme precedenti, tornando al vecchio schema della legge, potremmo dire “quadro” (appunto il Codice dei contratti pubblici), accompagnata da un Regolamento, sulla falsariga del sistema precedente alla riforma del 2016, che metteva in campo, invece, un sistema c.d. di soft regulation, affidato principalmente all’Autorità di regolazione del settore (l’Autorità Anticorruzione). Siamo oggi di fronte ad una regolamentazione multipolare, per via dei sui numerosi protagonisti (non solo Governo e Parlamento, ma anche diversi Ministeri e Autorità Nazionale Anticorruzione, Commissioni speciali, per citare i principali) e plurilivello (in quanto articolata in maniera gerarchica).

Dal punto di vista dell’analisi comparata, questa opzione fa sì che, mentre altri Paesi, come la Germania, hanno promosso una normativa strategica e leggera, l’Italia continua ad essere un Paese in cui domina l’ipertrofia normativa, spesso alimentata da ragioni che si possono sinteticamente dire “politiche”, nel senso che la politica esprime nelle norme i propri tentativi di cambiamento, per rappresentarsi agli elettori (sui limiti di questa prospettiva, si rimanda a S. Valaguzza, Governare per contratto, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018).

Il paradosso della semplificazione che aggiunge invece che togliere, si conferma, quindi, un elemento caratterizzando della regolamentazione del mercato dei contratti pubblici. La preoccupazione centrale anche del Decreto Sblocca Cantieri sono ancora le procedure di affidamento; il percorso verso una soft regulation, basata sulla co-amministrazione e che avrebbe dovuto coinvolgere le imprese in chiave partecipativa (esperienza, nei fatti, non riuscita) è stato, nella sostanza, abbandonato e il ruolo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ridimensionato.

Ciò è accaduto perché la regolazione flessibile affidata all’Autorità Nazionale Anticorruzione ha finito per essere uno strumento perfino più rigido e tortuoso della legislazione tradizionale e l’eccessiva limitazione della discrezionalità dei committenti pubblici ha, di fatto, ridotto le potenzialità dei nuovi strumenti. I bandi e i contratti tipo messi a disposizione delle stazioni appaltanti dal 2016 ad oggi sono molto limitati.

Difatti i bandi tipo messi a disposizione dall’Autorità di Regolazione del settore ai sensi dell’art. 213, comma 2 del D.Lgs. n. 50/2016 sono solo solamente tre. Nello specifico riguardano l’affidamento di servizi e forniture nei settori ordinari (bando tipo n. 1), l’affidamento di servizi di pulizia (bando tipo n. 2) e l’affidamento di servizi di architettura e ingegneria (bando tipo n. 3).

Anche l’esperimento dei contratti-tipo è rimasto, perloppiù, sulla carta; sono state previste una serie di clausole contrattuali tipo nell’ambito delle Linee guida operative e clausole per l’affidamento di servizi assicurativi adottate con determinazione n. 8 dell’8 giugno 2016).

Su questo aspetto, il Decreto Sblocca Cantieri, reintroducendo la coppia legge-regolamento, ha raccolto il disagio del settore, che da tempo lamentava assenza di chiarezza dal punto di vista normativo e l’eccessiva sovrapposizione di fonti. Tuttavia, le linee guida di ANAC non sono state eliminate del tutto, creandosi così una complicazione ulteriore.

Se l’intenzione del legislatore è quella di semplificare e tornare a dare fiducia alle stazioni appaltanti agevolandone il lavoro per, appunto, sbloccare i cantieri, un’opportunità interessante sta nel riconfigurare l’Autorità di Regolazione come il soggetto in grado di redigere standard e vademecum, come avviene regolarmente in altri Paesi, per esempio nel Regno Unito. La realtà ha dimostrato che l’equazione più regole meno abusi, non è vera; di contro, è vero che all’aumentare delle regole aumentano le complessità interpretative. Quindi un ulteriore alleggerimento sarebbe auspicabile.

La logica dei commissari, del resto, dimostra, nei fatti, che lo stesso legislatore dello Sblocca Cantieri è consapevole del fatto che sulle opere più rilevanti per l’economia del Paese, per evitare inceppi, deve essere accettata la deroga alle norme del Codice. In termini logici, questo ci porta ad interrogarci sul se non sia da auspicare un intervento legislativo che prenda ciò che oggi è considerato eccezione e lo indichi come regola, cancellando ridondanze procedurali e formali, per tutto, non solo per le opere oggetto di commissariamento.

La scelta di impostare l’intervento curativo del Decreto Sblocca cantieri su nuove norme è in controtendenza, tra l’altro, con le indicazioni che provengono dalle organizzazioni internazionali che analizzano i meccanismi di procurement. In particolare, con lo slogan tools not rules, che riassume il suggerimento che proviene da OECD e UNCITRAL. Poca considerazione è stata dunque dedicata agli esiti degli studi delle organizzazioni internazionali e non si intravede una specifica riflessione sulla Comunicazione della Commissione Europea del 3 ottobre 2017 in tema di appalti efficienti e sostenibili.

Infatti, la normativa italiana ancora trascura il momento dell’esecuzione, che invece è cruciale affinché i contratti pubblici riescano ad apportare valore aggiunto alle comunità amministrate. I casi in cui è ammesso il ritorno al prezzo più basso sono, anzi, in potenziale conflitto con un orientamento che voglia promuovere la qualità del mercato.

Nel settore delle costruzioni è particolarmente evidente che l’attuale crisi del modello di procurement non attiene tanto alla fase di selezione dell’operatore, quanto a quella della esecuzione. Contenziosi, anomalo andamento dei lavori, extra costi, errori, inerzia e burocrazia distinguono, ormai quasi inesorabilmente, le vicende che riguardano il momento esecutivo. Comportamenti antagonisti e conflitti impediscono di fronteggiare in maniera efficace difficoltà impreviste e di cogliere opportunità che possano migliorare il perseguimento dell’interesse pubblico nel caso concreto. La situazione che ne deriva danneggia fortemente la capacità dell’azione di committenza di portare valore alla comunità amministrata ed ha effetti pesantemente negativi sull’immagine dell’amministrazione, progressivamente delegittimata. D’altro canto, le conseguenze negative si riverberano anche sul mondo dell’impresa, colpito sempre più di frequente da crisi economiche e finanziarie.

Il settore più in sofferenza è quello delle costruzioni: nell’anno appena trascorso, alcune delle principali imprese di costruzioni italiane sono state costrette a ricorrere a procedure prefallimentari, con concordati e commissariamenti. La crisi, a catena, travolge le famiglie, i lavoratori, i giovani alla ricerca di un lavoro.

Sul fronte della normativa, il Decreto Sblocca Cantieri non ha trattato le questioni critiche dell’esecuzione.

Tuttavia, esiste uno strumento giuridico da studiare e utilizzare anche in Italia per contrappore uno schema dialogico a quello conflittuale, compatibile con il quadro normativo vigente: si tratta degli accordi collaborativi, la cui applicazione ha dimostrato interessanti risultati positivi, sia per i committenti sia per le imprese, in termini di riduzioni di tempi e costi, oltre che di promozione di valore aggiunto per la comunità, come esito dell’alleanza collaborativa che viene a stringersi nella fase esecutiva. Suggerire l’utilizzo del modello e predisporre standard per agevolarne la compilazione da parte delle stazioni appaltanti appare particolarmente opportuno.

Infine, la riforma, nonostante siano state aggiunte nuove norme e altre sono in previsione, non è completa.

Alcuni esempi possono aiutare a comprendere quali interventi appaiono più urgenti per consentire di accrescere e mantenere il nostro patrimonio pubblico.

Chi ha contato i decreti attuativi che ancora mancano all’appello, ne individui circa una trentina. Alcuni di essi sono essenziali perché riguardano direttamente la configurazione della riforma voluta dalle Direttive del 2014 e sono fondamentali perché il mercato dei contratti pubblici si arricchisca di contenuti positivi e promuova con seria credibilità lo sviluppo per il meglio della politica industriale del Paese.

Decreti che siano attuazione al Codice non ancora adottati, ma cruciali, riguardano, tra gli altri, l’organizzazione delle committenze, la qualificazione delle stazioni appaltanti, la qualificazione delle imprese e il settore delle costruzioni.

Sul tema dell’organizzazione delle committenze, ancora è lunga la strada da compiere verso una digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni che sia accompagnata da una accettazione da parte degli impiegati pubblici e da una coscienza critica adeguata. Il tema è spesso frainteso sotto diversi punti di vista. La digitalizzazione, nel mondo pubblico, non può mai essere considerata come un valore in sé; la digitalizzazione è utile alla crescita del comparto nel momento in cui è compresa da chi deve utilizzarla e calarla nella pratica. Il che richiede, inevitabilmente, programmi di formazione altamente professionalizzazioni e certamente onerosi, strumentazioni adeguate e soprattutto una nuova modalità di lavoro. Quando, guardando al mercato dei contratti, si richiede, cosa di cui dovrà occuparsi il decreto di cui dall’art. 44 del D.Lgs. n. 50/2016, di digitalizzare le procedure di tutti i contratti pubblici, al centro dell’attenzione deve starci non solo la creazione di banche dati e la necessità di interfacciarsi in maniera smart con i cittadini e con le imprese, ma anche un’esigenza più profonda, che è quella di risparmiare denaro pubblico, di migliorare le prestazioni e la coscienza dell’amministrazione, grazie alla conoscenza e all’aggiornamento dei dati. Date la specialità tecnica della questione, le partnership con il settore produttivo, in questo campo, sono una risorsa che potrebbe essere maggiormente valorizzata, coinvolgendo anche nel processo di apprendimento strutture di ricerca che possano mettere la conoscenza scientifica al servizio delle istituzionali.

Nella direzione di una più stretta collaborazione fra attori diversi, pubblici e privati, appare incamminarsi la Città metropolitana di Milano con “Campus digitale metropolitano”. Questo progetto di sistema ha posto la Città metropolitana sulla frontiera dell’innovazione promuovendo e coordinando lo sviluppo dei sistemi di informatizzazione e digitalizzazione in ambito metropolitano. L’iniziativa riferita è interessante perché vuole coinvolgere in modo attivo enti locali, scuole, imprese e cittadini nell’ottica di una open governance dei processi di digitalizzazione dei servizi offerti sul territorio. L’estesa infrastruttura digitale entro la quale andrà ad operare il “Campus” dovrà inoltre fondarsi sull’ulteriore implementazione della rete di fibra ottica necessaria per garantire l’operatività delle tecnologie e degli standard richiesti dalla rete 5G, pietra angolare per l’avvio nel futuro di progetti di Smart City e di IoT (Internet of Things).

Sempre restando nel campo degli strumenti tecnologici, un ambito che potrebbe dare risultati interessati per migliorare qualità, trasparenza ed imparzialità della selezione riguarda l’applicazione dell’intelligenza artificiale alla selezione delle offerte e, più in generale al procurement. L’utilizzo di algoritmi di analisi farebbe risparmiare tempi e denari, purché, come ci ha chiarito di recente la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, non si ceda la macchina ai tecnici, ma l’amministrazione sappia guidare il processo e garantisca comunque l’applicazione dei principi generali dell’azione amministrativa e della contrattazione pubblica.

Sul tema dell’organizzazione, ancora non è compiuta la riforma sulla qualificazione delle stazioni appaltanti di cui all’art. 38 comma 2 del Codice, che attende provvedimenti di competenza di ANAC. Come del resto, resta un’incompiuta anche la qualificazione delle imprese ex art. 83 comma 10, avviata dall’ANAC con una proposta di linee guida sul rating di impresa messe in consultazione, di cui sono state perse le tracce. Questo aspetto è molto rilevante dal punto di vista della qualità del mercato, perché un sistema di qualificazione frutto di una precisa strategia sarebbe potenzialmente in grado di creare un’immagine positiva degli operatori del mercato dei contratti pubblici. Particolarmente opportuno, dati i difetti che affliggono il settore, sarebbe premiare le imprese collaborative, introducendo apposite premialità, anche di carattere economico nella fase esecutiva.

Nel settore delle costruzioni, per citare alcuni interventi, è atteso il Decreto con le modalità per migliorare il controllo della Direzione Lavori, quello che riguarda le garanzie della Società di Progetto, oltre ai numerosi Decreti che attribuiscono finanziamenti. Altri contenuti rilevanti saranno disciplinati nel Regolamento. Anche la struttura tecnica di missione del Ministero delle Infrastrutture deve ancora essere costituta e, per rispondere alla ratio della norma, dovrebbe operare avvantaggiandosi di strutture universitarie a supporto. Vedremo se si avrà il coraggio, in questo caso, di puntare sull’accademia, come strumento sincero e autentico della ricerca del settore, come avviene nella maggior parte dei Paesi europei, oppure se si continuerà a fare senza, salvo poi correre ai ripari con un nuovo decreto sblocca dello sblocca cantieri.